Molti azionisti della BP hanno intenzione di affrontare a muso duro la gestione della società petrolifera britannica accusata di non fare abbastanza per ridurre le emissioni nocive nell’atmosfera entro il 2030.

Particolarmente intenzionati a dare battaglia sono alcuni fondi d’investimento, tra cui il National Employment Savings Trust (Nest) forte della rappresentanza di circa 11 milioni di pensionati che chiede a BP di allineare i suoi piani di riduzione delle emissioni con quanto contenuto negli ultimi accordi internazionali tesi a contrastare i cambiamenti climatici come mai prima si è fatto nel passato e come è richiesto dalle condizioni del Pianeta.

Si tratta solo della forma più estrema di un impegno che, in realtà, è stato assunto da tempo da taluni degli azionisti del gigante petrolifero britannico che stanno seguendo la strada già intrapresa da altri gestori di fondi investitori nella Shell. Anche in questo caso, gli azionisti hanno presentato una risoluzione per impegnare la società in un più marcato intervento per ridurre l’inquinamento provocato dai suoi impianti e dalle sue attività.

Il consiglio di amministrazione di BP, invece, ha esortato gli azionisti a votare contro la risoluzione, affermando che è “poco chiara”, “semplicistica” e “dirompente”. La società ha aggiunto che avrebbe minacciato la “creazione di valore a lungo termine” di BP.

E’ previsto adesso che tre importanti fondi pensione votino contro la rielezione del presidente di BP, Helge Lund, per protestare contro la decisione della società di “annacquare” gli impegni assunti. L’amministratore delegato di BP, Bernard Looney, aveva originariamente definito un piano “net zero carbon” che includeva l’obiettivo di ridurre la produzione di petrolio e gas dell’azienda del 40% rispetto al 2019 entro la fine del decennio. Ha successivamente ridotto l’obiettivo al 25% entro il 2030 dopo aver registrato i profitti più alti nei 114 anni della storia di 114 anni della BP grazie all’aumento dei prezzi del petrolio e del gas.

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