Il fatto che perfino l’epidemia in corso venga strumentalizzata, in particolare da Salvini, a fini di bottega, è un’ulteriore prova della desolante frustrazione raggiunta dal nostro sistema politico-istituzionale. Altri – vedi Matteo Renzi – fremono ed a stento trattengono la voglia di tornare, quanto prima, a menar le mani. Il governo, tutto sommato, fa quel che può.
Una volta tanto, se non altro per amor di patria, dovremmo astenerci dal classico: “Piove, governo ladro”. Potrebbe fare di più? Potrebbe far di meglio? E quando mai questo non è, per definizione, vero sempre e per tutti? A Conte – sia simpatico o meno – va almeno riconosciuta l’attenuante di essersi trovato di fronte ad una prova imprevista ed inedita che, oggettivamente, avrebbe messo alla frusta anche un governo più solido e meglio strutturato.
Del resto, che i provvedimenti assunti – a cominciare dal blocco dei voli dalla Cina – siano stati appropriati o meno, lo sapremo, a ragione veduta, a cose fatte. Né disponiamo o disporremo di una controprova. Ciò non toglie che questa condizione di emergenza abbia messo in mostra i punti deboli del nostro apparato istituzionale e segnali la necessità di riordinare, non solo nell’ambito delle politiche sanitarie, i rapporti tra Stato centrale e Regioni che non possono né concepire sé stesse come gli “staterelli” di un’Italia pre-risorgimentale, né giocare al primo della classe, scaricando sul piano delle responsabilità istituzionali, la competizione politica tra maggioranze di diverso colore politico.
Purtroppo l’ escalation mediatica rischia di travolgere anche pezzi, più o meno significativi, di classe dirigente con mascherine che vanno e vengono, quasi fossero la classica bandiera bianca che annuncia la resa. E’ il demone della visibilità.
Ad ogni modo, un quadro di rapporti politici sia pure fortemente competitivi, ma dove fosse almeno chiaro che l’opposizione non sta nella stessa pancia del governo e della sua maggioranza; dove non avessero un ruolo preponderante i risentimenti personali, le ripicche e le rivincite ed i ricatti; dove non venisse addirittura meno la reciproca legittimazione tra l’una e l’altra forza in campo, sicuramente aiuterebbe, soprattutto in quei frangenti, come l’attuale momento, in cui il Paese è fortemente esposto sul piano internazionale.
Non siamo più l’Italietta di una volta, né il Paese uscito materialmente e moralmente distrutto dall’esperienza fascista. Nel dopoguerra – diciamolo francamente: grazie alla Prima Repubblica – ci siamo guadagnati un ruolo ed un rispetto a livello internazionale che le repubbliche a seguire – e di cui rischiamo, peraltro sulla carta, di perdere il conto – non hanno il diritto di dissipare, a scapito del nostro prestigio nazionale.
Del resto, è difficile chiedere atteggiamenti responsabili e solidali ai cittadini in un contesto politico che vede forze importanti, com’è oggettivamente la Lega, rincorrere il proprio immediato interesse di parte, infilando ogni argomento – quasi fosse carne da macello, anche quando è in gioco la salute e la vita stessa di molti italiani – nel tritacarne di una inestingiibile campagna elettorale. Ed altre formazioni, pur assai meno rilevanti, come Italia Viva, perennemente alla ricerca di quel margine di visibilità che ne garantisca la sopravvivenza, a prescindere.
Senonché, tutto ciò non è solo frutto della cattiva volontà degli uomini, ma, altresì, il portato di una involuzione del nostro sistema politico che viene da lontano. Come abbiamo indicato nel Manifesto ( CLICCA QUI ), e come confermano le adesioni e gli apprezzamenti che esso riceve, bisogna cambiare rotta, attraverso un processo né breve, né scontato di trasformazione che va intrapreso subito e perseguito con tenacia, restituendo al Parlamento la centralità ed il ruolo di piena rappresentanza democratica che gli competono, chiamando ogni forza politica, prima che ad una cruda contesa di potere fine a sé stessa, ad un compito di verità nei confronti del Paese che mostri , di ciascuna, l’identità e l’effettiva vocazione democratica o meno.
Non ci sono scorciatoie, tanto meno giocate all’ interno di un sistema largamente compromesso, al fine di rabberciarlo, magari illudendosi di ricavarne qualche frutto.
Per quanto nell’intenzione personale di chi la promuove possa essere generosa, quella sorta di rincorsa al “centro” che qualcuno invoca come soluzione fatale delle difficoltà in cui versiamo, non va da nessuna parte.
Non c’è un “omnibus” che seguendo un tortuoso percorso e caricando ad ogni piè sospinto, una fermata dopo l’altro, personaggi ed interpreti, singoli o associati, recapitati li’ da ogni dove, giunga finalmente al capolinea del sospirato “centro”, salvo accorgersi che, in un sistema sfatto, il centro, classicamente inteso, non c’èpiù.
Tutt’al più qualche capo della carovana verrà compensato di tanta fatica con la graziosa concessione di uno strapuntino, ma poi, tolta la modesta soddisfazione personale, la cosa finisce lì. Forse vale la pena di coltivare obiettivi francamente meno personali e più ambiziosi.
Domenico Galbiati

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