Diplomazia internazionale, guerra aperta, e negoziato diretto tra le parti hanno convissuto, in maniera altamente drammatica, nel quinto giorno della guerra ucraina. La giornata di lunedì è stata infatti caratterizzata da uno sviluppo  estremamente importante nella vicenda che scuote l’Europa orientale: una situazione complessa in cui atti di ostilità non solo si svolgono in contemporanea con un negoziato, ma in cui sia le minacce che i risultati ottenuti dalle due parti nello scontro sul terreno servono a dare forza alle posizioni espresse in sede negoziale.

A fine giornata, il dialogo avviato poche ore prima tra Ucraina e Russia aveva identificato tre punti focali, tutti e tre messi sul tappeto da Mosca: il riconoscimento definitivo dall’appartenenza della Crimea alla Russia; l’impegno internazionalmente sancito della futura neutralità dell’Ucraina; la concessione di una effettiva autonomia regionale per le minoranze russofone nel quadro di un’Ucraina indipendente e territorialmente integra.

Mediazione francese

La diplomazia internazionale ha avuto un ruolo essenziale, nel far emergere questi tre punti. Ciò è infatti avvenuto nel corso di una conversazione tra il Presidente russo Vladimir Putin e quello francese Emmanuel Macron, il quale ha, infine, visto premiati i propri sforzi per assumere un ruolo di mediatore, dopo che nelle settimane precedenti. si era scontrato (alla) con la freddezza di Putin.

La scelta del mediatore – dati rapporti di forza tra le parti – spettava logicamente a  Putin. Ma doveva essere accetta anche al blocco occidentale,  la cui forza si cela a malapena dietro la capacità di Kiev di opporsi a Mosca, la capitale della grande potenza di cui gli ucraini sono stati per secoli parte integrante ed essenziale.  E che, tra i vari mediatori che si erano offerti, la scelta sia alla fine caduta sul Presidente francese è stata probabilmente dovuta anche al fatto che quando Russi e Francesi s’incontrano e dialogano, oltre oceano non ci si sente minacciati, mentre quando  a dialogare sono Russi e Tedeschi gli americani inevitabilmente si insospettiscono.

La guerra aperta non si è peraltro interrotta. Il negoziato si svolge in una situazione in cui Mosca ricorda permanentemente la fermezza del proprio impegno in virtù di una attività militare  di crescente vigore, con bombardamenti in cui sarebbero stati utilizzati persino bombe a grappolo, un’arma vietata dalla maggior parte dei trattati internazionali,  cui però non hanno aderito né la Russia né l’Ucraina indipendente. A questa dimostrazione di forza, l’Ucraina ha contrapposto non solo la pericolosa decisione di armare combattenti irregolari,  ma anche un formidabile schieramento di paesi sostanzialmente a  lei alleati da cui è stata gigantescamente rifornita di armi e capacità militari. E sottolinea la fermezza del proprio proposito di restare ad essi legata, pubblicamente firmando e sventolando una formale richiesta di adesione alla  Unione Europea.

Si tratta, ovviamente, solo della domanda  di ammissione nella UE. Se Zelensky avesse provato a sostenere la fermezza del suo proposito organizzando, ove fosse stato possibile, la frettolosa firma di un trattato di adesione, avrebbe ottenuto il risultato opposto. Ciò,  infatti, sarebbe stato probabilmente visto da Mosca come un fatto compiuto, come una sfida aperta, un gesto negativo, al punto di far franare il negoziato e a lasciare spazio ad una guerra condotta senza più le limitazioni che i Russi si sono sino ad oggi imposte in questo scontro con un popolo che la loro narrativa nazionale continuano ostinatamente a considerare “fratello”. Il che è non solo storicamente innegabile, ma anche confermato dal fatto che più di metà delle famiglie hanno carattere misto russo- ucraino.

Segnale tedesco

A tale domanda di adesione non è stata ancora data, da parte di Bruxelles, alcuna risposta ufficiale. Ma ad essa ha reagito favorevolmente Berlino, e in maniera e misura del tutto inaudita.  Maniera e misura che si sono riflesse anche nell’atteggiamento del Presidente della Commissione,  la tedesca Ursula von der Leyen, e in quello chiaramente più contenuto dell’Alto Rappresentante dell’UE  per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il catalano Josep Borrell, che ha tenuto a precisare come l’adesione di Kiev,  pur essendo possibile, non sia ancora neanche in agenda.

Qualcosa di molto importante è dunque cambiato non sono  nel conflitto,  ma nell’intero quadro politico dell’Europa contemporanea, lunedì 28 febbraio. In maniera probabilmente irreversibile. La Germania,  in questo cruciale giorno della guerra  russo-ucraina, ha non solo capovolto completamente la propria posizione sulla questione  dell’esclusione di Mosca dal sistema SWIFT,  ed ha congelato – secondo i desiderata della Nato –  la propria cooperazione con Mosca in campo energetico, ma ha  persino totalmente rotto con la politica seguita in tutto il dopoguerra,  dalla costituzione della Repubblica federale in poi, in materia di cooperazione militare, impegnandosi per di più ad elevare le proprie spese per la difesa al 2% del PIL e, contemporaneamente, inviando armi a Kiev.

Si è così giunti alla trattativa diretta tra le due parti in conflitto. Ma non vi si è giunti facilmente. Era da almeno due giorni prima del riferimento di Putin  all’allarme atomico  che Mosca tentava d’intavolare una mediazione.  Mentre gli Ucraini facevano i difficili,  sollevando obiezioni sulla località in cui si sarebbero dovuto tenere gli incontri, ma senza proporre un’alternativa. In realtà,  cercavano di guadagnare tempo,  che sembrava scorrere a loro favore. Il che era dovuto all’andamento del blitz immaginato dai Russi, un’operazione “shock and awe” ( colpisci e terrorizza) contro la quale essi non si aspettavano che gli Ucraini  riuscissero ad opporre tanta resistenza sul terreno, e ancor meno che incontrassero tanta solidarietà nel blocco dei paesi occidentali. Più in generale, non  immaginavano che gli occidentali riuscissero a chiudere i ranghi nella misura pressoché totale in cui li hanno chiusi.

Inutile dire che a Mosca la decisione tedesca ha risvegliato” spettri di guerra” che  il governo russo ha voluto ufficialmente far conoscere all’opinione pubblica internazionale.

Spettri di guerra

I gruppi dirigenti moscoviti, specificamente il Presidente della Federazione russa, hanno  deciso di diffondere la notizia di aver messo in stato di allerta l’armamento nucleare. Un annuncio che non significava niente, perché, nei paesi che ne dispongono, un certo numero di armi nucleari sono sempre e comunque in stato di allerta.  Ed hanno voluto dimostrare dimostrare di essere pronti a tutto, imponendo una battuta d’arresto alla costruzione,  sul terreno dell’Ucraina,  di una tenaglia assai pericolosa per i russi.

Ma Putin non è riuscito invece a spezzare quello che egli chiama “l’impero delle bugie”,  cioè ad allentare l’opera sistematica di demonizzazione suoi confronti,  e più in generale nei confronti della Russia, che anzi in questi giorni ha raggiunto in tutti paesi europei un suo massimo mai prima conosciuto.

Sotto questo profilo egli ha ottenuto soltanto,  forse, una pausa destinata a durare fino alla fine del negoziato in corso, in una campagna che a lui appare come finalizzata a provocare un cambio di regime  in Russia. Ed è questo un pensiero che lo ossessiona da ben undici anni, fin da  quella  primavera del  2011, quando Gheddafi fu spodestato ed ucciso in una operazione chiaramente montata dai Francesi. E che  lo spinse a tentare il tutto per tutto con un intervento  militare in Siria.  Un azzardo che si spiega in gran parte con la volontà di dare un segnale in un paese in cui un’operazione analoga a quella libica era in pieno svolgimento.  Ed il segnale era : “No more regime changes”( Non più cambi di regime).

Durante il negoziato, ovviamente, la guerra continuerà. Rischierà di perdere quelle cautele finora applicate di limitazione del “danno collaterale” cui, durante tutti gli scontri armati, viene esposta la popolazione civile; cautele che sono state acutamente rilevate dal generale italiano Leonardo Tricarico. E comincia ad assumere i caratteri di una guerra “sporca”,  in cui da parte ucraina si  denuncia la presenza, nel Donbass,  di almeno 400 elementi facenti parte del cosiddetto gruppo di mercenari Wagner,  mentre Zelensky ha svuotato le carceri per arruolare i detenuti,  ed ha annunciato la formazione di una legione straniera in cui chiunque può arruolarsi.  Una tendenza che, se la guerra dovesse prolungarsi potrebbe avere conseguenze assai gravi per il popolo ucraino.

Giuseppe Sacco

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