“Nulla sarà come prima”. Questa frase, divenuta popolarissima nei primi mesi della pandemia, è valida anche oggi, mentre si consuma nel cuore dell’Europa l’aggressione russa al popolo ucraino?

Nei giorni difficili del Covid, dinanzi all’irrompere di un virus che ci stava cambiando letteralmente la vita, al punto da costringerci a un durissimo lockdown, ci siamo interrogati sul futuro. Proprio in quelle ore d’angoscia, dal profondo delle nostre coscienze venne un sussulto che ci spinse a guardare al domani, complice anche la fiducia nella scienza e nella medicina, come un tempo in cui ci saremmo ritrovati migliori. Capaci, cioè, di costruire un mondo più giusto e solidale proprio perché provati da un incubo personale e collettivo come la presenza di un virus che faceva strage fra i nostri nonni prima, per poi rivolgere i propri artigli verso le generazioni più giovani.

Nonostante le incertezze e i dubbi sull’efficacia delle misure assunte dai governanti e sui consigli del mondo sanitario, abbiamo saputo guardare al futuro con fiducia, immaginando che quel “nulla sarà come prima” potesse trovare presto un terreno concreto e comune sul quale ritrovarci. A partire proprio da quello slancio di solidarietà che pervadeva tutti, dal sacrificio a prezzo della vita di medici e infermieri al moltiplicarsi di gesti di concreta prossimità. Tutto sembrava spingere in direzione di un cambiamento positivo nella vita relazionale, sociale e comunitaria. Financo nella sfera politica, in considerazione della responsabilità condivisa da quasi tutti i partiti nel tirarci fuori dall’incubo collettivo.

Ecco perché oggi dobbiamo ritrovare la forza di gridare che, dopo questa guerra che si trascina fra distruzioni e morti, “nulla sarà come prima” anche nei rapporti fra popoli e nazioni. Anche se tutto sembra tramare in direzione opposta. Sin dall’amara consapevolezza che questa dannatissima guerra è proprio il frutto perverso della globalizzazione. Quasi che quanto stiamo vivendo sia il conto presentato da chi nella globalizzazione ha visto solo la possibilità di arricchirsi attraverso la vendita al mondo intero delle proprie risorse naturali, per poi riarmarsi e riconquistare, attraverso lo strumento orribile della guerra, il peso politico perduto. E non piuttosto l’occasione per abbattere confini e muri. E costruire un mondo nuovo nel quale l’interdipendenza sia fattore di sviluppo e non un espediente per definire nuove aree di influenza o di asservimento.

Ecco perché dobbiamo sperare che anche questa volta “nulla sarà come prima”. Perché meritiamo un mondo interdipendente nel quale la globalizzazione diventi condivisione, nel quale la violenza (sì, anche la guerra) sia bandita non solo dalle carte internazionali ma anche dalla pratiche di governo, nel quale le grandi questioni della sopravvivenza del genere umano siano preoccupazioni di tutti e trovino il sostegno adeguato e proporzionato alle possibilità materiali di ciascun popolo. E soprattutto si convenga sulla cessione effettiva di potere a realtà sovranazionali come le Nazioni Unite che oggi appaiono fortemente depotenziate dalla guerra tra Russia e Ucraina.

Ma per fare questo occorre innanzitutto non adeguarsi alla narrazione, già imperante, che vuole tutti noi europei ripiegati su noi stessi, pronti a fronteggiare nuove minacce di aggressione provenienti da Est, decisi a difenderci con nuove armi sempre più potenti, pericolose e distruttive. Forse persino costretti a pensare prima, ed erigere poi, nuovi muri. Così da immaginare un futuro prigioniero di guerre, distruzioni e conflitti economici. Ma soprattutto popolato da nemici. Cominciamo a dirci che noi non ci stiamo a questo racconto. E non perché siamo delle ”anime belle”, ma semplicemente perché noi abbiamo una fiducia indistruttibile nell’umanità. E con Paolo di Tarso ripetiamo il nostro “spes contra spem”. E con Giorgio La Pira pensiamo sia il tempo di “osare l’inosabile”, cioè la pace.

Noi amiamo la pace sopra ogni cosa perché da essa dipende il futuro della famiglia umana. Sappiamo imparare dai nostri errori che talvolta sfigurano il volto dell’umanità e crediamo nel dialogo con tutti, anche con chi oggi sembra sordo. Apprezziamo la lezione della storia e siamo profondamente realisti, al punto da credere che l’umanità sappia fermarsi dinanzi all’abisso e sappia trovare sempre una buona ragione per garantirsi un domani. E che perciò un nuovo ordine mondiale non è assolutamente detto che debba essere costruito su aree di influenza in guerra fra loro, su nuovi conflitti e popoli nemici. Questo sì che equivarrebbe a una drammatica resa al “tutto sarà come prima”…

Domenico Delle Foglie

 

Pubblicato su www.agensir.it

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