Tra pochi giorni si terrà la consueta riunione annuale dei banchieri centrali americani alla quale partecipano finanzieri ed economisti di tutto il mondo. E’ l’ormai famoso “meeting di Jackson Hole” che dagli anni ottanta ogni anno a fine estate richiama l’attenzione dei governi e del mondo della finanza.

Quest’anno, secondo quanto anticipa la stampa finanziaria, l’agenda prevede una discussione sulla eventuale riduzione delle misure “monetarie non convenzionali” ovvero degli acquisti di titoli da parte del Tesoro americano attualmente in corso per fare fronte alle emergenze economiche scatenate dalla crisi pandemica. In America avviene al ritmo di 120 miliardi di dollari al mese. Le ragioni di questa eventuale decisione sono sostanzialmente riconducibili all’ aumento del tasso di inflazione in America.

Un eventuale intervento in questa direzione avrebbe conseguenze onerose anche per noi: l’aumento dei tassi di interesse americani non può non ricadere sui mercati di tutto il mondo: già oggi il titolo a scadenza decennale del Tesoro USA rende +1, 24% mentre l’analogo tedesco continua ad avere un tasso negativo di    -0 49%.

C’è da augurarci che la BCE, ovvero la nostra banca centrale, che pure sta attuando un programma analogo messo in campo da Draghi, non segua almeno per ora questa eventuale restrizione ma prosegua come previsto almeno sino al primo trimestre del prossimo anno. La notizia che la presidente della Banca Europea Christine Lagarde non parteciperà alla riunione è già di per sé un fatto positivo.

Non si può escludere che la diffusione della variante “delta” della pandemia che morde ancora anche negli Stati Uniti, come pur le recenti restrizioni al mercato decise dalla Cina e le tensioni internazionali per la crisi afghana inducano i banchieri americani a un ulteriore ripensamento oppure ad una riduzione moderata degli aiuti al mercato.  Da ultimo, le recentissime decisioni delle due case automobilistiche tra le più importanti del mondo (Toyota e Volkswagen) di ridurre le produzioni per carenze di componentistica non è un buon segnale e ciò potrebbe indurre la Federal Reserve alla massima prudenza. In ogni caso, un percorso sembra ormai segnato e i mercati  hanno dato segnali di nervosismo in tutte le Borse europee.

Quanto alle vicende che ci riguardano ancora più da vicino, le eventuali discussioni americane potrebbero riproporre anche in casa nostra tensioni che per ora sono solo sopite. I banchieri tedeschi e dei paesi cosiddetti “frugali”, ovvero del nord Europa, non perderanno certo l’occasione per sollecitare anche da noi una riduzione degli acquisti di titoli sul mercato secondario riproponendo la storica sfida tra Draghi e Weidman. Tanto più che proprio in Germania tra pochi giorni si voterà per le elezioni politiche e tra gli argomenti della lunga campagna elettorale non sono mancati appelli risentiti e autorevoli ad uscire da queste misure “non convenzionali”.

Il rischio di eventuali tensioni che potrebbero conseguire a questo braccio di ferro sta sempre nella occhiuta attenzione dei mercati, pronti a fiutare il vento, ma soprattutto in una frenata dell’attuale risalita in corso. E ben noto che l’Italia, in particolare, è tra i paesi dove la ripresa è più robusta, la bilancia commerciale è tornata attiva e, ad eccezione del turismo, le nostre filiere tradizionali registrano  significativi aumenti di attività: dall’industria delle macchine utensili a quella dell’agroalimentare, all’edilizia.

Le decisioni che usciranno da Jackson Hole assumono quindi un particolare significato. La speranza è che siano più prudenti e più precise di quelle che abbiamo recentemente potuto constatare dalla Casa Bianca.

Guido Puccio

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