C’è una bellissima poesia di Konstantinos Kafavis (“Aspettando i barbari”) che descrive lo smarrimento ansioso dei cittadini di una città-stato che aspettano l’arrivo dei barbari.
Invece “Si è fatta notte e i barbari non sono più venuti. Taluni sono giunti dai confini e hanno detto che di barbari non ce ne sono più. E adesso, senza barbari, che sarà di noi? Loro erano una soluzione”.
Parodiando questa celebre lirica del poeta greco ai tempi nostri, con il suo finale così deludente, più che delle incertezze si coglie il senso di delusione per il protrarsi di una crisi di inerzia e il mancato arrivo di una nuova forza vitale.
Potremmo dire oggi: come nel nostro Paese che invecchia, per non dire della politica che ci ritroviamo.
Non ci si aspettava che il governo di centrodestra uscito dalle elezioni dovesse rappresentare le nuove vitalità, ma che almeno si assistesse, in meglio o in peggio, a qualche cambiamento rispetto al portamento della classe politica degli ultimi vent’anni, salvo poche eccezioni.
Invece no. E’ quasi tutto come prima, la maggioranza si è presa tutto a differenza di quanto era tradizione nella prima Repubblica (vedi presidenze dei due rami del Parlamento) e le cronache ci dicono che i nuovi arrivati non esitano ad occupare tutto il potere possibile in nome di un lesto e intensivo “spoils system de noantri.”
Tra poche settimane il Governo in carica compirà il primo anno, e riandare alle promesse elettorali largamente disattese sta diventando noioso.
Quanto alla sua attività, tutti i problemi correnti diventano emergenze e alcune emergenze diventano problemi ordinari, in attesa della legge di bilancio che costringerà a dire la verità sul reale stato del Paese.
Nemmeno le forze di minoranza, nonostante le solite contorsioni, rappresentano i “barbari” come li intendeva il poeta.
Il PD dopo gli appelli e le istanze per i diritti civili non ha perso l’occasione di collocarsi , per voce della sua segretaria, tra coloro che dicono no alle armi, ovvero al due per cento del pil per la difesa, come se gli accordi internazionali già sottoscritti nel 2014 fossero un’idea stravagante. Messa alle strette, la stessa ha specificato che l’organizzazione della difesa deve essere europea e non nazionale. Grazie, ma fino a quando non ci sarà l’esercito europeo che facciamo? E così per il lavoro: contro il jobs act voluto e votato dal PD e per il salario minimo non voluto invece dal PD quando era al governo ed ora richiesto. Difficile capire la linea del maggior partito di opposizione, e non da oggi.
Si sperava di vedere iniziative della maggioranza (o proposte delle minoranze) almeno sul ruolo del nostro Paese nel complesso e mutante quadro internazionale.
L’atlantismo e l’europeismo conclamati non sono sufficienti. Il governo si ostina a non ratificare il MES, pur sapendo che siamo l’unico membro dell’Unione a non averlo ancora fatto. Pensano di negoziarlo con l’ormai imminente patto di stabilità? Attenti perché sono molto rischiosi a Bruxelles i ricatti. Piuttosto altra dovrebbe essere la strategia della trattativa, come ad esempio quella di puntare ad escludere i rigorosi limiti di bilancio per gli investimenti strutturali.
E che dire per il Mediterraneo, dove Russia e Turchia sono in espansione sulle coste settentrionali africane, e ormai evidenti sono le ambizioni turche e cinesi sui porti di Genova, Trieste, Taranto ed altri. Che fanno maggioranza e opposizione? Si scontrano sull’idea un po’ bizzarra del ministro degli esteri di privatizzare i porti invece di confrontarsi su una strategia per il nostro mare che è considerato ormai l’oceano-mare dopo il raddoppio del canale di Suez. Vadano a Napoli a metà mese, dove la autorevole rivista Limes organizza un convegno su “La guerra che cambia il mare” con autorevolissime presenze per capire che cosa è un disegno strategico.
E così si potrebbe continuare con la scuola, dove tutte le riforme si arenano e anche quest’anno avremo almeno centomila supplenti; per la sanità dove la triste esperienza del covid non è bastata per sollecitare strutture più territoriali.
Eppure i barbari esistono, nel senso intuito dal poeta. Sono diffusi nella società civile, nel meglio delle nuove generazioni, nelle imprese di eccellenza, nelle università, nelle fatiche quotidiane negli ospedali nelle fabbriche, nelle scuole. Ma sono ai confini della cittadella della politica e, come dice il poeta, oggi rappresentano solo una speranza.
Guido Puccio