La lucida analisi di Giancarlo Infante sullo scontro di cultura avviato da Giorgia Meloni (CLICCA QUI) rende  necessaria una riflessione sulla capacità  anche del PD di mettersi in gioco in maniera del tutto autonoma e specifica. In effetti, i dirigenti del PD, non essendo riusciti a ritrovarne l’identità, hanno deciso di rinviare tutto al Congresso ritenendo necessaria una riflessione di ben cinque mesi che, invece, può concludersi rapidamente. In realtà,  l’identità da recuperare è  quella posta da  Romano Prodi a giustificazione della  fondazione del PD.

Intendo riferirmi  al modello di riformismo dell’art.2 della Costituzione, concordemente elaborato da Aldo Moro, Giuseppe Dossetti, Palmiro Togliatti e Concetto Marchesi. Il rapporto Stato/cittadino viene collocato in una terza via nella quale i diritti individuali costituiscono  la leva per l’emancipazione di ciascuno di noi, ma all’interno di una comune cornice di libertà e pari opportunità, sicché  la libertà di ciascuno (diritti) è volta al miglioramento della società nel suo complesso(doveri).

Alcide De Gasperi vi ricorse per realizzare le cinque riforme istituzionali che trasformarono un paese, arretrato e distrutto dalla guerra, in una moderna società industriale. La minoranza recalcitrante che gli si oppose, scomparve poco dopo, perché riconobbe che  detto modello era riuscito a comporre, nella migliore maniera, il contrasto d’interessi che, fisiologicamente, accompagna ogni rinnovamento istituzionale.

Romano Prodi ha informato a questo riformismo plurale ed unitario il suo impegno di fondatore del PD e di Presidente di due Governi che hanno realizzato  importanti risultati  sul piano economico e su quello di un’equilibrata politica dei  diritti civili.

Tuttavia, il PD, obbedendo alla nomenklatura interna, ha poi preferito abbandonare  il pluralismo ideologico per disseppellire uno schema sepolto da Palmiro Togliatti e Concetto Marchesi, 70 anni prima. Pertanto, ha scelto  la strada più comoda : la facile illusione che il ricorso all’aggettivo “nuovo” serva a trasformarsi  magicamente ed automaticamente in un rinnovamento istituzionale. Si è invece trovato smarrito e confuso, subendo tre scissioni  ed una crisi elettorale, culminata col disastroso 25 settembre, di fronte a quella che è stata, a ben guardare, anche la logica pregiudiziale del PNRR: senza riforme nessun finanziamento.

Che fare? Sicuramente non attendere altri cinque mesi, ma impegnarsi subito per contribuire a  recuperare l’intelligenza degli  avvenimenti perduta. Ma dove trovare “l’Attaccapanni “ (per dirla con  Luigi Einaudi)che guidi questo impegno?

Certamente in una nuova generazione di Sindaci del Nord nati al Sud. Mi riferisco ai  Sindaci di Torino e  Firenze  ed in particolare  a Virginio Merola, nato a Santa Maria Capua Vetere (Caserta ). Confermato dai bolognesi sindaco, con largissimo suffragio, ed anche eletto deputato  in uno dei pochissimi  collegi uninominali conquistati con largo successo dal  PD. Aggiungasi, poi, l’assessore campano  al Bilancio del comune di Milano, ed  il consigliere delegato al bilancio della Città Metropolitana milanese, nonché Sindaco di Bollate, lucano. Pertanto, la gestione dell’Area Metropolitana più importante  d’Italia, perché contribuisce  con il 10% al Pil, è affidata a due meridionali. Infine, non va dimenticato l‘impegno  civile dell’illustre personalità politica veneziana che si e assunta il non facile compito di assessore al Bilancio del  comune di Napoli.

Grazie a questo Attaccapanni, può essere eliminato un “collo di bottiglia” rappresentato dai contrasti d’interesse di origine territoriale che ostacolano la pronta realizzazione del Patto di Rientro (Legge di stabilità del 2022).Trattasi di un impegno comune a conciliare risanamento ed aumento degli investimenti di tre comuni meridionali (Palermo, Reggio Calabria e Napoli) e Torino, peraltro retto da Sindaco ed assessore al bilancio d’origine pugliese.

La diversità di valutazione  può essere  composta, non ricorrendo semplicemente all’aggettivo “nuovo” ma alla logica “dei risultati”, determinata dall’europeizzazione della finanza pubblica. In detto schema  è possibile individuare in un  oggettivo criterio di virtuosità finanziaria, il punto di equilibrio tra le esigenze del senso di responsabilità degli amministratori e quello di solidarietà. Vengono, cosi,  rilanciate  le tendenze contrapposte alla spesa eccessiva o, viceversa, troppo scarsa evitando, l’impoverimento del territorio regionale nel suo complesso.

Parliamo del federalismo municipale solidale, ma responsabile, basato sulle condizioni di stabilita e semplicità richieste dalla Corte dei Conti per armonizzare il federalismo fiscale con il PNRR. Per queste specifiche notazioni l’Attaccapanni può eliminare anche un altro “collo di bottiglia”,  rappresentato dall’ostacolo incontrato dal sistema delle autonomie locali a realizzare il rivoluzionario programma di riforme richiesto dal PNRR ai fini dell’erogazione dei finanziamenti.

In conclusione,  il PD dovrebbe iniziare  domani un Congresso di rifondazione, non più consistente nei soliti discorsi “omnicomprensivi “e velleitari, bensì recuperare l’intelligenza degli avvenimenti necessaria per guidare la realizzazione delle riforme del PNRR in una prospettiva di ripresa e resilienza dell’intero Paese.

Solo “mettendo a reddito” la riserva aurea rappresentata da questa storica innovazione della presenza sul territorio,  sarà possibile evitare che il prossimo congresso condanni  il PD alla “socialdemocrazia”.

 Antonio Troisi

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