L’articolo che lo storico ed editorialista del Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia ha dedicato alla figura di don Lorenzo Milani in occasione del centenario della sua nascita (Firenze, 27 maggio 1923), pubblicato il 1° giugno col titolo “Don Milani capovolto”, ha immediatamente scatenato un vespaio di polemiche.

La drastica bocciatura del pensiero e dell’opera del priore di Barbiana contenuta nell’articolo di Galli, che nella sua requisitoria riprende ampiamente la tesi di un saggio, appena pubblicato, dello storico della scuola Adolfo Scotto di Luzio (L’equivoco don Milani, Einaudi, maggio 2023), non può che produrre effetti dirompenti anche perché si pone in radicale controtendenza con il clima di – se non unanime ­– certamente vasto omaggio reso da gran parte del mondo politico e della cultura all’autore della Lettera a una professoressa, uscita nel 1967, un mese dopo la sua morte precoce, all’età di 44 anni. Omaggio al quale si sono uniti anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro dell’istruzione (e del merito, parola che don Milani detestava) Giuseppe Valditara, come vediamo in dettaglio nella notizia successiva.

Così, mentre il mondo della scuola e di coloro che più se ne occupano (sindacalisti, pedagogisti, associazioni professionali dei docenti) ritengono prezioso e indiscutibile il contributo offerto da don Milani alla scoperta e alla denuncia del carattere selettivo e socialmente discrimitarorio del sistema scolastico, facendo del centenario della sua nascita un motivo di unione, una minoranza di intellettuali e di storici controcorrente approfitta dell’occasione per farne un motivo di divisione.

Ai due autori sopra citati se ne possono aggiungere per la verità non molti altri, ma alcuni hanno sviluppato analisi critiche sul “donmilanismo” inclusivo considerato causa, o almeno concausa, della decadenza della scuola italiana. Tra questi il sociologo Luca Ricolfi e la insegnante-scrittrice Paola Mastrocola in un volume comune del 2021, Il danno scolastico, e poi ancora Ricolfi in La mutazione (2022), un saggio nel quale imputa alla “sinistra” la responsabilità di aver abbandonato la rigorosa visione della scuola di Gramsci, faticosa e selettiva ma qualificante per i lavoratori (“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza”), con un modello di ispirazione donmilaniana poco selettivo ma di bassa qualità, che ha finito per danneggiare i figli dei poveri assai più di quelli dei ricchi. Accusa, quest’ultima, che appare poco fondata perché la scuola di don Milani, almeno quella di Barbiana, era estremamente impegnativa: esigentissima, senza voti, senza bocciature ma anche a tempo pieno, senza vacanze, con un docente-padre dedito ad essa in esclusiva, senza una vita privata. Un modello probabilmente irripetibile (Mattarella ha detto “inimitabile”), ma tutto tranne che permissivo e facilista. (O.N.).

Pubblicato su www.tuttoscuola.it

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