Gli equilibri di governo stanno per saltare, più rapidamente di quanto molti immaginavano.
Personalmente, se dovessi scommettere (non metaforicamente ma rischiando denaro vero), non darei più del 10-20% di chances alla sopravvivenza dell’attuale compagine fino alla prossima manovra.
Comunque l’agenda dei prossimi mesi sarà interamente occupata dalla severità della situazione economica che si viene manifestando giorno dopo giorno. Sempre che non intervengano elementi ulteriori, collegati alla crisi (es. ulteriore inasprimento dell’epidemia) o esogeni (es. crisi libica).
Il mio auspicio – molto radicale, lo ammetto – sarebbe che uscissero di scena per un po’ tutti i politici. Non credo assolutamente che la tecnocrazia sia la nuova terra promessa e quindi quando sento “governo tecnico” mi scende sullo sguardo un velo di sconforto, ma vedo oggi la nostra intera classe politica in un così precario stato di salute e quindi in una tale necessità di catturare con qualunque mezzo il consenso (o per lo meno l’attenzione di qualche telecamera) da non essere oggettivamente compatibile con le difficoltà che il Paese dovrà affrontare nei prossimi mesi (e speriamo che non si tratti di anni!).
I provvedimenti d’emergenza sono il terreno privilegiato dell’azione politica, ma quando i politici sono stati ridotti al rango dei nostri attuali, allora vanno molto meglio i tecnici.
Certi esibizionismi, certe fisionomie, un certo linguaggio: tutte cose in conflitto stridente con la serietà delle questioni che assediano la nostra comunità. Comunità che, intendiamoci, ha commesso a sua volta grandi errori (es. il voto del 4 marzo 2018) ma che non merita comunque l’olocausto a cui sembra ormai votata.
Ma se governo tecnico non sarà, e si dovranno invece mettere insieme – in una specie di unità nazionale – le attuali forze politiche, allora mi sento – sulle orme del gigantesco Swift – di avanzare anche io, sommessamente, la mia (semiseria) modesta proposta.
Il Governo eccezionale, si desse come obiettivo quello di far recuperare credibilità alla democrazia e alla Politica (nobilissima arte mai caduta tanto in disgrazia) attraverso due semplici mosse:
- scegliendo un unico punto programmatico, una (delle tante nostre) “priorità” – c’è solo l’imbarazzo della scelta – e realizzandolo con efficienza e rapidità;
- decretando una moratoria generale, cioè una astensione – per un predeterminato arco temporale – da ogni intervento, che non sia la mera gestione dell’ordinaria amministrazione e dell’emergenza (per la quale ultima, come si è detto, vanno benissimo anche i tecnici).
Sul punto 1., mi permetterei di suggerire il sistema scolastico e universitario. A parte – ripeto – le emergenze, è questa, per me, la priorità del nostro Paese e sarei contento se fosse questo il tema prescelto per tre motivi:
- il primo è che il nostro sistema scolastico è davvero ridotto molto male e – se guardiamo appena al di là del nostro naso – sarà la più grande palla al piede per l’Italia del futuro, cioè per i nostri nipoti (i figli ormai stanno già pagando le conseguenze irreversibili del suo fallimento);
- il secondo motivo è che sarebbe la riforma più facile del mondo: si tratterebbe solo di realizzare la piena liberalizzazione dell’istruzione ed equiparazione fra istruzione pubblica erogata da soggetti privati ed istruzione pubblica erogata dallo Stato (principi ispiratori di una legge del 2000, mai realmente implementata). Non ci sarebbero interminabili indagini conoscitive, commissioni di studio, rapporti, dibattiti, passaggi parlamentari, schermaglie televisive. E neanche leggi da scrivere. E’ già tutto pronto. Al massimo, si discuterebbe sui mezzi più efficaci (voucher o altro) per ottenere quel risultato davvero decisivo: la rottura del monopolio, la sana concorrenza, da cui – sono fiducioso –partirebbe in automatico un percorso di “ricostruzione” del sistema scolastico;
- il terzo motivo è che finalmente si manderebbe a questo paese esausto un messaggio che riguarda il futuro. Cioè un messaggio di speranza. E questo credo che oggi sia il vero punto. Gli uomini delle istituzioni direbbero agli italiani che essi credono che esista un futuro per questo Paese: i loro comportamenti da un po’ di tempo a questa parte hanno ingenerato seri dubbi in proposito! L’impressione che producono i loro comportamenti (e anche i loro volti) è che in cima ai loro pensieri ci sia più la composizione del prossimo Parlamento che le opportunità formative e di benessere di mia nipote.
Ma il tema scolastico è solo un suggerimento soggettivo: può essere sostituito con un altro. Purché l’unico punto programmatico poi venga fatto. Rapidamente e concretamente. Questo solo darebbe a tutti noi la dimostrazione che politica e governo ancora servono.
Credo che invece, il vero punto qualificante la mia proposta sia l’altro: la moratoria su tutti gli altri temi di governo.
Da molto tempo mi sono convinto che l’azione dei Governi sia molto meno dannosa quando questi stanno fermi piuttosto che quando si agitano.
Alla classe politica suggerirei: lasciate le cose così. Almeno per un po’. Lasciate che le questioni si decantino. Rifletteteci un po’ più a lungo prima di mettere mano alle leggi. Siamo ormai arrivati al punto che le leggi si approntano in fretta e furia solo perché un Ministro, non sapendo cosa rispondere ad un giornalista (magari su materia che egli totalmente ignora), ha avuto il colpo di genio di annunciare qualche eclatante intervento normativo (non scherzo!). Ad esempio, leggo che un viceministro cinque stelle (Cancelleri) ha preannunciato una sua proposta risolutiva sul codice appalti per “far partire subito le opere” (!!!)
Ecco, mi sembra che sia il caso di fermarsi e di riassestare qualcosa.
Credo circoli nel Paese anche una certa stanchezza per le sintesi programmatiche: per i 10, i 7 o anche i 3 punti prioritari, per i “pacchetti”, per le liste di ogni genere che (molti temono) servano solo ad alimentare i talk show.
Un progetto concreto (magari dotato di una qualche forza simbolica e di autentica speranza), sviluppato e implementato realmente e – per il resto – moratoria generale!
Credo che gli italiani apprezzerebbero.
Enrico Seta