Il discorso del presidente ucraino Zelenski di fronte al Parlamento europeo, e subito dopo la sua partecipazione al Consiglio Europeo, cioè l’incontro con le due istituzioni dell’Unione Europea che rappresentano la rappresentanza democratica diretta dell’intero popolo dell’Unione la prima e la rappresentanza degli stati membri la seconda, segna un momento di altissimo simbolismo politico non solo per l’Unione Europea ma anche per l’Europa più vasta che non è contenuta nei confini dell’UE e in particolare per l’Ucraina. Vedremo meglio nelle prossime settimane e mesi quali ricadute concrete avrà questo momento sulla terribile vicenda della guerra. E tuttavia nella vita politica non si deve mai trascurare l’importanza di eventi simbolici forti per la loro capacità di orientare e riorientare gli schemi mentali che poi guidano concretamente le azioni politiche.

Quale è questo simbolismo? Mi pare stia tutto nel dialogo che si propone con forza nel buio di una guerra terribile originata dall’aggressione di una grande potenza come la Russia nei confronti di uno stato più piccolo, collocato in quell’area grigia del continente che non aveva nessun forte ancoraggio politico e militare. E’ il dialogo tra uno stato europeo aggredito che non fa parte dell’Unione Europea, ma a questa si rivolge perché sente che in qualche modo non può non sentirsi parte di una Unione che non è solo un’unione economica, ma ancor prima un’unione di democrazie, di stati di diritto, di stati sociali, e che pur con tutti i suoi limiti rappresenta la più avanzata forma di organizzazione pacifica dello spazio europeo (o perlomeno di una parte molto grande di questo).

Per l’Ucraina è chiara la grande importanza di questa calorosa accoglienza da parte dell’Unione europea attraverso le sue più alte istituzioni (aggiungiamo per completare il quadro la recente visita della Commissione europea a Kiev). Conferma l’impegno dell’Unione e dei singoli stati membri alla continuazione dell’invio di aiuti militari e civili all’Ucraina per resistere all’invasione russa e ristabilire la sovranità e integrità del paese. Trasmette al Cremlino l’immagine plastica del consolidarsi dell’unità di intenti dell’UE che il leader russo sperava di incrinare.

Ma credo che non dobbiamo sottovalutare l’importanza di questo momento per l’Unione Europea stessa. Significa che l’Unione prende atto in maniera politicamente ufficiale e solenne delle sue responsabilità nei confronti dell’intero continente, anche di quelle parti che non sono nell’UE. Naturalmente non è che questo avvenga all’improvviso. Nei lunghi mesi della guerra l’Unione e si suoi stati membri hanno già più volte ribadito a parole e nei fatti concreti questa presa di responsabilità. Ma la solennità istituzionale di questa giornata dà un rilievo inedito a questa posizione.

Con la sua grande e pacifica espansione degli ultimi decenni, l’Unione europea ha acquistato una tale dimensione sul continente (e in realtà anche nel mondo) da non potersi più accontentare dello “sguardo verso l’interno”, cioè delle preoccupazioni certamente non banali che derivano dalla necessità di armonizzare 27 paesi e le loro politiche economiche e di bilancio (per non parlare di altre). E’ diventato chiaro che deve affiancargli lo “sguardo verso l’esterno”, che vuol dire prima di tutto mettere a fuoco il problema di un ordine pacifico da restaurare e costruire nel continente. Da questo punto di vista deve essere, in retrospettiva, pienamente rivalutata la positività dell’allargamento dell’Unione ai paesi dell’Europa centro-orientale (contrariamente ad una opinione diffusa presso molti che essa fosse prematura).  Pur assumendosi con quella scelta molti problemi di coordinamento interno, l’Unione europea ha contribuito a creare un’area di pacificazione in una parte importante di quella che era un’area grigia tra Ovest ed Est, aperta a molte possibili tensioni. Semmai c’è da rammaricarsi che non si siano con sufficiente attenzione e serietà considerati i problemi ben più complessi che si ponevano per il grande paese che restava fuori, cioè l’Ucraina.

Non è certo il momento di approfondire le questioni del passato anche se necessariamente nel pensare al futuro bisognerà tenere conto degli errori e omissioni preteriti.

Ora è il momento in cui la presa di coscienza da parte dei paesi dell’Unione Europea che, in un mondo in cui gli elementi di incertezza globali e regionali sono in chiaro aumento, il futuro del grande spazio economico e sociale unificato che è stato il grande risultato storico di decenni di lento e paziente lavoro non può essere garantito se l’Unione Europea non riesce a sviluppare una capacità di visione e azione che abbracci i temi della sicurezza e della pace. Questo vale oggi in maniera drammatica a Oriente con la guerra di aggressione russa ma anche verso Sud, il mediterraneo e l’Africa, che richiedono una nuova consapevolezza collettiva europea.

In questo momento storico nulla sembra di più appropriato nella sua icasticità che l’appello di Papa Francesco sulla scia dei precedenti pontefici: “Europa ritrova te stessa! Ritrova dunque i tuoi ideali cha hanno radici profonde. Sii te stessa!” (dal messaggio del 2020 per i 50 anni delle relazioni tra Santa Sede e Unione Europea).

Ciò significa ricordare che il cammino dell’integrazione europea è partito proprio da una visione politica che aveva al suo centro il problema della costruzione di un ordine di pace e sicurezza in Europa, inizialmente concentrato sul superamento dell’ostilità franco-tedesca, ma aperto ad un orizzonte più ampio. E se le contingenze storiche hanno poi reso più facile sviluppare gli aspetti economici e di unificazione dei mercati di questo progetto, la costruzione del sistema europeo non ha mai negato le valenze più ampie, le hanno semplicemente lasciate “dormire”. Oggi è giunto il momento di iniziare a completare, gradualmente ma con determinazione, la costruzione europea sul versante politico. Come spesso è successo nella storia dell’Unione Europea anche oggi è una grave crisi che da un lato evidenzia le serie insufficienze degli assetti esistenti, ma dall’altro lato sollecita e attiva le capacità potenziali dell’Unione e del suo sistema istituzionale di andare oltre lo status quo per far fronte alle nuove responsabilità.

Quali sono allora i temi da approfondire della sfida alla quale l’Unione europea ha cominciato a rispondere? Il primo tema è appunto l’assunzione convinta di una corresponsabilità nella costruzione di un ordine giusto e pacifico per l’Europa intera. Il che vuol dire anche ripensare priorità e assetti della stessa Unione Europea. Il secondo è il pieno riconoscimento che la precondizione per questo obiettivo è di contribuire con decisione a fermare e respingere il disegno di Putin di asservimento dell’Ucraina, con tutto quello che comporta in termini di aiuti civili e militari. Il terzo è quello di prepararsi a immaginare un ordine europeo nel quale anche la Russia del dopo Putin possa trovare uno spazio che rispetti i suoi giusti interessi. Un vasto programma certamente, ma questa guerra ci ha insegnato che il semplice cabotaggio non è più sufficiente. Sarà capace l’Unione Europea di affrontare questo cammino con la necessaria serietà e determinazione? Lo vedremo presto.

Maurizio Cotta

 

 

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