Con gli ultimi sviluppi della tragedia Russo-Ucraina, il tentativo di Vladimir Putin di determinare una “putrefazione della guerra”, e quindi la sua trasformazione – almeno per alcuni mesi – in una guerra di logoramento, in un “conflitto a bassa intensità”, si è subito dimostrato assai difficile da porre in atto.

Il tentativo di congelare la guerra che abbiamo descritto qualche giorno fa (CLICCA QUI) si è dimostrato fondato su una valutazione piuttosto ottimistica della situazione internazionale e dei soggetti coinvolti, specie se confrontata con gli altri sviluppi che vengono considerati possibili.

Difficoltà su due fronti

Da un lato, la supposta invulnerabilità dei territori annessi alla Federazione russa si è purtroppo subito incagliata nell’ostinazione di Zelensky, e di chi lo consiglia, a capovolgere non solo le sorti della “guerra di Putin. Ha anzi addirittura promulgato un decreto con cui proibisce (sostanzialmente a se stesso, visto che non c’è nessuna prospettiva che egli lasci il potere a Kiev) di trattare con Mosca prima che Putin sia stato abbattuto.

Zelenky, peraltro – senza nessuna preoccupazione, timore o remora per le conseguenze che ne possono derivare per tutta l’Europa, così come a livello planetario – ha immediatamente “violato” su più fronti lo spazio appena dichiarato come garantito dalla sovranità di Mosca. Ed ha così chiuso il Presidente russo nella tenaglia di un’alternativa tra perdere la faccia o fare qualcosa di eclatante, e disastroso: ad esempio, il lancio – di cui si è parlato sui giornali occidentali – di un ordigno atomico tattico al confine tra Russia e Ucraina

Putin ha subito smentito queste voci. Ed effettivamente una tale reazione sembra improbabile, a meno che Mosca non decida di colpire un’area già abbandonata dalla popolazione e particolarmente devastata dalla guerra convenzionale sinora combattuta, e sita in territorio considerato “russo” in virtù delle recenti annessioni.

Anche la ipotetica invulnerabilità ucraina non è avanzata di un centimetro. Al momento, sono infatti sempre e solo nove gli stati membri dell’alleanza occidentale che hanno caldeggiato quell’adesione di Kiev alla Nato che renderebbe impossibile ulteriori attacchi russi all’Ucraina: Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Montenegro e Macedonia del Nord. Paesi. Come si vede, paesi non molto potenti, e che nella loro storia si sono quasi sempre trovati a pagare il prezzo dello scontro tra grandi potenze.

Scenari di pace o di morte

Sottolineare la fattibilità, o addirittura la probabilità, di un congelamento della guerra e sottolineare le conseguenze positive – oltre a quelle negative – che esso comporterebbe, rimane però assai opportuno. Perché, nonostante tutto, quello del congelamento del conflitto rimane uno scenario effettivamente possibile, che si contrappone a quello, catastrofico e suicida, della guerra nucleare tra Nato e Russia. Uno scenario, quest’ultimo, che viene consapevolmente – per spargere terrore e ferocia – presentato come probabile, se non inevitabile, da alcuni commentatori onnipresenti in TV.

Sottolineare la fattibilità, o addirittura la probabilità, di un congelamento della guerra finisce infatti per scoraggiare la passiva accettazione, da parte delle opinioni pubbliche occidentali, di una pretesa inevitabilità di sviluppi più violenti e sanguinosi, e per rendere meno grave il rischio che si diffondano anche in Europa gli atteggiamenti bellicosi ostentati sia dai media Americani che da larghi strati dell’opinione russa.

Per quanto riguarda poi l’opinione di ispirazione più specificamente cristiana sembra ormai diventato impossibile eludere il problema del “che fare”. Specialmente in un momento in cui da più parti, compreso da parte delle ACLI, viene lanciata la proposta di una conferenza internazionale di pace”, da svolgersi a Roma, “con il pieno coinvolgimento del Vaticano”.

 Oltre a riaffermare, con quanta forza e quanto fiato si può, il diritto del mondo alla pace, va anche immediatamente preso atto del fatto che i Cinque Stelle, un movimento che sembrava morto, e che è riuscito a salvarsi dalla scomparsa improvvisandosi – grazie alle sinora poco note capacità di Giuseppe Conte – , interprete del crescente disagio sociale del Paese, punta ormai, come evidente dall’intervista concessa all’Avvenire, a farsi interprete del consenso sollevato dalla lucida visione di Papa Francesco su come la “Terza Guerra Mondiale a pezzi e a bocconi” in atto da alcuni anni stia trascinando il mondo verso la guerra nucleare totale.

Sei mesi di tregua?

Di fronte ad una situazione apparentemente indomabile di sanguinosa conflittualità militare, la “Marcia per la Pace” che è in via di organizzazione manca ancora di obiettivi politici concreti e fattibili. E ciò rende più che opportuno che si tenti di inserirsi nel vuoto di idee che almeno fino all’avvento di Giuseppe Conte alla sua leadership, ha sinora caratterizzato quelli che erano i cosiddetti “grillini”; e che oggi è forse improprio chiamare ancora con questo nome. E a riempirlo, questo vuoto,  per suggerire come possibili – perché come abbiamo visto sono effettivamente possibili – concrete ipotesi, se non ancora di pace negoziata, almeno di semplice “congelamento” dello scontro. Suggerirli, come ha già fatto il “Fatto quotidiano”, sulle cui colonne, lo scorso 5 Febbraio, Peter Gomez, le cui argomentazioni inducono a considerazioni assai simili alle nostre, e forse allo stesso tipo di costruttivo impegno che ci si aspetterebbe da ogni soggetto di ispirazione cristiana.

Sul terreno, in realtà, la “linea rossa” che Putin ha cercato di definire con l’annessione delle quattro zone in mano all’esercito russo, è già stata oltrepassata nei primissimi giorni di ottobre con la conquista ucraina del nodo ferroviario di Lyman.  Ma ciò è provvidenzialmente avvenuto “in the fog of war”, nella nebbia dello scontro, e senza che ci fosse da parte del Cremlino nessuna reazione fuori dal “normale”.

Questa flessibilità di Mosca su un principio appena proclamato si spiega col fatto che lo scontro militare entra comunque, in questi giorni, in una nuova fase che potrebbe essere meno violenta. Ad alleggerire la situazione rallentando l’offensiva di Zelensky potrebbe essere l’approssimarsi del tradizionale alleato della Russia: il Generale Inverno.

Con l’arrivo dell’autunno, infatti, tutta la grande pianura sta sprofondando nel fango.  Difficilmente gli Ucraini potranno avanzare ancora – o i Russi reagire – prima di aprile.  A meno di temperature molto fredde in gennaio o febbraio che creino una spessa coltre di ghiaccio più favorevole della melma allo spostamento dei cingolati.

“Non convenzionale”, ma non nucleare

È insomma possibile che si sia sul punto di pausa forzata fino ad aprile. E che questa segni l’effettiva entrata in vigore della “linea rossa” tracciata da Putin con la formale incorporazione dei territori contesi nella Federazione russa. Alla ripresa, quindi, a primavera, secondo la visione di Mosca, ogni ulteriore offensiva ucraina potrebbe, al contrario di quel che sembra accadere in queste ore, provocare una risposta “non convenzionale”.

Non si tratterebbe per forza di una bomba atomica. Ci sono altri passi “non convenzionali” che la Russia può fare prima del ricorso all’arma nucleare. Potrebbe ad esempio tentare di abbattere con dei missili di precisione (di cui dispone) i satelliti americani che forniscono agli Ucraini le coordinate esatte degli obiettivi da colpire con le armi a lunga gittata anch’esse fornite da Washington. Non a caso, un esperto come Lucio Caracciolo ha detto in televisione che gli Americani conoscono il punto di partenza, la traiettoria, e il punto di arrivo di ogni colpo sparato agli Ucraini.

Anche il ricorso ad armi nucleari potrebbe, peraltro, essere fatto partendo da un basso grado di letalità. I Russi, che sono inferiori agli Stati Uniti in campo convenzionale, dovrebbero (a meno di fattori di debolezze non conosciuti da chi non ha contatti con i servizi segreti) essere alla pari, e forse anche un po’ più avanti, in campo nucleare e missilistico

Se si dovessero moltiplicare gli atti di guerra tendenti a colpire le infrastrutture e ad  impedire i rifornimenti, come l’attacco ai gasdotti North Stream uno e North Stream due (del quale i Tedeschi e i Russi – anche se per ragioni di propaganda preferiscono accusare gli Ucraini – pensano che gli autori materiali siano stati i Polacchi, su istigazione di ambienti estremisti americani) , è ad esempio verosimile che i Russi rispondano dapprima attaccando in maniera convenzionale i gasdotti che uniscono la Sicilia alla Tunisia, e la Puglia all’Azerbajian, cioè eliminando i flussi di gas con cui un paese particolarmente dipendente dal metano russo ha cercato di sostituirlo.

Tra “tattico” e “strategico”

D’altro canto, anche se ritenessero inevitabile una escalation nucleare è probabile che userebbero una bomba “tattica” anziché una bomba strategica. Di tali bombe, i Russi ne hanno circa duemila, contro duecento degli USA, che però li sopravanzano nettamente con le “strategiche”.

Tanto per restare nel settore del gas naturale, se l’embargo finisse per danneggiare la Russia senza gli effetti negativi che esso sembra oggi determinare in Europa occidentale, Mosca potrebbe sganciare una o più bombe tattiche in Atlantico, approssimativamente tra la Scozia e la Norvegia, in modo da rendere impossibile, o almeno difficoltoso, lo sfruttamento dei locali giacimenti di gas. Evitando però – o riducendo al minimo – la perdita di vite umane.

Per rendersi conto della differenza tra ordigni “strategici” e “tattici”, basta dire che, se sganciata su Parigi, una bomba “strategica” distruggerebbe completamente almeno cinque arrondissements su venti, facendo settecentomila morti e due milioni di feriti o ustionati più o meno gravi; una bomba “tattica” duecentomila morti e un milione di feriti o ustionati.

Solo dopo questi passi “intermedi” si giungerebbe all’uso bellico vero e proprio di armi nucleari tattiche su concentramenti di truppe o addirittura su centri abitati. Nel caso ucraino, le infrastrutture militari a Nord-Est di Leopoli potrebbero essere un obiettivo designata.

Non è certo a cuor leggero che si può tracciare questa specie di “memorandum sulla ferocia umana”. Anzi, ad ogni frase bisogna continuare a ripetersi in principio insegnatoci da Emanuele Kant secondo il quale la vita di un solo uomo o di una sola donna costituisce una perdita e crea una colpa in tutto e per tutto eguali a quelle di una strage.

Purtroppo, però non sembra essere questa l’opinione prevalente nell’era positivista e materialista in cui siamo stati condannati a vivere. Ma proprio per questo è opportuno che chi crede al progresso e all’uso della ragione debba provare ad inserirsi nel dibattito, cercando di far sempre circolare idee che – per usare un concetto che, peraltro, è anch’esso piuttosto positivista – portino al male minore per il minor numero di persone possibile.

Giuseppe Sacco

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