Pubblichiamo, a firma Domenico Galbiati,  coordinatore dell’apposito gruppo di Politica Insieme, le conclusioni cui sono giunti gli amici impegnatisi sulla questione della Bioetica e della Biopolitica in vista della stesura del documento politico programmatico che sarà presentato nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente del “nuovo” soggetto politico d’ispirazione cristiana richiamato dal nostro Manifesto ( CLICCA QUI )
*Personalità giuridica dell’embrione
*Investimenti sulla rete delle cure palliative
*Potenziamento prevenzione della IVG
*Confronto con le altre culture
La pandemia COVID 19 pone in un orizzonte che va decisamente ripensato anche il nostro impegno programmatico.
In particolare – guardando, dal punto di vista del nostro gruppo di lavoro, allo scenario imprevisto ed inedito in cui adesso ci muoviamo – appare evidente come oggi, nel quadro delle questioni che la politica e’ chiamata ad affrontare, la “biopolitica” assuma necessariamente un rilievo del tutto speciale.
Intesa non solo come l’insieme delle tematiche più direttamente attinenti la vita biologica e sociale dell’uomo, bensì in quanto riferimento ultimo e fondamento della “polis” nuova che siamo invitati a riedificare.
La politica – articolata nelle molteplici aggettivazioni che ne declinano l’intero spettro delle competenze – dopo questa drastica svolta epocale, deve, a nostro avviso, trovare il suo “attrattore”, cioè il polo attorno cui aggregare il processo di “trasformazione” cui tendiamo con lo stesso nostro Manifesto ( CLICCA QUI ), nella difesa e nella promozione della dignità, del rispetto, dell’onore dovuto alla vita dell’uomo.
La quale è un tutt’uno che si tiene da un capo all’altro della sua estensione, tessuta in un’ unica tela, senza giunture, come la tunica di Cristo.
Dal concepimento alla sua naturale conclusione.
Il nostro punto di riferimento irrinunciabile sta nel valore inalienabile della persona, della quale significativamente la stessa scienza, concordemente alla nostra valutazione filosofica e morale, attesta l’originaria unicità irripetibile ed incondizionata.
Il virus della pandemia pone i Paesi che ne sono colpiti, anzi pone direttamente ciascuno di noi di fronte alla morte, colta non come approdo su cui, se mai, riflettere, ma comunque proiettato in un tempo indistinto, bensì come evenienza immediatamente possibile per ciascuno, terribilmente attuale, allocata dentro l’orizzonte del personale, presente “vissuto” di ognuno.
Dopo una tale esperienza, dovremmo dare tutti coralmente – da qualunque cultura si provenga – una risposta di “vita” a questa dolorosa deriva della nostra storia, scongiurando e sfidando una china involutiva, ispirata ad un sentimento di resa alla morte.
Transitando da una fase storica connotata dalla rivendicazione di diritti individuali ad una nuova stagione di diritti sociali.
Una forte attestazione di questo nuovo indirizzo, ispirato al valore della vita, orientato alla sua promozione, può essere rappresentato dal riconoscimento della personalità giuridica dell’embrione, attraverso la modifica dell’art.1 del Codice Civile.
Un impegno cui non è improprio, da parte nostra, chiamare a raccolta posizioni culturali e politiche di differente matrice culturale, sollecitando una considerazione non ideologica di tale argomento.
Peraltro, sui temi più rilevanti della riflessione bioetica, soprattutto in funzione dei confronti parlamentari in merito, proponiamo di verificare la possibilità di aprire per tempo un confronto sistematico con chi la pensa diversamente da noi.
Qualunque sia il preferenziale orientamento valoriale di ognuno, soffriamo tutti una condizione tale per cui uno sviluppo della riflessione etica che evidentemente, per sua natura, non può reggere il passo incalzante dello sviluppo scientifico e tecnologico, determina un divario preoccupante e difficile da colmare tra l’uno e l’altro di questi due versanti.
Ne consegue una involuzione tale per cui, anche a livello della mentalità corrente, tutto cio’ che e’ tecnicamente possibile, appare, per ciò stesso, anche eticamente lecito.
Senonché tutto ciò configura una grave e pericolosa alienazione, tale per cui la legittimità dei nostri comportamenti rischia di non essere più stabilita dall’interiorità della nostra coscienza, bensì dalla mera fattualità della tecnica.
A fronte delle “questioni eticamente sensibili” – altrimenti dette “non negoziabili” – il nostro orientamento, sul piano dell’azione e del confronto politico, non può, dunque, che essere guidato dal pieno rispetto – dal concepimento alla sua fine naturale – della vita, della persona e della sua dignità incontrovertibile, ontologicamente fondata.
Riteniamo anche di offrire, in tal modo, alla collettività nazionale ed alle stesse forze politiche e culturali che pur non condividono la nostra concezione della sacralità della vita, un contributo sostanziale per la promozione dei valori di libertà, di giustizia sociale, di democrazia e di progresso.
Non c’è, infatti, nessuna contraddizione, anzi una necessaria consequenzialità tra principi etici e valori sociali, per quanto guardando al nostro sistema politico e parlamentare, sembrerebbero appartenere a campi contrapposti.
Questa condizione, a maggior ragione, conforta il nostro intendimento diretto a dar vita ad un nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana autonomo e competente che sappia, ad esempio, comporre questa dicotomia, grazie al fondamento personalista della sua cultura politica.
Peraltro, nell’attuale fase storica, le questioni “eticamente sensibili” – per quanto il nostro sistema politico istituzionale le affronti con molta fatica – sono assolutamente centrali e perfino dirimenti per la cifra di fondo che i sistemi sociali sono destinati ad acquisire negli sviluppi futuri della nostra civiltà.
Tematiche decisive, dunque, ben più di quanto comunemente non siamo disposti ad ammettere.
Infatti, il ricorrere o meno a determinate potenzialità di intervento di cui oggi disponiamo – soprattutto in ordine ai percorsi del nascere e del morire, piuttosto che nel campo dell’ ingegneria genetica e delle manipolazioni possibili, sul fronte del cosiddetto “transumano” o del potenziamento cognitivo e, in prospettiva, anche in riferimento agli sviluppi dell’ Intelligenza Artificiale – determina un forte impatto sulla stessa concezione di noi stessi, della vita e della storia che, all’alba del terzo millennio, andiamo rielaborando.
E’ in gioco la nostra “autocomprensione”; quella consapevolezza di noi stessi che inevitabilmente guida i nostri comportamenti.
Infatti, gli sviluppi della ricerca in campo bio-medico, permettendoci di penetrare i meccanismi più riposti della nostra stessa struttura psico-fisica, ci pongono nella condizione di essere, nello stesso tempo, “soggetto” ed “oggetto” della nostra azione, il che determina un possibile corto-circuito mentale su cui vigilare.
Una domanda non aggirabile concerne il fatto che la ricerca scientifica debba o meno rispettare limiti invalicabili – ad esempio, vietando ogni uso sperimentale dell’embrione umano – quando rischia di mettere in gioco il valore trascendente della persona.
Succede ancora che i credenti siano accusati di oscurantismo e che venga sostenuta una presunta incompatibilità tra scienza e fede.
Eppure se c’è, come noi riteniamo, una verità dell’uomo, non possiamo forse sperare che il fatto di rispettarla, anche per la scienza, anziché un limite che la penalizzi, possa rivelarsi, al contrario, l’indicazione importante di indirizzi e di percorsi più promettenti ?
Siamo di fronte alla cosiddetta “questione antropologica” o meglio “ontologica”, nel senso che gli sviluppi della conoscenza scientifica ci ripropongono, per molti versi, le domande irriducibili in ordine alla nostra origine, alla nostra identità, alla consistenza di ciò che è autenticamente umano, alla nostra destinazione ultima.
Domande su cui l’umanità non può, fin dalla sua comparsa, fare a meno di interrogarsi.
Domande radicali ed originarie, non revocabili, che non attengono più solo alla riflessione colta della filosofia, bensì sono letteralmente “ vissute”, cioè sorgono dalle concrete e possibili esperienze di molti, tali che via via si condensano in un orientamento etico- antropologico diffuso.
Non a caso, per quanto non si debba necessariamente ricercare una contrapposizione tra “bioetica cattolica” e “bioetica laica”, pur si coglie una sostanziale e franca dissonanza laddove la vita sia concepita come “dono” – secondo una declinazione che può essere condivisa da molti non credenti – o piuttosto come “possesso” esclusivo ed autoreferenziale.
E’, del resto, anzitutto, sulla falsariga di una riflessione sulla prospettiva di una civiltà del “dono” che si possono creare le premesso di un confronto aperto con chi, pur rifacendosi ad altre culture – per lo più indifferenti alla dimensione trascendente della vita – può essere invitato a considerare l’alto valore umano e civile intrinseco a quell’ umanesimo personalista che per chi crede e’ vitalmente connesso alle ragioni della fede.
Ciò corrisponde, del resto, al compito che una forza che si richiama alla visione cristiana dell’uomo e della vita, deve assumere come prioritario, ponendo in essere percorsi che – anziché trattenere per sé gelosamente, in un’ottica di identità chiusa ed autoreferenziale, i valori che ci sono donati in uno con la fede – offrano un terreno di possibile convergenza anche a chi il dono della fede non l’ha ricevuto.
Dobbiamo, inoltre, chiederci come il nostro sistema politico-istituzionale, concepito in funzione di tematiche di ordine collettivo, possa meglio affrontare questioni talmente delicate che toccano la vita strettamente personale ed intima delle persone.
Si tratta di argomenti che vanno affidati piuttosto che ai governi ed alle maggioranze politiche che, di volta in volta, li sostengono, alla libera dialettica del Parlamento.
Anche in considerazione degli orientamenti differenti, talvolta francamente divergenti, delle opinioni in campo, ricomprendere gli indirizzi secondo cui affrontare le “questioni eticamente sensibili” in un accordo programmatico e di governo sarebbe un’impresa ardua e che, in determinate condizioni, costringerebbe a mettere in campo compromessi del tutto impropri.
Peraltro, come abbiamo già sperimentato in casi recenti, se nel governo pur permanessero opinioni discordanti, quando la discussione parlamentare arriva al dunque, finiscono per prevalere le ragioni di schieramento, cosicché si giunge a voti di fiducia che, in un modo o nell’altro, sacrificano posizioni di principio di per sé irrinunciabili.
Al contrario, affidate al confronto parlamentare le “questioni eticamente sensibili” possono essere affrontate, consentendo a ciascuna forza di concorrervi nelle pienezza della propria connotazione culturale, favorendo, altresì, secondo percorsi da definire, il coinvolgimento diretto dei vari “corpi intermedi” che esprimono l’orientamento degli ambiti sociali, culturali, professionali attivi nella società civile.
In altri termini, la stessa rappresentanza parlamentare deve affrontare temi talmente particolari e dirimenti per la vita personale di ciascuno con un atteggiamento inedito ed inusuale di attenzione e di ascolto nei confronti della comunità nazionale complessivamente intesa.
Nel merito dei temi specifici, in questa fase ci limitiamo volutamente ad indicare solo due questioni prioritarie:
Una puntuale considerazione del tema del “fine vita”, guardando ad un grande impegno di iniziativa politica e di investimenti diretti a potenziare la rete delle cure palliative, contrastando ogni deriva eutanasia che non è affatto contemplata, come taluni vorrebbero far credere, dai recenti pronunciamento della Corte Costituzionale.
Una valutazione delle possibili azioni diretti a potenziare gli interventi di prevenzione dell’ interruzione volontaria della gravidanza, previsti dalla stessa prima parte della legge 194.
Domenico Galbiati

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