Storicamente non conosciamo altra forma di democrazia che non sia quella parlamentare e rappresentativa. La cosiddetta “democrazia diretta”, nelle sue varie forme, da quella referendaria alle cosiddette “piattaforme digitali”, altro non è se non una finzione, tutt’al più un surrogato, con il quale – nella migliore delle ipotesi ed ammettendo la buona fede di chi la suggerisce – si cerca di aggirare un problema reale, ma di fatto negandolo: come garantire una effettiva partecipazione del cittadino, di ogni cittadino, secondo la sua inalienabile responsabilità, alla vita democratica del Paese.
Questo nulla ha a che vedere con una serie segmentata di pronunciamenti, più o meno disaggregati che trascurando le relazioni, nessi causali, le analogie strutturali che legano un fenomeno sociale all’altro, a favore di una atomizzazione dell’ universo tematico che la politica deve affrontare. Modalità che, per quanto trasmettano al singolo cittadino l’impressione di un coinvolgimento attivo, personale e diretto, di fatto, lo esiliano nel limbo delle buone intenzioni e dell’emozione collettiva oppure dell’ enfasi mediatica, con cui un certo tema, nella sua immediata singolarità, viene posto e spesso travisato. Cioè, al di fuori di un contesto discorsivo continuo che accompagni lo sviluppo di un’argomentazione coerente, espressiva di un pensiero critico. Sapendo che solo a questo livello si giunge a quell’autonomia di giudizio che rappresenta il momento vero della “partecipazione”, di quel “prendere parte” consapevole e motivato, che danno conto della reale maturità civile di ognuno; ben più che non il saltare da qui a là in una ricerca sconclusionata di prese di posizione settoriali e ridotte all’inarticolata polarizzazione del “sì” o del “no”.
Resta il fatto che la complessità crescente in cui viviamo rappresenta una sfida severa per le regole canoniche della democrazia come l’abbiamo vissuta fin qui. Per cui, dopo quella degli “antichi” e dopo quella dei “moderni”, dobbiamo preoccuparci di costruire la democrazia del tempo “post-moderno”. Essa intuitivamente deve cercare l’approdo nella direzione esattamente antitetica a quella di cui sopra che, alla fine della fiera, qualunque sia la forma in cui si propone, esita in quel rapporto diretto e non-mediato tra l’ “uomo forte” o supposto tale, e il singolo cittadino che resta in sua balia.
Occorre, dunque, arricchire, infittire e rafforzare i luoghi della mediazione, quei “corpi intermedi” della società civile di carattere culturale o sociale, rappresentanza delle categorie o del mondo del volontariato che “educano”, conducono, accompagnano, impegnano la responsabilità di ognuno in una cornice valoriale che dà un senso compiuto alla vita ed in funzione dell’ interesse generale della collettività. Considerando, altresì, due versanti.
La politica non va più ritenuta compito o prerogativa esclusiva del “palazzo”, inteso come contesto istituzionale o partitico, ma piuttosto come “funzione diffusa” che legittimamente compete a chi sa farsene carico, anche in quegli ambiti di società civile che assumono e rispettano l’ impegno a “pensare politicamente”. In secondo luogo, va considerato come la “composizione del conflitto”, cioè l’attitudine a riportare ad una sintesi, mai compiuta ed esaustiva, ma, perlomeno, in buona misura governabile, le contraddizioni che attraversano le nostre società a sviluppo maturo, non avviene più aggregando, più o meno virtuosamente, le grandi tessere del
mosaico sociale, se prima non si insedia nella coscienza del singolo cittadino e, conseguentemente, nella ragionata consapevolezza dei suoi comportamenti.
Anche per questo motivo una cultura politica che, come quella cattolico -democratica, assume come proprio baricentro, la persona ed il suo valore ineguagliabile, ha molte frecce al suo arco.
Torna, dunque, anche qui, il tema della nostra “autonomia”, anzitutto, come dato culturale, come capacità di elaborazione di un progetto originale, che dia conto della specificità della nostra visione e nel segno del dialogo e non della separatezza, preluda, giustifichi e sostenga quell’autonomia di schieramento che, senza questo presupposto ideale, da sola non reggerebbe a lungo.
Domenico Galbiati
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