Chi come me, aderisce a INSIEME, non ha smesso di credere che l’ispirazione cristiana in politica è, non solo utile ma, necessaria. I fatti ce ne danno conferma, a partire dagli eventi calamitosi che hanno duramente colpito la Romagna. L’eccezionale intensità delle precipitazioni è certamente stata la causa scatenante, ma le conseguenze sul territorio, sono state diverse, anche a pochi chilometri di distanza. Laddove infatti, come a Rimini,  sono state realizzate opere idrauliche adeguate, gli effetti sono stati contenuti. Si sa che l’Italia è un Paese ad alto rischio geologico (sismico, vulcanico, franoso), per cui servono interventi preventivi per la messa in sicurezza delle aree vulnerabili. L’analisi è semplice ma la soluzione difficile per via dei costi rilevanti dell’operazione; consapevolezza questa che spesso finisce per diventare un alibi, per lasciare le cose come sono.

Imprevedibilità e colpe pregresse sono, in genere le scusanti che si adducono per assolversi da qualsivoglia responsabilità. E’ un rituale che si ripete sistematicamente fomentando sentimenti di rabbia, da parte delle persone colpite nei confronti dell’autorità costituita, solo parzialmente temprati dalla tempestività degli interventi della macchina dei soccorsi e dai gesti spontanei di solidarietà della popolazione. Il tema del dissesto, pur drammaticamente evocato dalle recenti sciagure, non è il solo su cui misurare l’efficienza della pubblica amministrazione e, per capirlo, basta guardare a quanto succede con la sanità, l’assistenza sociale, le infrastrutture di collegamento o a altri settori oggi strategici come la transizione ecologica e digitale. Ognuno di questi comparti, per ben funzionare, richiederebbe un’accorta pianificazione, mentre non si va mai oltre interventi dettati dall’urgenza delle situazioni contingenti, quando non dall’emergenza.

Il cittadino si va ormai rassegnando alla mala gestione dell’apparato pubblico, manifestando una crescente sfiducia nelle istituzioni dalle quali, tende sempre più ad allontanarsi, come dimostra il calo crescente al voto. Il fenomeno, fin troppo sottaciuto, ci dovrebbe far preoccupare perché mina le fondamenta dell’ordinamento democratico. Quando il voto non serve più, decide uno per tutti; nel bene e nel male. La maggioranza delle attuali frange politiche è già orientata in questo senso, puntando all’elezione diretta del Capo dello Stato, con ampie deleghe o, a quella del Premier ma con rafforzati poteri decisionali: proposte presentate come semplificazione del sistema elettorale che non invece, come sarebbe, del sovvertimento dei poteri dello Stato.

Quale potrebbe o dovrebbe essere allora il ruolo dell’ispirazione cristiana in politica oggi in Italia.

Nel centenario della nascita di don Lorenzo Milani, ci si potrebbe rifare ai suoi insegnamenti e domandarci ancora oggi, a chi o a che cosa deve servire la politica. La deriva dei cittadini dagli appuntamenti elettorali, non sembra preoccupare più di tanto la nostra classe politica, più interessata a raccogliere la maggioranza dei consensi dell’esigua percentuale che ancora vota. La politica per i politici è incompatibile con gli insegnamenti cristiani e, soprattutto con la logica del tutto e subito, professata dagli specialisti del consenso. Quello che si fa, sembra più orientato ai ritorni in termini di immagine e, non importa se non è così utile alla collettività.

Coniugare interessi personali e bene comune, rimane un esercizio difficile, come dolorosamente insegna la vicenda del Ponte Morandi. D’altronde si sa che la realizzazione del bene comune è un’impresa che mal si concilia con la durata o la fortuna politica degli amministratori e perciò spesso passa in subordine. Il taglio dei parlamentari non ha di certo emendato il sistema, concentrando ancora di più il potere nelle mani dei partiti. Il cristiano impegnato in politica, come negli insegnamenti di don Milani, è calato nella realtà ma declina il suo agire su orizzonti ampi e tempi lunghi, dove costruire la città dell’uomo, avendo cura di migliorare il creato, a beneficio di chi verrà dopo di noi. Ma non è solo il Principio di Sostenibilità ambientale a distinguere il cristiano impegnato in politica, quanto il perseguimento ostinato del bene di tutti, pur nella consapevolezza dell’impossibilità del raggiungimento dell’obiettivo. Per questo può operare libero dall’immanenza e dalle spire della sua seduzione, secondo un costume di sobrietà di mezzi e di serenità interiore che viene dal professare un cristianesimo orgoglioso e maturo.

Concepire la politica come servizio, significa essere disponibili a impegnarsi direttamente o a farsi da parte, in ragione di ciò che è più utile al bene di tutti. La politica per professione è un’aberrazione in un sistema democratico, che dovrebbe piuttosto favorire l’alternanza delle cariche, fruendo di stimoli sempre nuovi. Chi sostiene di battersi a favore degli altri dovrebbe, per coerenza, farsi carico di oneri oltre che di onori ma, non sembra proprio che avvenga nulla del genere. Impegnarsi da cristiani in politica significa ancora, dimostrare generosità, serietà e competenza, applicandosi sempre con rigore e passione per conseguire dei risultati che possano migliorare le condizioni di tutti, e soprattutto di coloro che più ne hanno bisogno.

Per il cristiano la politica rimane una sfida per cui impegnarsi attivamente nell’ambito della propria comunità, nel rispetto della Terra sui ci è dato di vivere e perseguendo gli alti e nobili ideali di giustizia sociale. Questo io penso dovrebbe essere lo spirito con cui affrontare una nuova stagione della politica, quella che chiama a farsi carico dei problemi della collettività, con dedizione e altruismo ma anche con l’intima convinzione di chi sa che sta facendo la cosa giusta.

Adalberto Notarpietro

 

 

 

 

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