25 aprile 2020: una memoria da tener viva ancora a lungo insieme a quanti amano il gran bene della libertà e dello Stato di diritto, contro ogni regime di violenza e di tirannia. Magari, aggiungo,- anche se l’aggiunta non piacerebbe a tutti nella sinistra- ricordando che la Resistenza dei cattolici, ma anche di altri, fu opposizione sia al nazifascismo, sia al comunismo staliniano. Ho sempre in mente un libretto di tanti anni fa: Martelli. Una guerra e due resistenze. Il libro veniva dall’Emilia. Non possiamo, trattando di storia, nel profondo del nostro animo dimenticare il collegamento tra le due resistenze.
All’alba di questo 25 aprile mi è tornata in mente la cara figura di un mio con diocesano di Fiesole, che fu direttamente impegnato dal febbraio 1944 nella resistenza clandestina tra il Valdarno fiorentino ed aretino e la valle casentinese. La zona della Brigata Perseo, che egli comandava, occupava le alture del Monte Secchieta, sopra Vallombrosa, e il più alto Pratomagno, la montagna sovrastante il mio paese.
Mi limito a ricordare un episodio della sua esperienza partigiana che esprime bene non solo il suo animo cristiano, ma quello di tutti i resistenti cattolici. Ascoltai l’episodio proprio da lui. Si chiamava Giuseppe Politi. Fu nel dopoguerra Segretario comunale di Pelago e, contemporaneamente, dirigente a vari gradi dell’Azione cattolica diocesana, oltre che militante democristiano. Nel corso degli anni ’60 e ’70 egli fu invitato più volte nelle scuole per spiegare ai ragazzi la vicenda bellica e resistenziale. Ebbene, mentre illustrava le ragioni della Resistenza, anche della Resistenza armata, teneva sempre a dire a quei giovani, spesso con commozione: “ ringrazio Dio per non aver mai ucciso né fatto uccidere nessuno”, e per quanto so occasioni c’erano state.
Da partigiano si chiamava Braccioforte, ed era forte davvero di fisico e di carattere, ma anche di cuore e di fede, un cattolico verace e simpatico. Lo chiamavamo Braccioforte anche noi in diocesi.
Tra le tante grandi testimonianze di quella stagione drammatica, anche la sua mi sento di dover ricordare: testimonianza per la libertà e, al tempo stesso, per la fedeltà a Gesù.
Il ricordo di lui si trascina dentro di me, oggi, quello di due persone assai più note di Braccioforte e giustamente famose. La prima era un amico di Politi e si chiamava Giancarlo Zoli, uno dei numerosi figli del Presidente Zoli e ultimo sindaco democristiano, per pochi mesi, di Firenze. Giancarlo scrisse su Braccioforte sulla bella rivista fiesolana “ Corrispondenza” il 6 giugno 1984. Con Giancarlo quanti incontri, quante conversazioni, quanta amicizia spirituale e politica! Tra l’altro, rammento bene un giro con lui e sua moglie Gabriella, in una estate lontana sull’Appennino tosco-emiliano, per andare a trovare Benigno Zaccagnini, ospite di un parroco della zona.
Sì anche lui, Giancarlo, andrebbe ricordato maggiormente, in particolare per una caratteristica essenziale del suo impegno sociale e politico: la coniugazione cioè( credo di poterlo affermare a ragion veduta) di quell’impegno con le Beatitudini evangeliche. Giancarlo se non era un santo, come io penso fosse, sfiorava sicuramente la santità dei puri e miti uomini seguaci di Gesù.
Di una terza persona ben più nota, ma non quanto meriterebbe, desidero fare un cenno. Don Roberto Angeli, un prete di Livorno, educatore di giovani e meno giovani alla Dottrina sociale della Chiesa e all’impegno politico ( CLICCA QUI ).
La sua figura faceva ombra ai fascisti e ai tedeschi e così fu imprigionato e fece l’esperienza del lager nazista. Sono riuscito a conoscerlo personalmente ma più tardi. Avrei voluto conoscerlo prima, anche se avevo già letto il suo “Vangelo nei lager”. Più volte lo invitammo a Firenze, ospite del gruppo di collegamento e formazione politica raccolto intorno al periodico che avevo fondato, “ Supplemento d’anima”. Al gruppo apparteneva anche Giancarlo Zoli. Sulle pagine del “Supplemento” don Roberto scrisse testimoniando la sua esperienza.
Non bisogna solo ricordare don Mazzolari e don Milano. Ringrazio il Signore di queste amicizie.
mons Gastone Simoni