Mi sembra che gli ultimi scambi al vetriolo tra Giuseppe Conte, da una parte, e Matteo Salvini e Giorgia Meloni, dall’altra,  abbiano definitivamente confermato che non ci sono proprio gli estremi per mettere in piedi un Governo cosiddetto di unità nazionale. Se soprattutto con esso ci si riferisce al fatto di mettere assieme le forze oggi presenti in Parlamento.

Diverso potrebbe essere se lo si vedesse come frutto di un rigenerativo rimescolamento delle carte supportato da un moto autenticamente popolare. Quello cui fa riferimento proprio oggi nel suo intervento Enrico Seta ( CLICCA QUI ).  Allora sì che si sarebbe nella condizione di  coinvolgere le forze vive del Paese e potremmo essere nella condizione d’ incamminarci verso una ricomposizione nazionale possibile.

Per dirla alla Moro, di cui alcuni dimenticano il grande pregio del realismo,  prima si dovrebbe vedere all’opera, però, un’intelligente scomposizione dell’attuale assetto politico parlamentare.

Altrimenti, questo tipo di Governo “unitario” non può  entrare nelle cose del possibile. Anzi, rischia di rimanere improponibile,  per una serie di motivi oggettivi. Pesano  il modo in cui  è nato il Conte bis e quanto accaduto nel frattempo. Basti solo pensare alla lotta furiosa in corso in materia di Coronavirus tra Palazzo Chigi e la Regione Lombardia. Cosa che significa assumere decisioni, gestire risorse, rivedere il Sistema sanitario.

Pesa pure molto quello che Giuseppe Conte considera un vero e proprio  sabotaggio della linea italiana ufficiale nel momento in cui c’è in atto un difficile confronto in sede di Unione europea. Consumato con le reiterate dichiarazioni di Salvini e della Meloni nei confronti di altri paesi partner e con la diffusione di un clima anti europeo che, certo, secondo Conte, non aiuta. Il fronte italiano una volta di più finisce per apparire diviso e, quindi, più debole agli occhi di quanti, molto mal volentieri, intendono rasserenare lo sguardo arcigno e critico nei nostri confronti.

Il Presidente del Consiglio, improvvisamente catapultato ad occuparsi di cose più grandi di lui, che farebbero tremare i polsi a chiunque e che richiedono una dedizione esclusiva, quella che in effetti egli sta profondendo, sta vivendo le polemiche con la destra italiana come una vera e propria pugnalata alle spalle. Del resto,  a nessuno sfugge che le chiusure più forti all’idea di sostenere l’Italia, e gli altri paesi oggi in difficoltà per il Coronavirus, vengono proprio da nazioni in mano al centrodestra e da partiti di destra e di estrema destra, alleati di Salvini e della Meloni in varie parti d’Europa.

Una contraddizione celata dai due leader estremisti italiani innalzando il livello dello scontro. Così facendo, essi rendono sempre più improbabile, però, un loro possibile coinvolgimento governativo e  si confermano inattendibili agli occhi di chi in Europa ha raccolto la maggioranza dei consensi con le elezioni dello scorso 26 maggio 2019, dopo una dura battaglia condotta proprio contro populismi e nazionalismi esasperati.

Un Governo di unità nazionale che avesse al proprio interno pure Matteo Salvini e Giorgia Meloni significherebbe essere davvero prossimi all’uscita dall’Europa. Se la logica ha ancora un senso e una certa preminenza nel ragionare politico.

Il futuro, in effetti, dipenderà in larga parte da come evolverà il confronto con i paesi del nord. Questo si può condurre in due modi. Con l’intero Parlamento italiano unanimemente concorde nell’abbandonare l’idea estrema dello scontro portato alle ultime conseguenze e deciso, invece, ad affrontare una dura trattativa, ma che sempre trattativa dev’essere. Oppure, con il permanere di una maggioranza filoeuropea e una minoranza contraria che resta tale e che continuerà a sbraitare anche a fronte di sostanziosi interventi dell’Unione a nostro favore.

Con Salvini e la Meloni in minoranza, paradossalmente, si offre un’occasione di “verità”. Vengono fornite adeguate garanzie sugli intenti che la maggioranza degli italiani davvero si prefigge.

Credo che l’accentuazione da parte di Conte dei toni aspri della polemica serva in fondo anche a questo. Lo scontro con l’opposizione lancia un segnale chiaro ed inequivocabile a chi lo deve cogliere al di là dei patri confini.

Diverso sarebbe se la Lega, consapevole di quanto il futuro richiederà anche per il ristabilimento dell’economia del Settentrione d’Italia, si decidesse a cambiare linea e a far emergere gente più realista e giudiziosa che, per qualche verso, è più in sintonia con tutta la rete leghista presente sul territorio. Fatta da ottimi amministratori locali e che, con Zaia in Veneto, ad esempio, si è distinta rispetto ad altri dirigenti colleghi di partito riusciti a dare solo l’impressione più di giocarsi il Coronavirus per degli obiettivi di parte, piuttosto che prendersi cura dei problemi concreti posti dal virus in maniera equanime per tutti. Lo stesso tentennamento di Salvini, egli ancora a fine febbraio sbraitava per riaprire tutto mentre il Veneto faceva il contrario, la dice lunga sotto questo aspetto.

In tutte queste vicende, sempre parlando di destra, davvero sorprende come Silvio Berlusconi non abbia capito che il Paese ha bisogno di un centrodestra responsabile, disposto a sostenere il confronto con Bruxelles e le altre capitali europee,  invece di abbandonarsi a irrealistiche posizioni scioviniste. Se Silvio Berlusconi non si decide ad uscire dal “cono d’ombra” di Salvini e della Meloni significa che ha definitivamente abbandonato ogni progetto dal carattere liberal – democratico di cui, per anni, si è detto propugnatore e rappresentante più significativo. Dovremo prendere atto che egli rinuncia definitivamente a farsi leader e garante del processo di ricostruzione di una presenza moderata e ragionevole, per quanto d’impronta conservatrice. E’ sconcertante vedere in televisione una sua seguace, componente nel 2011 del governo Berlusconi che dette via libera al Mes, sparare a pallettoni contro questo strumento finanziario e quella Europa guidata dall’alleanza cui pure Forza Italia ha portato a Bruxelles i propri voti dopo il maggio 2019.

La sinistra conferma di essere in una fase definibile da “vuoto pneumatico”. Si appiattisce sulle decisioni governative. Se prova a fare qualche sortita, sembra limitarsi a proclamare solamente la propria esistenza, al grido  “ci sono anch’io”. Appare incapace a indicare un piano di rinascita complessivo. Eppure, è di questo che il Paese e l’Europa hanno e  avranno bisogno. Così, lancia con Graziano Del Rio una proposta, di difficile praticabilità politica ( vedi al riguardo cosa ha scritto recentemente Vera Negri Zamagni  CLICCA QUI ), ma che potrebbe pure avere un senso se, però, ben soppesata e capace di rassicurare ampie fasce di ceto medio. In ogni caso, inserita all’interno di una strategia destinata ad essere più ampia e più articolata.

Un’idea immediatamente smentita da Nicola Zingaretti, non appena è montata la polemica e bollata come via libera all’ introduzione di  una “patrimoniale”. La banale constatazione che il Segretario e il Capogruppo alla Camera del Pd neppure concertino le loro uscite la dice lunga sulle condizioni in cui è ridotto il partito che ambisce a mettersi alla guida del Paese.

Sempre per quanto riguarda la sinistra, il Coronavirus mette in discussione anche taluni aspetti più generali di quella visione antropologica che ha definito il centrosinistra negli ultimi anni.  E’ venuto a dire prepotentemente a chi si preoccupa in un certo modo, o non se ne preoccupa affatto, di aborto, di eutanasia e fine vita, di manipolazione embrionale, che, di fronte alla vera e propria strage in atto, bisogna pensare in primo luogo a sostenere la Vita. Con tenacia e accanimento, perché sarà solo grazie a questo atteggiamento  se ritroveremo tutta intera la linea diritta dell’orizzonte verso cui guardare.

Giancarlo Infante

 

Immagine utilizzata:Pixabay

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