Per costruire un percorso di presenza sociale e politica dei cattolici, di cui tanto si scrive aver bisogno l’Italia, è necessario uscire dalla gabbia della nostalgia che ci impedisce di fare i conti con la realtà dell’Italia di oggi.

Nella società della pluralizzazione dei contenuti e delle forme del credere, anche i cattolici devono fare i conti con l’esser diventati un soggetto collettivo sempre più minoritario ed attraversato al suo interno da una molteplicità di espressioni che alla differenziazione funzionale associano una frammentazione che appare di ostacolo alla costituzione di un corpo organico di presenza sociale.

Le recenti elezioni europee evidenziano platealmente la scarsissima rilevanza dell’appello identitario nello spazio politico e nel contempo la divisione che si ripropone anche quando, in linea di principio, ci si propone nella sfera politica a partire dall’enunciato di un forte senso di appartenenza al filone della dottrina sociale della chiesa. Si veda il risultato ed il rapporto fra Popolo delle famiglie e Popolari per l’Italia.

Non funziona il richiamo identitario e non sono allettanti le proposte politiche che ne derivano. I cattolici, soggetto oggi definito sulla base di dichiarazione di intenti e di indicatori di pratica religiosa, in larga parte si astengono dal voto o si recano alle urne adottando parametri di scelta e di disseminazione del voto che paiono piuttosto premiare, volta per volta, quelle formazioni politiche che meglio interpretano i sentimenti, le paure o le attese di un popolo composto sempre più da individui che faticano a fare il passaggio dall’io al noi. Accade allora che racimolare lo zero virgola qualcosa di consensi viene letto con l’ottica miope di chi spera che sia l’inizio di un percorso di successo e non l’energia residua di un malato terminale.

Papa Francesco, in un suo recente intervento, ha indicato una via: “Non dimentichiamo che entrare in politica significa scommettere sull’amicizia sociale”. Non cercare il potere, anche se la politica è lotta per il potere, non cercare il mero consenso o l’occupazione di posti, ma costruire percorsi, legami di amicizia sociale che, come nuclei innovatori, possano convergere in un unico grande movimento. Afferma Papa Francesco: “Ricordatevi che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà”. È stato detto che la politica è la più alta forma di carità.

È stato anche detto cosa sia la carità :”La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.

La buona politica è questa carità nella sua più alta forma. Le parole dell’apostolo Paolo sono un buon banco di prova della dinamica che dovrebbe guidare l’azione politica cristianamente orientata. E sempre all’apostolo delle genti si dovrebbe guardare per focalizzare la dinamica costitutiva di una grande aggregazione: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”.

É la dinamica dove “prima” non ci sono né gli italiani né nessun altro, ma in cui tutti si è cambiati e resi partecipi di un evento che ci rende uguali anche a fronte delle diversità socialmente costruite.

L’Italia ha bisogno di questo, tutto il resto è secondario e destinato a sciogliersi nell’emozionalità di passeggere intenzioni.

Vincenzo Bova, Università della Calabria

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