Esce in questi giorni nella traduzione italiana un libro affascinante, un bellissimo racconto che richiama alla lettura lo spirito e il gusto della narrativa russa.

“Il mago del Cremlino” è stato pubblicato il mese scorso in Francia da Gallimard ed ora in Italia da Mondadori. L’ho letto in francese quasi d’un fiato tanto è appassionante, ricco di storia a noi prossima e di intelligenza degli avvenimenti.

L’autore è Giuliano Da Empoli, un giovane scrittore italiano nato in Francia e professore a Sciences-Po a Parigi.

La copertina (e certamente lo stesso autore) lo definiscono “romanzo” ma la sua ricchezza va ben oltre: un vero e proprio saggio che spalanca la realtà della Russia contemporanea, quella uscita dal crollo della dittatura sovietica, stordita dagli anni del grande caos con Eltsin e Gorbaciov e che oggi torna a sfidare con le ambizioni di un impero l’intero mondo occidentale.

Che parla è un personaggio immaginario, Vadim Baranov che nella realtà è Vladislav Surkov, il fedelissimo di Putin ora rimosso e che per vent’anni è stato uno dei suoi più ascoltati strateghi. Giovane produttore prima teatrale e poi della televisione, Baranov ha tutti i caratteri del moscovita nato fortunato: nonno funzionario di spicco dello Zar, padre presidente della accademia delle scienze e quindi uomo della nomenclatura comunista, una élite molto simile a quella della vecchia nobiltà zarista “un po’ meno elegante, meno istruita, con la stessa distanza siderale dal popolo e la stessa propulsione arrogante alla violenza”.

Baranov vive l’esperienza degli anni novanta durante la presidenza del vecchio Eltsin (cinque infarti)a Mosca, dove “senti più che altrove la presa costante del potere”, e descrive il clima della nuova realtà post sovietica con pochi tratti fulminanti: ” siamo passati dalle discussioni su Majakovki davanti a una tazza di thé, in cucina, in una atmosfera impregnata da sigarette senza filtro, al cappuccino nell’open space, disegnato da un architetto olandese, davanti a un power point, a parlare della prossima vacanza a Marrackeh”.

E’ in questo ambiente che il giovane produttore viene in contatto con i primi oligarchi in rapidissimo e mostruoso arricchimento, e tra questi in particolare con il ben noto Berezovsky che presenta Baranov ( Surkov) al giovane Putin candidato alla guida del governo.

Qui il racconto prende il volo, senza perdere il ritmo e la atmosfera della narrazione. Putin, già al vertice dei servizi segreti, rivela subito una determinazione d’acciaio. E’ il capo del governo ed esercita subito il potere con la convinzione che i russi vogliono una guida con la mano ferma e capace di restaurare l’autorità dello Stato. Freddo nei rapporti con gli oligarchi, esigente e distaccato con i pochi strettissimi collaboratori, si candida alla presidenza della Federazione russa e costruisce un largo consenso. Baranov (Surtkov) lavora a stretto contatto con il nuovo Zar e la prima prova è la guerra in Cecenia dove Putin dimostra una risolutezza impressionante dopo gli attentati a Mosca.

Poi i rapporti con il mondo: a Davos nel simposio della grande finanza, a New York e Washington nei distaccati incontri con Clinton, a Tokio, l’ossessione della squadra è sempre quella della Russia che deve essere ascoltata in particolare in Europa e in Medio Oriente, ed essere rispettata come il Paese più grande del mondo e più ricco di risorse naturali.

La lunga linea rossa che sottende il lavoro massacrante al Cremlino e ovunque è la sfida alle democrazie liberali dell’Occidente e la certezza della prevalenza della “democrazia sovrana” russa dove il potere è esercitato in modo assoluto, manipola tutti i movimenti alternativi e li controlla.

Baranov (Surkov) si ritaglia raramente spazi per frequentare il suo mondo, artisti, scrittori di teatro e poeti, compreso l’inquieto Limonov che circondato da una sorta di corte dei miracoli immagina di dare vita a un partito nazionale bolscevico, unica alternativa al regime.

Proprio in quanto romanzo, lo sviluppo che segue va lasciato al lettore non senza richiamare lo spessore dei capitoli finali, dove il protagonista si rivolge proprio all’Occidente: i vostri intellettuali sognano la rivoluzione, ebbene noi l’abbiamo fatta. Sessant’anni di comunismo e poi il momento del capitalismo. Siamo quindi andati più lontani di voi, ci abbiamo creduto ma non funziona.  Attenti, perché il vostro sistema, ci dice, “è in pericolo perché voi non riuscite ad esercitare il potere”.

Gran libro, di quelli che si vorrebbe non finissero mai.

Guido Puccio  

 

 

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