Neanche Pavarotti nella Turandot la cantava così altisonante, nitida e chiara. Tra le tante cose eclatanti nel discorso di insediamento di Donald Trump, se dovessimo sottoporre il linguaggio cui ricorre ad un esame fenomenologico, secondo il metodo dell’ “antropoanalisi” – messo a punto da Binswanger, per tanti aspetti più penetrante della psicoanalisi – la parola che piu colpisce è quel “VINCERÒ” che, ad un certo punto, prorompe nell’eloquio di Trump, quasi fosse parola, suo malgrado, “dal sen fuggita” e fuori copione. E quel “salvato da Dio” per compiere la missione storica che il Padre gli ha affidato, come disse anche Hitler, il 20 luglio 1944, a Mussolini che gli rendeva umilmente omaggio il giorno stesso dell’attentato di Von Stauffenberg.
L’analisi del linguaggio, condotta secondo i canoni di cui sopra, consente di cogliere d’un sol tratto, da un particolare apparentemente secondario, un intero universo mentale. Rivela, cioè, la forma originaria del soggetto, quella cifra indelebile che lo contrassegna e dice di lui più di quanto lui stesso non sappia. Infatti, a quel punto, Trump mentre declama una sorta di “elegia americana”, d’un tratto non parla più dell’America e dell’età dell’oro che le promette, ma irrompe nelle sue stesse parole e si trova a parlare di sé . Come se dicesse, anzitutto, a sé stesso: “Vincero’ !” Perfino il Duce, dal balcone di Palazzo Venezia, il 10 giugno 1940, ebbe, se non altro, l’ accortezza di parlare al plurale: “Vincere e vinceremo!”. Infatti, si è visto che tranvata ci siamo presi sui denti…..
Ma, per tornare a Trump, sembra di poter cogliere, in un signore ottuagenario, un tratto che sa di infantile e ci sta pure con quell’espressione del viso sempre corrucciata e malmostosa, come la si trova in certi mocciosi viziati e capricciosi che, per darsi un tono, recitano la parte dei duri.
Lette in quest’ottica le ripetute iperboli che Trump dedica alla magnificenza dell’America, sembrano una sorta di ornamento in cui il suo “io”, anzitutto, si pavoneggia. Questo, in qualche modo, fa tutt’uno con quella imprevedibilità impulsiva, aleatoria, volubile e, nel contempo, irruente e stizzosa che si riscontra spesso nelle crisi adolescenziali.
Decisamente non siamo messi bene. È cambiata la politica e sono cambiate – secondo una reciprocità di cause ed effetti – le leadership, le modalità con cui si formano, l’atteggiamento con cui si rapportano ai rispettivi contesti, lo stile, lo stesso linguaggio con cui si esprimono.
Trump, Musk, Milei, casi da manuale istruttivi da seguire con attenzione e curiosità nei prossimi anni.
Intanto, è consigliabile la lettura del saggio di un importante psicanalista, Luigi Zoja: “Paranoia-la follia che fa la storia”.
Domenico Galbiati