Iniziamo la pubblicazione di un intervento sulla Sanità italiana a firma di Alfredo Anzani articolato con il seguente schema:
- Premessa
- Introduzione
- Itinerari educativi:
- La responsabilità sociale in ambito sanitario
- La bioetica
- La comunicazione
- Ospedale e territorio
- I medici di famiglia
- Esempi di medicina territoriale
PREMESSA
1. Oggi la tensione alla qualità dei servizi sanitari è sempre più alta e deve confrontarsi con molteplici difficoltà da superarsi senza dimenticare i valori che non possono essere disattesi:
- la centralità della persona,
- la sicurezza, l’efficacia e l’efficienza degli interventi,
- l’equità,
- l’innovazione e la ricerca.
Questi valori, prima di essere interpretati come basilari principi di economia e di organizzazione, sono principi etici che soggiacciono all’organizzazione della sanità moderna che si ispira a principi aziendalistici.
L’obiettivo, tipico dell’azienda, di avere clienti consolidati perché soddisfatti viene utilizzato anche in campo sanitario.[1]
- L’ospedale giudicato “buon ospedale” guarda alla qualità dei servizi che fornisce.
- L’indicatore di “buon servizio” è anche la soddisfazione di chi ne usufruisce. Il paziente-cliente che lascia l’ospedale, se è stato curato bene ed è rimasto soddisfatto, continuerà a fare riferimento alla struttura che lo ha accolto nel momento del bisogno.
Se il paziente è soddisfatto, anche il fornitore del servizio è soddisfatto.
Ma se gli operatori sanitari sono persone frustrate e demotivate, l’ospedale-azienda non raggiungerà mai l’obiettivo dell’eccellenza.
“La scommessa per il futuro è il passaggio a quell’ospedale-azienda che realizzi le potenzialità di umanizzazione che ha in sé, quasi una sintesi delle esigenze implicite nei modelli di ospedale hospitium, ospedale-cittadella della scienza e ospedale presidio del welfare state”.[2]
- Per la realizzazione dell’ospedale-azienda “nuovo”, la partecipazione e il ruolo delle “risorse umane” è fondamentale perché è indispensabile strumento delle attività, delle modalità operative, organizzative e dei risultati[3].
Questa partecipazione si ottiene trasformando le strutture attuali in un sistema di grande sviluppo professionale e terapeutico con una visione di obiettivi e non di mera prestazione, garantendo un coordinamento ed una specifica responsabilità di riferimento, per favorire elasticità, tempestività e correttezza di risultato.
Il risultato è garantito là dove le competenze
- sono prevalenti sulla discrezionalità di coordinamento dirigenziale e
- sono orientate alla professionalità e alla competenza specifica
con attribuzioni definite, anche economiche, nell’utilizzo delle risorse effettivamente disponibili.
Le conoscenze e le competenze di tutto il personale sono il patrimonio immateriale delle aziende e non tenerne conto facilita l’abbassamento del livello di qualità dei servizi e i relativi risultati. La presenza di tecnologie è spesso indispensabile per ottenere un chiaro risultato diagnostico e terapeutico, ma senza l’operatore, professionista esperto, non possono risolvere le problematiche espresse dai cittadini che si rivolgono ai servizi.
- L’obiettivo aziendale è quello di offrire le migliori condizioni agli operatori in modo che possano esercitare le loro attività e sviluppare conoscenze per favorire un risultato clinico e relazionale al più alto livello possibile.
- L’obiettivo fondamentale di un nuovo recupero professionale orientato ad una elevata cultura sanitaria è costituito dalla formazione professionale ai più alti livelli e dal riconoscimento dei risultati positivi raggiunti.
“Chi fa molto lavoro è efficiente ma se trascura l’essenziale non è efficace perché fa soltanto un mucchio di cose”. (Peter Ferdinand Drucker)
- Il capitale umano[4] costituisce uno degli asset fondamentali a disposizione delle aziende per raggiungere i risultati di business: oggi, in particolare, per poter valorizzare le core competencies aziendali occorre
- trattenere i talenti ed attrarne di nuovi,
- puntare sullo sviluppo e sul riconoscimento delle risorse.
In questo contesto, le politiche e le scelte retributive (o politiche di Total Reward) costituiscono un elemento fondamentale per la gestione delle risorse umane. Si tratta infatti di quella serie di scelte che sono volte ad allineare l’operato delle persone con le priorità strategiche dell’azienda e con gli obiettivi delle unità funzionali a cui appartengono.
- Il lavoro umano[5] ha una duplice dimensione: oggettiva e soggettiva.
Il lavoro in senso oggettivo costituisce l’aspetto contingente dell’attività dell’uomo e varia nelle sue modalità con il mutare delle condizioni tecniche, culturali, sociali e politiche.
- In senso soggettivo si configura come la sua dimensione stabile, perché non dipende da quel che l’uomo realizza concretamente né dal genere di attività che esercita, ma solo ed esclusivamente dalla sua dignità di essere personale.
La soggettività conferisce al lavoro la sua peculiare dignità, che impedisce di considerarlo come una semplice merce o un elemento impersonale dell’organizzazione produttiva.
Il lavoro, indipendentemente dal suo minore o maggiore valore oggettivo, è espressione essenziale della persona. Qualsiasi forma di materialismo e di economicismo che tentasse di ridurre il lavoratore a mero strumento di produzione, a semplice forza-lavoro, a valore esclusivamente materiale, finirebbe per snaturare irrimediabilmente l’essenza del lavoro, privandolo della sua finalità più nobile e profondamente umana.
La persona è il metro della dignità del lavoro.
La dimensione soggettiva del lavoro deve avere la preminenza su quella oggettiva, perché è quella dell’uomo stesso che compie il lavoro, determinandone la qualità e il valore più alto. Se manca questa consapevolezza oppure non si vuole riconoscere questa verità, il lavoro perde il suo significato più vero e profondo: in questo caso l’attività lavorativa e le stesse tecniche utilizzate diventano più importanti dell’uomo stesso e, da alleate, si trasformano in nemiche della sua dignità.
Il valore del “capitale umano” trova espressione
- nelle conoscenze dei lavoratori,
- nella loro disponibilità a tessere relazioni,
- nella creatività,
- nell’imprenditorialità di se stessi,
- nella capacità di affrontare consapevolmente il nuovo, di lavorare insieme e di saper perseguire obiettivi comuni.
Si tratta di qualità prettamente personali, che appartengono al soggetto del lavoro più che agli aspetti oggettivi, tecnici, operativi del lavoro stesso.
Tutto questo comporta una prospettiva nuova nei rapporti tra lavoro e capitale: si può affermare che, contrariamente a quanto accadeva nella vecchia organizzazione del lavoro dove il soggetto finiva per venire appiattito sull’oggetto, sulla macchina, oggi la dimensione soggettiva del lavoro tende ad essere più decisiva e importante di quella oggettiva.
- Un corretto processo di valutazione delle prestazioni degli operatori sanitari condurrà ad un corretto sistema premiante aziendale la cui strategia stabilirà:
- cosa premiare,
- come premiare,
- chi premiare.
INTRODUZIONE
Non va dimenticato che, oggi, l’arrivo del Covid-19 ha rivoluzionato tutta la nostra esistenza e ha messo alla prova, sconvolgendoli, i nostri costumi sociali e la nostra cultura.
È andata in crisi l’organizzazione sanitaria: la medicina di base, gli ospedali con le terapie intensive, le attività socio-sanitarie, le RSA, i servizi sociali. Immediate e improvvise sono state le trasformazioni economiche e lavorative; così pure i cambiamenti nei rapporti familiari, nei rapporti sociali, con profonde trasformazioni nella vita scolastica, accademica, religiosa, politica.
Questa pandemia ha smantellato l’incrollabile fede nella scienza e nella tecnica. La forza dell’evidenza pratica ha rivelato a tutti che il nostro straordinario progresso è un “gigante dai piedi d’argilla”. In crisi non sono gli scienziati e i ricercatori, il cui lavoro è quanto mai necessario e prezioso, ma lo scientismo, cioè quel pensiero che attribuisce alle scienze fisiche e sperimentali e ai loro metodi la capacità di soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell’uomo.
Da una parte, il potere di un virus ha rivelato la fragilità dell’uomo, la sua finitudine, l’esposizione alla malattia e al dolore, l’insufficienza drammatica delle risorse e delle capacità organizzative nel far fronte ai bisogni e alla paura della morte. Quest’ultima, in particolare, dopo essere stata cancellata e oscurata in tutti i modi, ora si è violentemente e prepotentemente riconquistata la scena colpendo gli affetti e i legami parentali in modo brutale, come nelle immagini agghiaccianti dei camion militari che portano vie le bare in luoghi lontani.
Dall’altra parte, questo virus ha messo in evidenza i vincoli che ci legano gli uni agli altri. Lo ha dimostrato la testimonianza dei medici, degli operatori sanitari, tutti in prima fila accanto a chi è stato colpito. Ne è scaturita un’incredibile esperienza di solidarietà resa possibile da un’eccezionale dedizione umana.
La ricerca delle strategie per uscire dalla crisi in cui ci troviamo non è compito da affidare unicamente a specialisti e tecnici della sanità, dell’economia, della politica. La vita umana non può ridursi ad una questione sanitaria, a un calcolo economico, a strategia politica. Dalla crisi si esce tutti insieme.
Oggi, ci viene richiesto di modificare i nostri modelli di comportamento e i nostri costumi sociali. Siamo invitati a ripensare il significato profondo della nostra umanità, riandando alle grandi questioni della vita: gli affetti, i legami personali, la cura reciproca nei campi della salute, dell’educazione, dei rapporti tra generazioni e tra culture, la cura del bene comune e della casa comune, la fraternità e la solidarietà che sono più forti delle differenze e dei conflitti[6].
“La forma più rigorosa di follia oggi è la tecnica: viviamo il tempo del passaggio dalla tradizione a questo nuovo dio. La globalizzazione autentica non è quella economica, è quella tecnica. Commettiamo l’errore di credere che capitalismo e tecnica siano la stessa cosa: no, hanno scopi diversi. Il capitalismo ambisce all’incremento infinito del profitto privato, la tecnica all’incremento infinito della capacità di realizzare scopi, ovvero della potenza. La tecnica ucciderà la democrazia, a partire dagli Stati più deboli […] . Ora fatichiamo a comprenderlo, perché ci troviamo in un tempo intermedio. Siamo come il trapezista che ha lasciato un attrezzo (la tradizione) e non si è ancora aggrappato all’altro (la tecnologia, il nuovo dio). Siamo sospesi nel vuoto e ci sembra di essere sperduti”. (Emanuele Severino)[7]
Dobbiamo tornare a riflettere, a pensare, a discutere prima di tutto sulle finalità del nostro vivere. Poi ai mezzi e agli strumenti da utilizzare.
Abbiamo bisogno di una politica che superi l’egoismo favorendo una nuova cultura: quella che è alla base della “civiltà dell’amore”.
Don Luigi Verzé, Fondatore del San Raffaele, così ha lasciato scritto:
“L’ospedale solamente curativo è del passato. Il presente e l’avvenire vogliono l’ospedale intelligente, luogo di panoramica culturale, di scienza per la vita, di tutela e sviluppo della salute perfetta”.
“L’ospedale […] è tempio dove la medicina è sacro ministero, dove la ricerca a servizio della vita è obbligo, dove scienza e fede sono gemelle con analoga dignità, dove tutte le scienze – biologia, clinica, filosofia, antropologia, teologia – sono coalizzate, senza biechi guardiani, a difesa dell’uomo integrale. La vita, con tutto quello che la compone, la sofferenza compresa, non è un mistero inaccessibile, è piuttosto una miniera in proprietà, da conoscere attraverso un’esplorazione intelligente.”
In questo tipo di ospedale “le strutture sono progettate per accogliere l’uomo non più quale macchina morfofisiologica, ma quale complesso di componenti bio-psico-spirituali”. E il modello di ospedale inteso come statico e pietoso ricovero è stato sostituito da un altro inteso come concentrazione dinamica di energie intellettuali, economiche e politico-sociali, dove il malato sia il soggetto dominante, da risanare, certo, ma anche da educare al senso della vita-salute come massimo bene. Per questo il vero ospedale moderno non può non essere centro di ricerca e centro di didattica e formazione degli operatori sanitari”.
L’ospedale deve diventare “luogo di civiltà avanzata, dove all’ammalato va fornito il clima più umano, più scientificamente garantito, dove i mezzi più sofisticati e il trattamento più nobile sono a disposizione di tutti senza discriminazione di credo, di classe, di età, di possibilità economiche, e sul criterio che ogni investimento scientifico-assistenziale, per quanto costoso, è modesto rispetto al valore che Dio attribuisce all’uomo, ad ogni uomo. Salute come investimento pubblico per migliorare la società e i suoi prodotti. Medicina, quindi, non tamponatrice, ma organizzazione della prevenzione ai fini di una vita più sana e più lunga”.
“Un luogo dove l’amore di Dio diventa evidenza di opere. Dove chi lavora, chi soffre, chi muore non si sente catalogato secondo patologia, religione, cultura, denaro, gerarchia, ma si sente soltanto prediletto di Dio, perché amato da tutti quelli che lo curano. Si sente uomo tra fratelli alla ricerca della stessa verità senza barriere. Si sente uomo più vero nel momento del patire e del morire, perché lì si sente amato. Si sente importante perché molti uomini gli stanno intorno a cercare, a studiare, ad affannarsi ad accudire per amore. Si sente dolcemente portato ad amare, perché gusta il tepore della famiglia proprio là dove inquieto paventava solitudine ed indifferenza. Allora l’ospedale diventa luogo privilegiato e sacro, dove senza astrattismi, senza discriminazione, senza limiti e con fortunata immediatezza vi si può realizzare la vocazione di uomo vero, di professionista e di autentico cristiano in forza dell’amore”.
“Insegnare non certezze ma il bisogno di domande. Per questo occorre il maestro: docente, istitutore, méntore, eccellente in qualità, artefice, dominus in stile di comportamento, di equità, di arte, di eleganza, di milizia, di giustizia, di vita spirituale, di medicina, di conoscenza dell’uomo. Magister, magis, “più”. La messa a disposizione del proprio essere “magis” non a servizio di se stessi ma degli altri nasce da un carisma, da un dono. Il mestierante, invece, è una infezione pervasiva di tutte le professioni, perfino di quella religiosa, una infezione indotta dalla cupidigia di carriera, di quattrini, da smania del potere, e, pur anco, di pigrizia”.
Come deve essere un ospedale nuovo?
Non solo il luogo di dolore ma anche di speranza: “quella degli stessi infermi, i quali sentono insopprimibile la bellezza della vita; quella dei loro parenti e conoscenti, che dividono con essi la fiduciosa attesa di un miglioramento che preannunci la prossima guarigione”. “Luogo di sofferenza a cui si accompagna la speranza, l’ospedale è anche il luogo in cui si lotta per far sì che tale speranza diventi quanto prima realtà. L’attività sanitaria tende per natura sua a difendere la vita e a promuovere la salute di qualunque essere umano in difficoltà”[8].
L’ospedale nuovo è quello dove ti curano al meglio, mettendo a disposizione tutto quanto è necessario per la diagnosi e la terapia. L’ambiente è a misura d’uomo nel senso che tutto, dai muri ai servizi, al personale che si interessa di te, rispetta la tua dignità.
La malasanità non sempre è da relazionarsi al comportamento medico, comunque sempre passibile di essere accusato di negligenza, imprudenza o imperizia. A volte essa è direttamente collegata anche con l’incuria di chi amministra e contribuisce a non rispettare la dignità del malato e di chi lo assiste. Il problema resta quello di saper coniugare, nell’ambito della gestione della sanità, l’efficienza, l’efficacia, l’economicità con l’etica, in tutte le sue espressioni.
È necessario, poi, cercare di rendere visibile il significato della sofferenza umana, del dolore, della malattia, e cercare di comprendere il perché del curare e del guarire. Anche il tentativo di dare una risposta a questi interrogativi rientra nel dovere di chi presta la sua opera accanto ai malati, perché essi sono persone e non oggetti rotti da aggiustare.
Il medico, e con lui l’operatore sanitario generalmente inteso, deve possedere un bagaglio culturale del tutto peculiare: oltre al sapere scientifico deve possedere anche un sapere umanistico. Solo così egli, non solo potrà sapere, ma sarà in grado anche di comprendere il soggetto-oggetto delle sue attenzioni e cure: l’uomo-persona malato.
“La scienza si sa e l’uomo si comprende” ha affermato il medico spagnolo Maranon[9] secondo il quale l’umanesimo va inteso come “una delicata attitudine, spontanea, quasi automatica, per dare trascendenza di eternità, e pertanto di interpretazione serena, misericordiosa e chiara, alla realtà che ci offre l’esistenza di ogni giorno. Per questo è necessario comprendere tutto, che è più che sapere tutto”. Commenta Diego Gracia[10], professore di bioetica: “Lo scienziato sa, mentre l’umanista comprende. E il medico, che è scienziato di uomini, e di uomini malati, deve essere allo stesso tempo scienziato ed umanista. Non deve solo sapere che cos’è la malattia, ma anche capire il malato”.
Si può affermare che l’ospedale è a misura d’uomo:
- se costruito in modo tale da rendere la degenza più confortevole possibile;
- se le cure prestate sono corrette e proporzionate al bisogno, senza nulla tralasciare quando necessario;
- se nel proprio operato il medico rende visibile e credibile la motivazione profonda che è sottesa ai i suoi gesti e che aiuta il malato, in autentico spirito di servizio, a vivere con dignità la propria malattia.
Tutto questo potrà sembrare utopistico: e dove si trova un ospedale così?
Forse davvero non esiste. Ma ciò che viene richiesto a tutti gli operatori e amministratori sono la tendenza, il desiderio, la tensione e il coraggio di mettere mano a realizzare un’opera con queste caratteristiche pur consapevoli della caducità umana che inesorabilmente accompagna ogni iniziativa umana e ne rimarca i limiti.
Questa sfida è di proporzioni enormi.[11] Si tratta di saper coniugare adeguatamente la tecnica e l’umanità, la scienza medica e l’arte della medicina, la professione e la missione, il massimo di efficienza ed efficacia con il massimo di comprensione per i bisogni – non soltanto fisici – del malato d’oggi, l’intelligenza e l’abilità con il cuore.
La nuova assistenza si deve basare:
- sulla cultura, intesa in senso anche umanistico, cioè non limitata alle competenze tecniche;
- sull’etica, intesa come sensibilizzazione degli operatori ospedalieri alle problematiche etiche;
- sulla tecnologia, intesa come spazio dove debbono trovare attuazione le metodologie più avanzate di diagnosi e di terapia.
Occorre non dimenticare[12] che per risolvere le questioni emergenti si ha soprattutto bisogno di dettagliate conoscenze empiriche, di saggezza esperienziale appropriata e di capacità di giudizio, perché bisogna individuare e soppesare i valori ed i non valori concorrenti. Ma anche quando questi presupposti dovessero essere stabiliti nel migliore dei modi, in questo ambito operativo restano sempre zone grigie e con esse spazi di giudizio discrezionale. In generale si può dire che risulta più facile raggiungere il consenso su ciò che è sicuramente ingiusto, piuttosto che su ciò che hic et nunc è da considerare giusto.
Per quanto riguarda il settore medico l’ospedale deve attrezzarsi soprattutto sul piano della cultura degli operatori[13], l’unico patrimonio in grado di migliorare significativamente la qualità dei risultati clinici.
La preparazione clinica è essenziale per decidere le procedure da adottare, ma anche per comprendere quando è possibile dimettere il paziente. Questo insieme di conoscenze “soft” spesso non si può fondare su dati “hard” (come il laboratorio o le immagini) che tardano a modificarsi rispetto all’evoluzione clinica; è quindi sostanzialmente basato sull’esperienza del medico e sulla sua sensibilità.
L’ospedale, per sviluppare questa componente dell’attività, deve far crescere la cultura e la formazione degli operatori, allenandoli attraverso il lavoro di équipe a comprendere in modo unitario (e quindi prognostico) condizioni altrimenti frazionate in mille diversi punti di lettura, utilizzando come cornice operativa le indicazioni delle linee guida.
Si potrebbe delineare il quadro di un settore medico dell’ospedale che riesce a coniugare l’alta standardizzazione con la cultura degli operatori e la loro capacità di comprensione umana dei problemi clinici. In questo caso l’outcome va spesso misurato su parametri di lungo periodo e quindi l’ospedale deve essere attrezzato a seguire il paziente nei suoi itinerari di vita, talvolta anche complessi, come è complesso lo stile di vita di molti ammalati cronici.
Per facilitare la realizzazione di una cultura nuova può essere utile riflettere sui seguenti tre temi che reputo fondamentali per lo sviluppo di nuovi sistemi di gestione del personale in campo sanitario:
- la responsabilità sociale,
- la bioetica,
- la comunicazione.
attraverso l’offerta di servizi, di prestazioni e di know-how nel contesto di un autentico umanesimo. ( Segue )
Alfredo Anzani
[1] S. Spinsanti, L’ospedale è un luogo etico? In Quale ospedale per il XXI secolo? I quaderni di Janus. Zadig Roma ed. 2002.
[2] S. Spinsanti, op. cit.
[3] G. Imbalzano, https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=31935
[4] Guida alla progettazione. Rapporto realizzato da OD&M Consulting in collaborazione con Manager Ricerche Direzionali di Bologna per UNINDUSTRA BOLOGNA, www.odmconsulting
[5]www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html
[6] M. Chiodi, Come si è annunciata la malattia, www.ftismilano.it/
[7] www.corriere.it/italiani//notizie/emanuele-severino-un-tedesco-mi-consegno-mitra-scappo-883591e0-0c74-11e9-a68b-18db728c9ce6.shtml
[8] Giovanni Paolo II, Al personale dell’ospedale nuovo Regina Margherita, Roma, 20 dicembre 1981.
[9] G. Maranon, Vocacion y etica. Obras completas, IX Expasa, Calpe, Madrid 1973, 661-2
[10] D. Gracia, Vecchie e nuove medical humanities: la via spagnola, Arco di Giano, ed. F. Angeli, 4, 1994, p. 15.
[11] C. Bonfioli et al., Reinventare l’ospedale. Pietas e Qualità: l’ospedalità religiosa oggi. Ed. San Paolo, 1994.
[12] D. Witschen, Giustizia in Dizionario di Bioetica, pp. 434-439, ed. EDB-IBS, 1994.
[13] M. Trabucchi, Università di Roma “Tor Vergata”, Attività ospedaliera e ricerca degli outcome. Tendenze, Smith Kline.