Sarebbe ragionale immaginare che l’emergenza  Coronavirus porti a rinviare il referendum confermativo sul cosiddetto “taglio dei parlamentari”. L’appuntamento referendario è fissato per domenica 29 marzo.

Una calamità così grave e diffusa difficilmente potrà rientrare definitivamente nel giro di qualche settimana, anche se tutti ce lo auguriamo.

La macchina dello Stato, nelle sue diverse articolazioni, non solo sanitarie, è impegnata, giustamente, a far fronte all’emergenza. Al momento, tuttavia, non vi è alcuna ipotesi di sospensione.

Eppure, giungo a dire che si tratta di un referendum che è soltanto uno spreco di cui il Paese farebbe volentieri a meno, visto che costerà circa tre milioni di euro.

Questa chiamata alle urne  rappresenta una soluzione sbagliata a problemi reali che investono il sistema istituzionale.

Non è più sufficiente parlare di riforme, come ci ammonisce quotidianamente Stefano Zamagni, ma è necessario avviare un processo di trasformazione in tutti i campi: sociale, economico, produttivo, fiscale, della pubblica amministrazione, delle autonomie locali, dell’impresa, della scuola, del terzo settore e il resto. Compreso quello istituzionale che chiama in causa per prima cosa il sistema elettorale, che rappresenta il punto di partenza per iniziare un percorso in fondo al quale potremmo veramente intravvedere un’altra Repubblica.

Così, nel mio piccolo, ho messo a punto una proposta di riforma elettorale, portata all’attenzione del competente gruppo di lavoro costituito da Politica insieme, per mettere in moto quel processo di trasformazione.

Limitandomi a Montecitorio, per restare nello spazio di un articolo, ho ipotizzato una Camera dei deputati  di 480 deputati, distribuiti in numero eguale tra donne e uomini.

L’elezione dovrebbe avvenire sulla base di 240  collegi bi-nominali di un’ampiezza comprendente  circa 250mila abitanti. Questo garantirebbe, da un lato, la rappresentanza di tutti i territori, dall’altro, consentirebbe la costituzione di collegi di media dimensione nei quali i candidati possano essere sufficientemente conosciuti.

Collegi bi-nominali perché donna e uomo verrebbero eletti con il voto espresso su due schede separate: se uno o entrambi non superano il 50%+1 dei voti, si andrebbe al ballottaggio dopo 15 giorni tra i due candidati che avrebbero raccolto più voti.

Questo sistema valorizza la figura del candidato/a, e costringerebbe i partiti ad indicare candidati in grado di andare oltre il proprio bacino elettorale.

Un’altra importante novità prevista nella mia proposta, è costituita dal superamento della votazione universale: infatti, la Camera verrebbe rinnovata per un terzo ogni tre anni con l’elezione a rotazione di 160 deputati (80 donne e 80 uomini). In questo modo si toglie alla votazione quel senso di palingenesi generale che sempre più, in maniera crescente, ha caratterizzato le ultime elezioni, alimentato il populismo e innescato un gioco perverso.

Ciò significherebbe eliminare il rischio dello scioglimento anticipato della Camera, pratica in cui i partiti sono sembrati dilettarsi più che di occuparsi dei problemi reali del Paese.

Abbiamo tutti ben presente che pochi giorni dopo le elezioni del 2013 e, ancor più, del 2018 già qualcuno chiedeva di tornare alle urne.

Un altro aspetto qualificante della proposta è la completa separazione dei ruoli tra Parlamento e Governo: i deputati non dovrebbero fare parte dell’Esecutivo. Unica eccezione il presidente del consiglio: ruolo per il quale il presidente della Repubblica potrebbe individuare tra i parlamentari la personalità capace di coagulare una maggioranza di governo.

Luigi Ingegneri

About Author