Segue la prima parte (CLICCA QUI)  e la seconda (CLICCA QUI) già pubblicate

Cresce la distanza tra Stati del Nord e quelli del Sud:   Il Nord e il Sud si stavano inevitabilmente allontanando. L’avanzata della Rivoluzione Industriale aveva fatto del Sud un cliente dell’Inghilterra, le cui industrie avevano bisogno del cotone grezzo che vi era prodotto. L’economia di quegli Stati, quasi esclusivamente agricola, non era in grado di realizzare i necessari prodotti manifatturieri che dovevano quindi essere acquistati dall’Inghilterra al miglior prezzo possibile. I notabili del Sud erano perciò favorevoli ad una politica di libero scambio soprattutto con quest’ultima.

Nel Nord invece, in pieno clima della Rivoluzione Industriale, sorgevano fabbriche  accompagnate da un capitalismo di manodopera salariale libera. Sia la classe operaia che quella imprenditoriale insistevano per essere protetti dal continuo afflusso di prodotti inglesi con i quali non potevano competere: tariffe elevate dunque per la crescente industria del Nord che invece per il Sud sarebbero state rovinose.

Per produrre più cotone servivano più schiavi ed il Sud agli occhi di tutti era il regno del cotone. Nei nuovi territori gli agrari del Sud volevano estendere il loro sistema di piantagioni per produrne di più. Al contrario, per i coloni del Nord l’intento era quello di creare delle piccole fattorie mentre per i suoi imprenditori e commercianti la priorità era costruire ferrovie ed aprire nuovi mercati.

Il problema si stava anche acquisendo una dimensione morale: nel frattempo, infatti, nel 1833 lo schiavismo era stato abolito nelle colonie britanniche, in quelle francesi nel 1848 ed in date diverse, entro la metà del secolo, nelle nuove repubbliche dell’America Latina. La servitù agricola scomparve dai possedimenti degli Asburgo nel 1848 ed in Russia venne soppressa nel 1861.

Negli Stati del Sud stava emergendo un nazionalismo locale che assumeva anche un aspetto culturale. In quelli del Nord cresceva invece il sentimento abolizionista, caratterizzato dalla contrarietà e dall’indignazione di fronte alla questione della schiavitù.

Dal 1815 all’inizio della Guerra Civile – una nazione in crescita:  Nel corso degli anni di cui si è appena parlato il Paese subì enormi cambiamenti: dai suoi albori, il XIX secolo aveva aperto la via a quel processo di trasformazione che avrebbe sostituito la tradizionale società agricola con una di tipo industriale, urbana e tecnocratica che, tra alti e bassi, si è estesa a tutto il mondo fino ad oggi.

Negli Stati Uniti la popolazione tendeva a raddoppiare pressappoco ogni 25 anni. Nel 1860 superava già i 31 milioni ed era maggiore di quella inglese. In questo stesso anno, più di un terzo risiedeva in centri urbani con più di 2500 abitanti. Le città di Boston e di New York avevano entrambe superato i 150 mila.

Dopo il 1815 le cifre dell’immigrazione dall’Europa iniziarono a salire a tal punto che nel decennio successivo al 1830 entrarono nel Paese in media 50 mila persone l’anno. Furono 100 mila dopo il 1840 e negli anni successivi al 1850, 150 mila. In questo stesso periodo gli immigrati superarono i 5 milioni, più dell’intera popolazione del 1790.

La regione più urbanizzata corrispondeva agli Stati del Nord-Est, dove nel 1860 più di un terzo della popolazione risiedeva nelle città. Nel Sud, a vivere nei centri urbani era invece meno del 10%: le città erano poche e di dimensioni relativamente ridotte. In questo stesso anno vi erano negli Stati Uniti otto città con più di 150 mila abitanti. Negli Stati del Sud il numero degli schiavi era passato dai poco meno di 860 mila del 1800 ai 4 milioni del 1860. I neri liberi erano circa 250 mila. Il 90% della popolazione di colore viveva al Sud al di sotto della linea Mason-Dixon che fino alla Guerra Civile era considerata la frontiera tra gli Stati liberisti e quelli schiavisti.

La vita degli schiavi era migliore di quella che si svolgeva altrove, inclusa quella delle classi operaie europee. La loro alimentazione era migliore di quella di molti braccianti agricoli inglesi e ben superiore a quella del contadino irlandese o russo. La loro giornata lavorativa non era poi più lunga di quella di molti operai degli Stati del Nord. Avevano la domenica libera, oltre che parte del sabato. La crudeltà dei trattamenti e le brutalità non erano la regola e la degradazione non era dunque tanto fisica quanto psicologica. Tra bianchi e neri si giunse col tempo a forme di adattamento spesso complesse.

Lo schiavismo fu anti-economico, così come lo era la convinzione che l’agricoltura fosse l’unica occupazione degna di un gentiluomo. A questo modo di vedere le cose corrispose la scarsa disponibilità di capitali per un decollo industriale: nel 1860 il Sud riusciva a produrre poco meno del 10% dei manufatti in America e la maggior parte dei guadagni dei proprietari agricoli finiva al Nord, dove andava a finanziare la crescente espansione industriale, insieme alla meccanizzazione della produzione e l’ingrandimento delle fabbriche.

Dal punto di vista dell’economia, alla tradizionale società agraria si andava sostituendo un’economia capitalista e commerciale. Prevalentemente agrarie erano le regioni dell’Ovest, negli Stati del Sud aumentava la produzione del cotone coltivato su vasta scala mentre nel Nord-Est si diffondeva la Rivoluzione Industriale.

Tra il 1810 ed il 1860 i lavoratori nell’industria manifatturiera passarono da 349 mila a quasi un milione e mezzo ed il capitale investito da 50 milioni di dollari a circa un miliardo. La gran parte di questo sviluppo industriale e capitalistico si stava concentrando negli Stati della Nuova Inghilterra e nella media fascia atlantica. Malgrado questi enormi progressi, il periodo di maggior sviluppo industriale doveva ancora arrivare.

Il processo di colonizzazione era facilitato da una rivoluzione nei trasporti mentre intanto il numero degli Stati era passato da 18 a 33 e i confini nazionali si erano estesi fino al Pacifico. Nel 1810 un americano su sette viveva ad Ovest della catena degli Appalachi. Nel 1860 questa proporzione era passata ad uno su due, proporzione che per le tribù indiane invece cominciava a significare l’allontanamento dalle loro terre. Nei vent’anni tra il 1840 ed il 1860 il progresso tecnologico contribuì ad un sostanziale aumento della produzione agricola di questi territori occidentali.

Grazie al vapore si moltiplicavano i battelli fluviali e cresceva la rete ferroviaria che nel 1840 contava oltre 5000 km. Vent’anni dopo aveva raggiunto circa 50 mila km, tre volte quella inglese. Si estesero anche altre vie di comunicazione come quella fluviale e la rete stradale. Tutto ciò consentì ai porti sull’Atlantico di superare New Orleans per volume di traffico verso  i territori dell’Ovest. Nuovi collegamenti furono agevolati dal telegrafo, tanto che nel 1860 le linee telegrafiche avevano superato gli 80 mila km.

A questa crescita dell’economia interna corrispondeva quella del commercio con l’estero: dai 67 milioni di dollari del 1825 si giunse ai 333 milioni del 1860. Gran parte di questo commercio si avvaleva di navi americane, tanto che tra il 1820 ed il 1860 il tonnellaggio passò da 646 mila tonnellate a più di 2 milioni e trecento mila. I velieri stavano gradualmente cedendo il passo al ferro e al vapore.

Questo fu anche un periodo di grande fermento sociale e culturale nel quale fiorirono intensi dibattiti sulla scuola, la religione, lo schiavismo, i rapporti tra i sessi, i diritti delle donne e l’ordinamento carcerario. Nella cultura andava emergendo una nuova vena che poteva dirsi autenticamente americana.

L’elezione di Lincoln e le origini della Guerra Civile:   Mentre il Paese continuava ad espandersi, le sue regioni acquistarono in varietà, diversità e caratteristiche proprie. Il contrasto tra Nord e Sud, tra quello di un sistema impostato sul lavoro salariale e uno fondato sullo schiavismo, fece emergere quella che era la più pericolosa delle differenze in quanto non solo economica e politica, ma anche razziale.

 Abbiamo visto come per molti americani del Nord vi fosse il sospetto che l’idea del Destino Manifesto fosse un semplice strumento grazie al quale il Sud potesse impossessarsi di più territori da convertire in Stati schiavisti e come le due società si stessero gradualmente separando. E’soprattutto sulla questione dell’espansione verso Ovest che emersero le differenze politiche tra gli Stati del Nord e quelli del Sud: si sarebbe potuta consentire la schiavitù in questi nuovi territori o doveva limitarsi solo al Sud?

 Come si è visto in precedenza, vari furono i tentativi di risolvere questo problema: nel 1820 con il Compromesso del Missouri, al quale seguì il Compromesso del 1850, sostituito poi dal Kansas-Nebraska Act del 1854. Nel 1857 la Corte Suprema decise sul caso Dred-Scott ed il suo presidente, Roger Taney, si spinse troppo in là nella sua opinione, tanto che il giudizio finale contribuì a dividere ulteriormente la nazione ed infiammarne il clima rendendo in questo modo una guerra civile inevitabile.

 Il Partito Democratico finì con il dividersi in una componente nordista ed una sudista; il Partito Repubblicano finì invece col rappresentare interamente il Nord e nominò Lincoln sulla base di un programma di contenimento della schiavitù: la sua elezione fece precipitare il Paese nella Guerra Civile.

 Il 20 Dicembre 1860, nel timore che un presidente repubblicano avrebbe imposto l’abolizione della schiavitù, lo Stato della Carolina del Sud decise di lasciare l’Unione. Poco più di tre mesi dopo, il 4 Marzo dell’anno successivo, ne seguì la secessione di altri sei Stati che decisero di unirsi tutti insieme per formare gli Stati Confederati d’America. Se questi ultimi si sarebbero battuti per impedire l’abolizione della schiavitù, il Nord all’inizio entrò in guerra non tanto per liberare gli schiavi quanto per conservare l’Unione. Fu solo nel 1863 che l’impulso dato dalla guerra, al quale si aggiunse l’accresciuto potere dell’ala radicale del Partito Repubblicano, fece dell’emancipazione un ulteriore scopo della guerra.

 Date queste premesse, la guerra sarebbe stata totale perché tali furono i suoi obbiettivi: ripristino dell’Unione da un lato, l’indipendenza degli Stati del Sud dall’altro. In poche parole, il rifiuto di Washington di riconoscere il diritto degli Stati di staccarsi dall’Unione, mentre per gli Stati del Sud si trattava invece di evitare quella che veniva considerata una minaccia allo schiavismo. Queste le origini immediate della guerra.

 Come espresso dal virginiano James Mason, si trattò soprattutto “di una guerra di sentimento e di opinione da parte di un tipo di società contro un tipo diverso di società”: non vi era infatti modo per gli uomini del Sud di conservare il loro stile di vita e la propria comunità all’interno dell’Unione. Si sentivano troppo diversi.

Sin dall’inizio delle ostilità risultò evidente come il numero dei volontari non bastasse. Nel Marzo 1863 da ambo le parti fu votato il primo atto di coscrizione nazionale della storia americana. Scopo del conflitto per il Nord era di condurre da subito una guerra di tipo offensivo da combattere sia ad Est che ad Ovest, prendere il controllo delle rotte fluviali più importanti insieme alle piazzeforti dell’Ovest per poi conquistare la capitale Richmond. Per riuscirvi, istituì un imponente blocco navale al fine di tagliare fuori i porti del Sud dai mercati europei: occupazione del Sud dunque e distruzione delle sue Forze armate.

Per i Confederati si trattava più semplicemente di conservare la loro indipendenza. Per battersi sarebbe servita soprattutto una strategia difensiva: combattevano in casa, conoscevano il terreno ed erano in grado di condurre con successo una guerra di logoramento. Trattandosi soprattutto di contrastare gli attacchi nemici, veniva meno la supremazia numerica nordista. Molto di più non potevano fare, dato che nel Nord vivevano poco più di 27 milioni di persone e nel Sud appena 8. Gli schiavi a loro volta erano poco meno di 4 milioni. Sotto tutti i punti di vista il Nord era molto più forte: produceva 15 volte più ferro, 38 volte più carbone e 27 volte più manufatti di lana. Vi operavano inoltre i 4/5 delle fabbriche di tutti gli Stati Uniti.

 Questo fu un conflitto dei più sanguinosi, il maggiore nel periodo tra le guerre napoleoniche e la Prima Guerra Mondiale ed alcune delle battaglie furono imponenti quanto quelle combattute nell’epoca napoleonica. I due eserciti schierarono complessivamente circa 3 milioni di soldati. Le vittime furono più di un milione, con un numero dei morti che in proporzione si rivelò più alto di quello subito da qualsiasi esercito nel corso del primo conflitto mondiale: il totale fu di 636.387, poco più del 20% dei soldati arruolati.

 Agli occhi di molti storici fu la prima guerra moderna: scaturì da un contrasto di ideologie ed era un conflitto con obbiettivi illimitati dal quale non si poteva uscire che con una piena vittoria.

 Un nuovo Segretario di Stato:  Come Segretario di Stato Lincoln scelse William Henry Seward, preminente senatore abolizionista. Questi era stato scelto non per le sue competenze in politica estera, quanto piuttosto per il suo peso nell’ambiente politico. Il motivo per il quale era stato sconfitto nelle elezioni da Lincoln è che molti lo ritenevano troppo ostile alla schiavitù.

Una volta nominato Segretario di Stato si persuase che Lincoln era privo di progetti, che non esercitasse abbastanza il suo potere nell’affrontare i problemi sorti con la Secessione e che fosse fondamentale evitare un conflitto civile. Inizialmente era sua convinzione, ed insieme a lui erano molti a pensarlo, che gran parte dei sudisti volessero conservare l’Unione e che a volerla sciogliere invece fosse solo un pugno di estremisti.

Per via dei suoi tentativi di conciliazione fu soprattutto lui a dare ai Confederati l’impressione che Washington avrebbe ordinato l’evacuazione di Fort Sumter,  rinunciando così a combattere. Il forte si trovava di fronte al porto di Charleston, nella Carolina del Sud, ed i Confederati avevano chiesto al suo comandante di arrendersi insieme alla guarnigione. Il rifiuto fu netto.

Conscio dell’aggravarsi della situazione, il 1 Aprile Seward trasmise a Lincoln un documento a dir poco sorprendente: per porre rimedio alla crisi ed evitare una guerra, egli suggeriva di tenere uniti gli americani scegliendosi qualche altra nazione con la quale aprire un contenzioso ed eventualmente entrare in guerra. Era sua opinione che un conflitto esterno sarebbe stato l’unico modo per impedire la secessione e conservare l’unità del Paese.

Già nel Gennaio del 1861 Seward aveva espresso l’idea che se la città di New York fosse stata attaccata da una potenza straniera “tutte le colline della Carolina del Nord avrebbero mobilitato la loro popolazione per venirle in soccorso”. All’ambasciatore di Francia disse: “nulla mi darebbe più piacere che vedere una potenza europea intervenire in favore della Carolina del Sud. L’avrei quindi attaccata e la stessa Carolina del Sud, insieme agli altri Stati secessionisti, si sarebbe unita a me nel farlo”.

I diplomatici europei in missione a Washington non erano ignari di questo pericolo, tanto che l’ambasciatore inglese avvertì Londra che nel Nord forte era la tentazione di scatenare una guerra per distogliere l’esaltazione dell’opinione pubblica e raccogliere consenso coinvolgendo il Paese in un’avventura esterna. Nulla di nuovo per chi è abituato a seguire le vicende internazionali: si trattava del tipico rimedio di chi, nell’incapacità di risolvere una crisi interna, la proietta verso l’esterno per distrarre l’opinione pubblica ed ottenerne il consenso.

Questo particolare episodio rimase segreto fino alla fine del secolo quando furono pubblicate le carte di Lincoln: egli non solo era contrario a questo memorandum ma temeva anche potesse avere effetti negativi se qualcuno ne fosse venuto a conoscenza. Per un certo periodo il Segretario di Stato continuò ad orientare la sua azione diplomatica come se fosse prossimo a provocare una guerra contro l’Inghilterra o qualche altro paese.

La guerra scoppiò a seguito dell’attacco a Fort Sumter. Gli Stati della Virginia, del Tennessee, dell’Arkansas e della Carolina del Nord si unirono ai loro altri fratelli, da cui il nome ufficiale di “Guerra di Ribellione” dato dal Nord al conflitto.

 Il Nord si adoperò immediatamente istituendo un blocco navale per negare ai Secessionisti le risorse necessarie ad affrontare la guerra. Senza capacità industriali gli Stati del Sud dovevano importare la maggior parte degli armamenti oppure catturarli al nemico. Con l’inasprirsi di questo blocco e l’intensità dei combattimenti, gli Stati Confederati incontrarono difficoltà sempre maggiori nel rimpiazzare gli equipaggiamenti e le armi perdute. Allo stesso tempo, con l’avanzare del conflitto, crollava anche la produzione agricola rendeva sempre più difficile nutrirsi.

Si apre la partita diplomatica:  Poco dopo l’inizio delle ostilità, il governo di Londra emise una nota nella quale confermava la sua neutralità e consigliava ai cantieri inglesi di evitare la costruzione di naviglio da guerra a vantaggio di una delle due parti. I marittimi inglesi furono avvisati di non infrangere blocchi navali legalmente istituiti dalla marina americana e ai cittadini fu ordinato di non arruolarsi nelle Forze armate delle parti in conflitto. Ai Confederati concesse lo stato di belligeranza, che però non era l’equivalente di un riconoscimento come nazione indipendente. Si trattava di un’affermazione di neutralità in attesa di vedere quali sarebbero stati gli sviluppi successivi.

Venuto a conoscenza di una missione di esponenti confederati a Londra, Seward decise di inviare al governo inglese una nota piena di minacce, compresa quella di una rottura dei rapporti diplomatici se gli Inglesi avessero proseguito ad avere conversazioni con i secessionisti. In modo piuttosto vago menzionava persino la possibilità di una guerra contro delle potenze europee.

Il presidente Lincoln pensò bene di addolcire questa nota. Nonostante ciò, quando l’ambasciatore americano giunse a Londra scrisse nel suo diario che gli sembrava che la sua amministrazione fosse sul punto di dichiarare guerra a tutta l’Europa. Questo comportamento fece pensare ad alcuni esponenti politici francesi ed inglesi che il Segretario di Stato fosse di carattere instabile ed erratico nei modi e che di fronte a lui era meglio comportarsi con prudenza.

L’azione diplomatica degli anni della Guerra Civile seguì binari piuttosto precisi: quali le scelte delle potenze europee, soprattutto Francia e Gran Bretagna, di fronte alla possibile disgregazione dell’Unione? Sarebbero rimaste neutrali o avrebbero piuttosto esteso il loro riconoscimento agli Stati Confederati dando loro la legittimità di nazione indipendente? Vi sarebbero stati tentativi di intervento nelle questioni interne delle due parti? Nulla dunque a che vedere con gli effetti di una azione sulle potenze europee, quanto piuttosto le conseguenze delle decisioni di queste ultime sul corso degli eventi americani.

Questi anni di guerra ebbero conseguenze di rilievo sul diritto internazionale marittimo. Nel 1856, insieme ad una quarantina di altre nazioni ma senza gli Stati Uniti, le potenze europee avevano firmato la dichiarazione di Parigi per stabilire alcuni princìpi di comportamento sul mare. La Guerra Civile offrì l’occasione per saggiare l’efficacia di queste regole che furono anche uno dei primi esempi di interdipendenza economica tra nazioni a seguito della Rivoluzione industriale. L’aspetto più importante fu quello della dipendenza dell’Europa dalle forniture di cotone provenienti dagli Stati Uniti.

Negli atteggiamenti delle potenze europee di fronte al conflitto vi furono aspetti indubbiamente ideologici: in caso di vittoria degli Stati Confederati, le monarchie conservatrici vedevano la possibilità di sconfiggere in casa propria le spinte repubblicane oltre che i princìpi di uguaglianza derivanti dalla Rivoluzione Francese. Le forze liberali, al contrario, vedevano in una vittoria dell’Unione un’opportunità di progresso per la loro causa. Le posizioni degli Stati europei dipendevano quindi dagli obbiettivi di quelli che al loro interno erano gli equilibri tra le forze liberali o conservatrici.

Negli Stati Uniti, per le due parti in guerra la politica estera si fece cosa seria: già prima dell’inizio delle ostilità Richmond e Washington si erano rese conto che le posizioni delle potenze europee avrebbero avuto un peso determinante nell’andamento del conflitto.

Riflettendo timori da molti condivisi, sin dai primi giorni della sua amministrazione il presidente Lincoln si era posto pochi ma chiari obbiettivi: impedire che Parigi e Londra riconoscessero gli Stati Confederati, escludere qualsiasi intervento armato ed evitare ogni interferenza sul blocco navale imposto ai ribelli.

La politica estera degli Stati del Sud aveva scopi opposti: ricevere la massima assistenza possibile dall’Europa e portare gli Stati del Nord a rinunciare all’idea di ristabilire l’Unione con la forza delle armi in virtù di un riconoscimento della loro indipendenza da parte europea.

Per gli uni dunque tenere l’Europa il più possibile fuori dal conflitto, per gli altri invece persuadere gli europei a concedere loro il massimo degli aiuti. Dopo l’inizio del conflitto nel 1861 e per un discreto lasso di tempo in seguito, forti erano i dubbi sulle possibilità del Nord di schiacciare i Confederati e imporre loro l’Unione: malgrado l’inferiorità delle sue forze, il generale Lee continuava infatti a sconfiggere l’armata del Potomac.

Fino alla battaglia di Gettysburg che capovolse le sorti della guerra, sarebbe stato lecito per i governi europei ritenere che il Nord non avrebbe potuto vincere ed essere  così presi dalla tentazione di riconoscere l’indipendenza degli Stati del Sud o di proporsi per una mediazione al fine di trovare una soluzione alla crisi americana.

Cambiano le sorti della guerra:   Alla fine del 1863 la Confederazione era in crisi. Sapeva però che se fosse riuscita ad ottenere l’appoggio dell’Europa la sua indipendenza sarebbe stata certa. Era ovvio che l’andamento della guerra sarebbe stato determinato dalla situazione sul campo. Le potenze europee potevano prendere in considerazione la possibilità di un intervento solo se il Sud fosse stato prossimo alla vittoria. La Francia aveva lasciato intendere che avrebbe seguito l’Inghilterra, ma non avrebbe agito per conto proprio.

 Se l’offensiva di Lee nell’autunno del 1862 avesse avuto successo, l’Inghilterra avrebbe potuto riconoscere i Confederati. A seguito della battaglia di Antietam, avvenuta il 17 Settembre 1862, il progetto fu accantonato e dopo Gettysburg definitivamente abbandonato. Questa battaglia rappresentò il momento di massima speranza per il Sud, in quanto per il generale Lee si trattava di vedere se sarebbe riuscito ad entrare a Washington e vincere la guerra. Ci provò, non ce la fece e da quel momento si rese conto che la causa del Sud era perduta. Sul terreno rimasero 51 mila caduti.

 A cinque giorni dallo scontro di Antietam, il presidente Lincoln mise da parte ogni esitazione ed emanò un proclama di emancipazione da applicarsi unicamente nei territori in mano ai Confederati. Da quel momento la guerra non fu solo un conflitto in difesa dell’Unione ma anche per la libertà di milioni di uomini, dandole quindi una dimensione morale che fino a quel momento le mancava. Anche se inquadrati in unità segregate con alla testa degli ufficiali bianchi, a causa di questo proclama 186 mila volontari neri si arruolarono nelle fila dell’Unione e molti si distinsero in combattimento.

La questione della schiavitù non fu mai un fattore determinante nell’orientare le scelte politiche delle potenze europee. Con l’avanzare del conflitto questa si tradusse però in una forte spinta morale a favore dell’Unione. Una volta emanato il Proclama, la questione degli schiavi divenne un’opportunità per acquisire consensi in Inghilterra, prima nazione ad abolire il commercio degli schiavi.

 Molto meno conosciuta, ma altrettanto importante, la cattura della piazzaforte di Vicksburg da parte del generale Grant il 15 Luglio del 1863. Per il Nord la vallata del Mississippi era un punto cruciale nel conflitto e con questa vittoria, insieme alla caduta di altre fortificazioni lungo il fiume, l’intero corso del Mississippi cadde nelle mani dell’Unione. Il Sud fu tagliato in due e gli Stati della Louisiana, dell’Arkansas e del Texas rimasero esclusi dalla Confederazione.

 Venne così portato a termine il cosiddetto piano Anaconda, concepito da Winfield Scott: egli era convinto che la guerra sarebbe stata lunga e che era dunque necessario piegare il Sud combinando un blocco navale inflessibile ad una pressione militare su tutte le aree di confine.

 Il Sud e la questione del Re Cotone:  Nel 1858, tre anni prima dello scoppio delle ostilità, il senatore della Carolina del Sud James Hammond pronunciò in aula queste parole: “Senza sparare un colpo, senza sguainare una sciabola metteremo il mondo ai nostri piedi. Il Sud è pienamente in grado di andare avanti per uno, due o tre anni senza piantare un seme di cotone. Ma se non arriva il cotone, questo è certo: l’Inghilterra crollerebbe portandosi appresso tutto il mondo ad eccezione del Sud. No, che nessuno osi dichiarare guerra al cotone, che nessuna potenza sulla terra osi farne una guerra. Il cotone è re”.

Nell’economia del periodo, il benessere dell’Inghilterra e della Francia dipendeva in gran parte dalle balle di cotone provenienti dalle piantagioni del Sud. Senza questa materia prima le loro industrie e le loro manifatture avrebbero cessato di funzionare per poi essere inevitabilmente costrette a chiudere. Ne sarebbe seguito un crollo dei ricavi, la caduta del Pil e licenziamenti a catena: non tanto una recessione, quanto piuttosto una pesantissima depressione economica.

I Confederati ritenevano che né l’Inghilterra né la Francia avrebbero mai potuto accettare questa situazione: si sarebbero aspettati quindi un inevitabile riconoscimento diplomatico insieme ad un flusso di aiuti. Per entrambe il cotone era materia prima di vitale importanza.

Se l’Unione non avesse deciso il blocco dei porti del Sud, le potenze europee sarebbero potute intervenire per garantirsi le forniture di questa indispensabile materia prima. La logica dell’economia le avrebbe inevitabilmente portate a venire in soccorso della causa confederata per salvare i loro stessi apparati economici: dal 1840 in poi, il 75% del cotone grezzo lavorato in Inghilterra proveniva dagli Stati del Sud. Ad un anno dalla Guerra Civile, il commercio inglese aveva raggiunto la cifra di 165 milioni di sterline: di questi, 55 milioni provenivano dall’industria tessile del cotone, dalla quale per il suo tenore di vita dipendeva un quinto della popolazione. Tale era l’importanza del cotone che per anni questa dipendenza aveva preoccupato gli inglesi.

Le speranze del Sud erano elevate, in quanto per molti questa dipendenza avrebbe costretto l’Inghilterra ad intervenire e a premere sul Nord per una mediazione. Per stringere i tempi, alcuni ritenevano che era inutile attendere e che fosse il caso di mettere subito in atto un embargo sulle esportazioni: furono così date alle fiamme oltre due milioni di balle grezze di cotone per privarne l’Europa.

Verso la fine dell’estate del 1862 il governo inglese meditò a fondo sull’opportunità di intervenire, dato che la scarsità di cotone iniziava a farsi sentire: la disoccupazione era in aumento, Napoleone III spingeva per una mediazione congiunta con Londra per porre fine alla guerra o altrimenti far terminare il blocco navale e riconoscere l’indipendenza degli Stati Confederati.

La fine del Re Cotone:  Come spesso accade nelle vicende umane, le cose non si svolgono come inizialmente sperato. Poco prima dello scoppio del conflitto vi era stata una sovrapproduzione di prodotti cotonieri. Molte manifatture in Inghilterra si trovarono così ad avere in magazzino una quantità eccessiva di merce invenduta da sfiorare in alcuni casi la bancarotta. Di conseguenza, per un breve lasso di tempo questa mancanza di cotone fu piuttosto un bene e questo fino all’inizio del 1863.

Da quell’anno la scarsità di cotone iniziò a farsi sentire, ma non si trattava di un malessere solo apparente e oltre due milioni di lavoratori si trovarono presto senza impiego. Stavano comunque emergendo altre opzioni, tanto che il governo di Londra non poteva più basare le sue decisioni sulla sola disponibilità del cotone. Tra queste, soprattutto il fatto che nel corso del 1863 gli Inglesi cominciarono a cercare altri luoghi di produzione, iniziando a sostituire le importazioni dal Sud con quelle dall’Egitto e dall’India. La cosa ebbe successo, tanto che nell’ultimo anno di guerra le industrie britanniche furono in grado di importare le stesse quantità di cotone grezzo che in passato acquistavano dagli Stati del Sud.

Come sovente accade in caso di conflitto, questa guerra finì con lo stimolare altri settori dell’economia inglese. A realizzare lauti guadagni non furono solo le manifatture di lana, che incrementarono notevolmente le loro esportazioni confezionando le uniformi dell’esercito unionista ma, anche per le continue richieste del Nord, i produttori di scarpe, stivali, acciaio e navi.

Nel 1864 sul London Times si poteva leggere che l’Inghilterra era altrettanto prospera di quanto lo fosse prima della guerra e che alla fine il cotone non si era dimostrato quel “re” di cui tanto si era parlato. In conclusione, in un mondo in rapida industrializzazione i Confederati commisero il grave errore di affidarsi ad un’unica materia prima: il cotone. (Segue)

Edoardo Almagià

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