E’ bene che ci si cominci ad attrezzare per i tempi che – a breve – ci attendono: quelli del dopo-emergenza. E per dare un contributo a questo tentativo, vorrei ricapitolare le circostanze avverse in cui il nostro paese è arrivato a questo appuntamento con il suo destino:

  1. Sulla scena internazionale l’Italia è stata colta in un momento di grande debolezza. Dopo la “perdita” della Libia e gli sbandamenti filo-russi e filo-cinesi, sia la nostra centralità mediterranea, sia il nostro tradizionale buon rapporto con gli USA hanno vacillato. Ma soprattutto, l’uscita dell’UK dall’UE ha rappresentato – non solo per l’Europa, ma anche specificamente per l’Italia – un elemento molto grave di squilibrio (che non è stato ancora adeguatamente analizzato, se non in ambito specialistico).
  2. La nostra economia è stata sorpresa dallo scoppio dell’epidemia in una condizione di prostrazione, per almeno tre fattori che ne elevano quasi al livello-limite la fragilità: (I) contrazione prolungata della base produttiva e altissima disoccupazione (soprattutto giovanile), (II) debito pubblico che – nonostante le politiche di austerità e le finanze pubbliche ormai vicine all’equilibrio – continua a crescere inesorabilmente, (III) divaricazione Nord-Sud crescente, con conseguente crescita dell’economia criminale (stimata oggi in 250 mld).
  3. Il sistema politico italiano versa in una crisi profonda, che lo rende il peggiore fra quelli di tutti i paesi europei. Se non altro per il fatto che ha dovuto registrare la vittoria elettorale dei 5 stelle il 4 marzo 2018. Essa ha prodotto – come conseguenza – un improvviso inabissarsi del livello qualitativo della nostra classe di governo. Oggi la Repubblica italiana sopporta l’onta non solo di avere un elettorato (e quindi un Parlamento) che, in una percentuale di oltre il 32% (!), si identifica con un partito autodefinitosi “del vaffa”, ma anche di essere rappresentata in moltissime delle posizioni di più alta responsabilità da individui ridicolmente incompetenti, visibilmente affamati di potere (e quindi spregiudicatissimi) e di un analfabetismo politico tale da non consentire loro neanche di identificare i problemi del paese e di distinguere fra affari di Stato, declamazione agitatoria (spesso sgrammaticata) e spartizione brutale di posti di potere. Sono convinto che il Paese abbia oggi a capo di molte delle sue istituzioni un personale politico peggiore anche di quello che proveniva dallo squadrismo post-1922. Eppure è questa – oggi – la forza divenuta rapidamente “egemone” nei gangli del potere politico-amministrativo di un paese come l’Italia.
  4. Il sistema dei partiti è vicino allo sfarinamento: tutti i partiti tradizionali – sia a destra che a sinistra, senza eccezioni – versano in una grave crisi di valori, di cultura politica, di quadri, di strategie, di credibilità e di leadership. Non è dunque realistico immaginare un capovolgimento a breve termine, mentre altissimo è il rischio di wishful thinking che ognuno di noi corre.
  5. Il governo del paese è privo di autorevolezza – in Italia come sulla scena internazionale – diviso al suo interno, con una base di consensi nel paese debole e – soprattutto – dominato da forze che puntano unicamente – e con grande spregiudicatezza – al mantenimento e alla spartizione del potere.

Naturalmente neanche accenno qui ai ritardi e alle difficoltà che fanno da “sfondo” alla situazione contingente: problemi seri di carattere economico, sociale e istituzionale, quali una demografia micidiale, i bassi livelli di produttività del sistema economico, la carenza infrastrutturale, lo stato di ritardo pesantissimo in cui versa la nostra PA.

Quello che qui mi interessa è solo evidenziare poche coordinate utili alla lettura di quelle che saranno, a breve, le condizioni nelle quali ci troveremo ad affrontare la nostra “crisi post-corona virus”.

Non credo che nessuno dei cinque fattori sopra elencati sia facilmente o naturalmente reversibile.

Anche la quinta criticità – la composizione del governo – che sarebbe, sulla carta, il fattore più rapidamente rimuovibile attraverso una iniziativa dall’alto del Colle (più che giustificata dalle prime criticità gravi che presto si manifesteranno) non appare tanto facilmente superabile, almeno nei suoi caratteri sostanziali di debolezza. Infatti l’attuale governo – pur nella sua abbagliante inadeguatezza a reggere le sfide del momento – è pur sempre la risultante obbligata di un processo le cui vischiosità nessuno può dimenticare. Esso è infatti figlio dei fattori (purtroppo molto più radicati e strutturali) che qui si sono indicati ai punti 3 e 4. Abbiamo visto come neanche l’irruzione sulla scena – al momento giusto – di una figura come quella di Draghi sia stata sufficiente a smuovere alcunché (almeno per ora).

Ma alle stesse elezioni – ad esempio – nella primavera del prossimo anno, non sono personalmente propenso ad attribuire nessun potere salvifico. Esse troverebbero, infatti, un sistema dei partiti in grave stato confusionale (vedi sopra, punto 4). E se dal 1992-93 ad oggi (ormai quasi 30 anni!) questa crisi dei partiti non è riuscita a trovare alcun approdo, credo che non sia saggio immaginare che ciò possa accadere nei prossimi mesi. E forse neanche nei prossimi due o tre anni.

Dunque, in quali circostanze il nostro Paese si troverà a fronteggiare i difficili passaggi che lo attendono nel futuro prossimo?

Questi passaggi appartengono (è bene ricapitolare) ad almeno tre piani. Infatti, stando alle indicazioni che emergono dai commentatori e dagli attori più ragionevoli e consapevoli (fra questi, ad esempio, un leader come Carlo Calenda che, a mio parere, sta trovando spesso, in queste settimane, toni appropriati), l’Italia nei prossimi mesi dovrebbe:

  1. fronteggiare una gravissima crisi di debito pubblico e privato (con prevedibile esplosione del debito pubblico fino al 150% o addirittura 170% del PIL), con diffuse chiusure di aziende e rischi di improvvisa insolvenza dello Stato e quindi rischio di non poter pagare stipendi e pensioni (vedi articolo di Pierluigi Ciocca sul Sole 24 ore del 12 aprile);
  2. riuscire contemporaneamente ad introdurre – nella risposta all’emergenza – alcuni elementi “strutturali” e di sistema. Ad esempio: diffuse semplificazioni amministrative, digitalizzazione, riordino delle competenze fra centro e periferia;
  3. aprire una ormai indifferibile nuova partita con l’Europa. Che sia efficace e di una radicalità sufficiente a sottrarre terreno di manovra ad un estremismo meramente sovversivo che può affacciarsi sulla scena. Quindi: una battaglia per abbandonare definitivamente le politiche di austerità (per il momento solo sospese) e per la riscrittura dei Trattati (linea che potenzialmente abbraccia oggi esponenti politici addirittura dal PD alla Lega) e che è stata recentemente argomentata con serietà da figure come Zamagni a Sapelli.

Anche fra i contributi che compaiono sul sito di Politica Insieme (pur nella varietà delle voci) osservo una forte convergenza verso questi tre piani di discorso e quindi credo possa apparire semplice – per noi – partire da qui per delineare un possibile perimetro di gioco.

Ma confesso di nutrire parecchi dubbi sul fatto che questo sia sufficiente ad incidere sulla realtà. Credo, infatti, che la buona volontà di molte persone colte e ragionevoli sia poca cosa rispetto a quei cinque fattori avversi che ho provato da elencare all’inizio di questa nota.

Credo che oggi – più che una semplice piattaforma – sia necessaria, quanto difficile, quella lucidità che consente di soppesare davvero con realismo le forze ed i problemi in campo, per evitare di scambiare i nostri desideri per una realtà che invece è diversissima: irta di rischi e di fattori avversi.

Una partita del genere – che è “la partita della vita” per l’Italia, non lo dimentichiamo – credo possa vincersi solo se, dal basso e in modo spontaneo e non previsto, si metterà in moto una volontà diffusa e popolare di salvare il paese. E se questa volontà avrà la forza di prevalere sulle divisioni e gli interessi particolari delle attuali élites di un’economia sempre più asfittica, del pensiero e della politica, per produrre essa – e in tempi ravvicinati – nuove élites, espressioni di questo elemento eccezionale di novità.

Questa – molto semplicemente – credo sia una conditio sine qua non. Senza di essa l’Italia non ce la farà a giocare la sua partita su quei tre piani che ho provato a definire. Fronteggeremo – forse, in qualche modo – l’emergenza ma solo creando le premesse di una crisi ancora più grave in un futuro non lontano. Accentueremo, nel frattempo i nostri problemi strutturali mentre la crisi ne produrrà di nuovi (ad esempio un ulteriore degrado della nostra vita sociale). Non invertiremo la crisi della stessa UE, non aiuteremo l’Unione ad uscire dal labirinto in cui è finita, ma – come socio più debole – ne subiremo sempre di più le contraddizioni.

Conseguentemente, credo che Politica Insieme, al pari di tutte le altre espressioni che si dimostreranno davvero libere da condizionamenti e che mirano ad avere un ruolo nel futuro dell’Italia, riuscirà nella sua scommessa solo se questa conditio sine qua non si realizzerà davvero e nella misura in cui riuscirà esclusivamente ad essere interprete fedele di essa.

Enrico Seta

 

Immagine utilizzata:Pixabay

 

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