Quando John Kennedy veniva assassinato a Dallas, Joe Biden aveva circa vent’anni e mai avrebbe immaginato che, dopo il Presidente della “nuova frontiera”, sarebbe toccato a lui, quasi sessant’anni dopo, diventare il secondo Presidente degli Stati Uniti d’America di religione cattolica.

Erano, allora, gli anni dei “due Giovanni”. Anni di ferro e di fuoco, di fervore, di timori e di speranze. Il mondo, in quello stesso cruciale ottobre ’62 in cui si era aperto, da pochi giorni, il Concilio Vaticano II, era stato sull’orlo della guerra nucleare e, quasi di rimbalzo, riviveva una speranza di pace. Le ragioni della guerra, si intrecciavano alle ragione ed alle attese della pace e della distensione, incarnate dal Presidente più giovane,  in un momento drammatico che vide l’America uccidere il suo Presidente.

Lo scorso 6 gennaio è stato, invece, lo stesso Presidente ad attentare all’antica e consolidata democrazia del suo Paese. Oggi l’America, guidata dal Presidente più attempato di sempre, prova a tornare sul suo cammino ed avvia una stagione nuova, che Biden ha voluto connotare nel segno dell’unità della nazione, addirittura consacrando a tale sentimento il 20 gennaio come ricorrenza da celebrare annualmente.

Biden è un uomo che è stato duramente provato dalla vita che lo ha ferito più volte nei suoi affetti familiari più intimi ed entra alla Casa Bianca con la semplicità serena – almeno questo sembra trasmettere la sua figura – di chi ha saputo lasciarsi educare dalla sofferenza e dal dolore. Non è cosa da poco, per quanto non contemplata dai trattati di politologia, questa attitudine, dopo una fase animata dagli umori caratteriali  contrastanti del suo fanciullesco predecessore, che sono apparsi spesso difficilmente  componibili in un quadro lucido e razionale.

Viviamo, d’altra parte, un momento storico in cui la complessità di eventi spesso sfuggenti ed imponderabili è tale da non essere sempre riconducibile alla fredda razionalità di un giudizio critico e pienamente oggettivo, cosicché, al di là delle regole di ogni apparato di buon governo, la fisionomia attitudinale ed il temperamento del leader appaiono decisamente più incidenti che non in altri momenti.

Accanto al tema dell’unità di una grande nazione, costruita sulla tolleranza e sull’integrazione di tante etnie, eppure ancora percorsa dallo spirito maligno del razzismo e del suprematismo bianco, nel discorso inaugurale del Presidente Biden a Capitol Hill è tornato, e più volte, il tema  della fede.

Della sua appartenenza religiosa, Biden ha voluto dare francamente testimonianza, anche citando Sant’ Agostino. Ha mostrato di considerare come il suo compito non sia solo riduttivamente politico ed amministrativo delle leve del potere, bensì di sentirsi responsabilmente chiamato  a risanare e ricomporre il costume civile degli americani. Alcuni dei diciassette decreti che il neo-Presidente ha voluto simbolicamente firmare immediatamente, vanno in questa direzione. 

Vi sono, del resto, in modo particolare oggi, nel corso di una vicenda pandemica che sollecita ognuno a riflettere su quel sottile crinale che corre tra la vita e la morte, molte ragioni che ci indurrebbero a sperare che finalmente una nazione di grande tradizione democratica e civile affronti, a viso aperto, alcuni tabù, che, per quanto radicati nella sua cultura profonda, vanno francamente messi in discussione e rimossi, dalla pena di morte, al libero commercio delle armi, alle orribili pratiche dell’aborto tardivo oppure a  uscita parziale.

Infine, cosa possiamo attenderci noi europei dal ritorno di una amministrazione democratica alla Casa Bianca? Anzitutto, la capacità di trasformare l’Atlantico in un oceano che unisce, anziché separare e dividere le sponde di due mondi appassionati ai valori della democrazia, della libertà, della giustizia sociale. Negli anni di Trump, l’Europa si è posta come l’ultimo bastione, a livello planetario, della democrazia, attorniata dai regimi autoritari sovietico, cinese e dei Paesi arabi, esposta, a sua volta, alle minacce del terrorismo islamico, senza più il conforto di una condivisione piena ed efficace di tali valori con il proprio tradizionale alleato occidentale.

L’ Europa non ce la farebbe a reggere da sola il peso esorbitante di un tale impegno che va riproposto come asse valoriate di una rinnovata coesione transatlantica.

Domenico Galbiati

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