1. I DPCM che si sono susseguiti dall’inizio della pandemia presentano profili di illegittimità, tali da imporne la disapplicazione: lo stabilisce un’ordinanza del Tribunale di Roma, sezione VI civile, del 16 dicembre 2020, emanata dal giudice Alessio Liberati. La controversia (recante R.G. 45986/2020) sottoposta al giudice romano ha avuto per oggetto uno sfratto per morosità, sull’opposizione del debitore: costui giustificava il mancato pagamento del canone di locazione, e ne chiedeva una sostanziosa riduzione, per lo stato di crisi in atto.

Il giudice si è anzitutto interrogato se la limitazione imposta nel corso del 2020 con atti provvedimentali di natura amministrativa, e decreti legge sui quali i primi si fondavano, fosse legittima. “Punto indiscusso è che le libertà fondamentali degli individui siano state compresse attraverso un DPCM”: la natura amministrativa di esso tuttavia resta “anche laddove un provvedimento avente forza di legge, preventivamente lo ‘legittimi’ e sempre che tale legittimazione ‘delegata’ sia attribuita nei limiti consentiti”.

Il giudice si riferisce al decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018 Codice della protezione civile, in base al quale il Consiglio dei ministri, con deliberazione del 31/01/2020, ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale in conseguenza del rischio sanitario Covid 19: il decreto legislativo ha costituito il fondamento “di eccezione” dei successivi atti governativi, siano essi stati decreti legge, sia DPCM, e che ad avviso del Tribunale di Roma non ha sanato i limiti dei successivi atti provvedimentali.

In questa prospettiva – precisa il dott. Liberati – non vi è dubbio che l’azione amministrativa che operi attraverso atti amministrativi sia responsabilizzante, in quanto esposta, diversamente dall’operare attraverso atti aventi forza di legge, anche alle ulteriori censure tipiche dei provvedimenti amministrativi, e non solo al sindacato politico”. Occorre verificare in primis e in via generale la “idoneità del DPCM a comprimere i diritti fondamentali che ha, di fatto, investito e compresso”.

2. Giuristi insigni, tra i quali i presidenti emeriti della Corte costituzionale Baldassarre, Marini e Cassese, “hanno rilevato la incostituzionalità del DPCM”. Infatti, aggiunge il magistrato, un DPCM, non avendo forza di legge, non può porre limiti a libertà costituzionalmente garantite. Per di più, il citato Dlgs 1/2018 non contiene alcun richiamo alle invocate (dal governo) situazioni di “rischio sanitario”, né tanto meno ad “agenti virali”, contemplando, tra gli eventi emergenziali di protezione civile che legittimano il governo a dichiarare lo stato di emergenza nazionale e a prendere i conseguenziali provvedimenti normativi, soltanto “emergenze di rilievo nazionale connessi con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo” (art. 7 co. 1 lett. c- D. lgs 1/2028), vale a dire calamità naturali quali terremoti, alluvioni, valanghe, incendi ecc.

Nella Costituzione è prevista una sola ipotesi di attribuzione al Governo di poteri normativi tipici: quella relativa alla dichiarazione dello stato di guerra (art. 78 e 87 Cost.), mentre non vi è alcun riferimento alla dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario. Ne consegue che la dichiarazione del Consiglio dei ministri del 31/01/2020 è stata emanata in assenza dei presupposti legislativi, ed è quindi illegittima, in quanto nessuna fonte costituzionale o di legge ordinaria attribuisce al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario. Da ciò deriva, altresì, l’illegittimità di tutti gli atti amministrativi conseguenti.

Passando all’esame particolare dei dPCM il giudice si è soffermato su quello del 26/04/2020, emanato con la “copertura” legislativa decreto-legge n. 19, del 25/03/2020: il dPCM è illegittimo perché il provvedimento normativo che lo sorregge contiene norme generali e astratte, non tipizza i poteri e non fissa un termine, in contrasto con l’art. 76 Cost., che stabilisce che “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegata al governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. I successivi DPCM disciplinanti la c.d. fase 2 ad avviso del giudicante sono illegittimi in quanto in contrasto con gli articoli dal 13 al 22 della Costituzione e con l’art. 77 Cost.

3. Altro elemento di illegittimità è per il Tribunale la mancata specificazione di un termine, poiché la temporaneità dei DPCM “appare in realtà solo formale”; come evidenziato dalla recente giurisprudenza del TAR del Lazio, “tenuto conto che le misure finora assunte per fronteggiare l’epidemia da Covid 19, di cui la difesa erariale enfatizza la temporaneità, nei fatti risultano avere sostanzialmente perso tale connotazione stante la rinnovazione di gran parte delle stesse con cadenza quindicinale o mensile” (Tar del Lazio ordinanza n. 7468/2020, che si è espresso sul DPCM 3.11.2020).

Il giudice capitolino rileva inoltre “un ricorrente difetto di motivazione” di tutti i dPCM che, come stabilisce l’art. 3 della legge 241/1990, in quanto atti amministrativi devono essere adeguatamente motivati; e invece nel corpo dei provvedimenti relativi alla emergenza epidemiologica la motivazione è “redatta in massima parte con la tecnica della motivazione per relationem, con rinvio ad altri atti amministrativi e, in particolare (ma non solo), ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico (CTS)”. I verbali del CTS, peraltro, in massima parte non sono disponibili né conoscibili, e ciò rende di fatto impossibile o estremamente difficoltoso il riscontro per relationem. In un primo momento tali verbali erano classificati come “riservati”, e solo successivamente sono stati pubblicati, ma con un ritardo tale da non consentire l’attivazione della tutela giurisdizionale.

La motivazione è inoltre indispensabile per consentire il sindacato sul c.d. eccesso di potere. “Sul punto talvolta non è emerso neanche, dal combinato disposto dei DPCM e verbali del CTS, un adeguato bilanciamento degli interessi costituzionali in gioco, che fosse cioè basato su una istruttoria completa e su una chiara e univoca presa d’atto della situazione di fatto”. Tale difetto è stato rilevato dal Tar Lazio con riferimento al DPCM del novembre 2020: “dal DPCM impugnato non emergono elementi tali da far ritenere che l’amministrazione abbia effettuato un opportuno bilanciamento tra il diritto fondamentale alla salute della collettività e tutti gli altri diritti inviolabili” (Tar Lazio, ordinanza n. 7468/2020).

4. Dalla lettura di quei verbali che sono stati pubblicati, “non emerge”, rispetto alle misure meno incisive prese da altri Paesi, “con chiarezza quale sia la logica della scelta fortemente compressiva operata dalla PA (…) e l’opzione dell’amministrazione non appare univocamente determinata dalla situazione di fatto sottostante e, talvolta addirittura contraddittoria, con ciò determinando ulteriori possibili vizi di eccesso di potere per illogicità”.

Potrà condividersi o meno la motivazione dell’ordinanza del Tribunale di Roma, ma non è liquidabile con una scrollata di spalle: le modalità scelte per decidere la forte compressione di libertà costituzionali merita una approfondita riflessione, anche di prospettiva, per evitare che quel che oggi viene varato come provvisorio ed eccezionale si trasformi in definitivo e ordinario.

Stefano Nitoglia

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