Migliaia di riservisti israeliani inviano lettere al governo di Netanyahu chiedendo di interrompere i combattimenti e di concentrarsi invece sul raggiungimento di un accordo per la liberazione dei restanti 59 ostaggi ancora detenuti da Hamas. A conferma che cresce la voce di protesta contro la dissennata reazione di Israele all’attacco terroristico del 7 ottobre di due anni fa e che finora ha portato a più di 50 mila morti tra i civili palestinesi senza che sia stato raggiunto l’obiettivo di riportare a casa i restanti sopravvissuti detenuti a Gaza, o i resti dei corpi non ancora recuperati. La protesta è res ancora più veemente, e si aggiunge a quella dei familiari dei catturati, dopo che alcuni dei più estremisti del Gabinetto Netanyahu hanno detto che per loro è più importante la “vittoria finale”.

Il clima nel paese della Stella di Davide, però, sta in qualche modo mutando con la crescita del numero di coloro che non vedono più alcuna logica nel conflitto tradottosi nella pressoché totale distruzione di Gaza. Mentre, invece, i più fanatici tra gli ortodossi e i coloni pensano di essere nelle condizioni di una totale sconfitta dei palestinesi, a Gaza e in Cisgiordania in modo di realizzare il sogno di vedere un più grande Israele che vada dal mare al Giordano.

Le voci critiche non mancano anche tra ex responsabili dei vertici militari e dei servizi di sicurezza, come nel caso di Danny Yatom, ex capo dell’agenzia di spionaggio Mossad che ha detto alla Bbc: “Siamo giunti alla conclusione che Israele sta andando in una brutta situazione. Sappiamo che ciò che preoccupa principalmente Netanyahu sono i suoi interessi. E nella lista delle priorità, i suoi interessi e l’interesse per la stabilità del governo sono i primi, non gli ostaggi”.

E non è la prima volta che contro la politica del proprio paese nei confronti dei palestinesi siano personaggi del genere a farsi sentire. Ben prima del 7 ottobre 2023 era stata la volta di Amiram Levin, ex  Comandante delle forze militari dello Stato ebraico del Nord ed ex Vice capo del Mossad, il quale aveva denunciato lo stato di “apartheid assoluto” mantenuto in Cisgiordania negli ultimi 57 anni. Levin aveva aggiunto: “Per 57 anni non c’è stata democrazia lì. Lì c’è l’apartheid assoluto L’IDF (l’Esercito di Israele), contro la sua volontà, deve far valere la sovranità lì e sta a guardare i coloni dilaganti. E sta iniziando ad essere complice di crimini di guerra”.

Per adesso sembra che le lettere di proteste spedite siano state sottoscritte da oltre 12.000 riservisti appartenenti a tutte le armi israeliane e molto malumore circola tra le centinaia di ex militari tornati alle armi. Sta, infatti, crescendo il numero di coloro che decidono di tornarsene a casa, così come quelli che non rispondono alla chiamata. Al punto che secondo alcuni la presenza dei riservisti sarebbe scesa al 50-60% creando non pochi problemi all’esercito dello Stato ebraico.

In un recente articolo sul quotidiano non filo governativo Haaretz, sempre il generale Levin aveva affermato che è venuta l’ora che i soldati, a partire dai comandanti di grado superiore, prendano in considerazione l’eventualità di disobbedire agli ordini:  “Il rischio di essere trascinati in crimini di guerra e di subire un colpo fatale per le Forze di Difesa Israeliane e la nostra etica sociale”, ha detto, “rende impossibile restare inerti”.

 

About Author