E’ stata approvata, negli ultimi giorni di dicembre ’24, la manovra economica del Governo per il 2025 e gli esercizi successivi. La discussione parlamentare si è concentrata, soprattutto, sull’esercizio 2025.
Secondo una metodologia, consolidata negli ultimi decenni, lo scontro tra i partiti di maggioranza e di opposizione si è concentrato sulle variazione in aumento o in diminuzione di questo o di quel capitolo di spesa. In termini esplicativi: più banchi di scuola e meno automezzi militari oppure l’inverso. E così via, in base ai propri interessi elettorali o alle strategie di partito. È difficile ritrovare scelte di politica economica discendenti da un modello di sviluppo, a medio-lungo termine, leggibile e condiviso dai cittadini. Invece, il documento di politica economica e finanziaria è molto tortuoso , è praticamente impossibile, per un comune elettore, calcolare il costo di questo o di quel programma o di un’opera pubblica.
È molto difficile , inoltre, poter sapere, ad esempio, partendo dai dati di base, quanto potrebbe costare la sanità italiana sulla base di uno standard di media soddisfazione della qualità del servizio sanitario; non si sa quanto dovrebbe costare la scuola dell’obbligo per dare una educazione all’altezza delle società più evolute sul piano dei diritti sociali. E così per le altre aree di costo che partecipano alla formazione del Bilancio dello Stato.
Senza aver elaborato un modello che indichi gli obiettivi di qualità sociale, indicando il relativo fabbisogno finanziario, si ottiene che il modello di politica economica reale è quello che impongono le forze dominanti il libero mercato; cioè , da un potere , che è sempre più nelle mani di pochi, in particolare dei gruppi finanziari internazionali.
L’ UE è il grande assente nelle linee strategiche di crescita economica del nostro Paese. Il Pnrr avrebbe potuto essere l’opportunità per il salto di qualità di cui c’è bisogno, come prima evidenziato. Tuttavia, non è stata scelta la strada di dare priorità alla realizzazione di investimenti strategici a medio-lungo termine; bensì, si è data priorità all’immissione di liquidità nel Sistema per sostenere la domanda a breve termine di beni di consumo.
Non si è voluto assumersi il rischio, come anche al tempo del Governo Draghi, di concentrare le risorse finanziarie nel fare gli investimenti strutturali. È, infatti, ben nota l’insufficienza della macchina tecnico-amministrativa della PA; quindi, è realistico e alto il rischio di un insuccesso , ad esempio ,del Pnrr, quale motore di investimenti nell’Intelligenza artificiale, nell’automotive, nelle energie alternative, nei sistemi di mobilità urbana, nella tutela dell’ambiente, etc. Molto più facile , invece, erogare moneta attraverso bandi di concorso per opere varie, secondo una domanda fortemente segmentata.
È, inoltre, assente, nella manovra odierna di politica economica, una utile integrazione dell’ economia italiana con quelle europee, fattibile mediante una mappa operativa di progetti europei nel campo, principalmente, della formazione professionale e della R&S . Integrazione indispensabile per realizzare una produttività concorrenziale. Senza un orizzonte europeo di integrazione degli investimenti strutturali e strategici, il singolo paese, da solo, è destinato a perdere la sfida con gli Usa e con la Cina.
A questo proposito, la linea politica di adottare dazi all’import di merci e servizi, annunciata da parte del nuovo Presidente Usa, dà forza ai processi di ‘deglobalizzazione’, che, per effetto della contrazione dell’export, possono produrre una riduzione della crescita economica.
Ciò dovrebbe indurre i governanti italiani ad abbandonare la priorità data alla domanda interna a breve temine per adottare un modello economico europeo unitario e integrato a medio-lungo termine, con al centro non l’egoismo consumistico a breve, bensì l’equilibrio sociale solidale, con una riduzione delle differenze economiche.
Roberto Pertile