E’ impressionante constatare come i tre paesi che ultimamente sono in qualche modo finiti alle cronache politiche per i comportamenti dei loro leader dalla forte connotazione di destra nazionalistica si ritrovino in cima alla dolorosa e drammatica classifica dei paesi più contagiati dal Coronavirus.
Ovviamente, parliamo degli Usa di Donal Trump, del Regno Unito di Boris Johnson e del Brasile di Jair Bolzonaro. Tre personaggi del tutto diversi tra di loro, come notevolmente differenti sono le tre nazioni che si trovano a guidare. Però, vi è un dato di fatto incontrovertibile, probabilmente legato alla comune sottovalutazione iniziale del pericolo e al tempo perduto per applicare tutte quelle norme di precauzione che, come nel caso dell’Italia, si sono rivelate invece le uniche utili in mancanza di un vaccino.
Vi è poi un quarto uomo di destra, un “sovranista” davvero verace, come l’ungherese Viktor Orban che ha astutamente seguito un’altra linea, ma ne parleremo dopo.
Trump agli inizi quasi ci scherzava sopra, prima di decidersi a dare un ruolo importante a Anthony Fauci, sicuramente il virologo più famoso e preparato del mondo. Tra i due non sono mancati gli scontri, anche pubblici, e più volte il Presidente degli Usa è sembrato essere pronto a dare il benservito a questo vero esperto che ha servito ininterrottamente ben sei presidenti di fila.
Boris Johnson ha dato retta ai suoi scienziati. Quelli che credevano nell’immunizzazione di gregge. Così, ha perso settimane preziose fino a quando non ha contratto persino lui il virus ed è stato costretto a curarsi piuttosto che a stazionare a Downing Street. Una volta guarito, lo abbiamo visto riscoprire l’importanza del Servizio sanitario nazionale, che qualche conservatore suo amico pensava da tempo di provare a mettere in archivio.
Jair Bolsonaro è stato persino guascone nel negare l’esistenza del contagio e sembrava volersi infilare ostentatamente in gruppi e calche di suoi sostenitori per dimostrare l’indimostrabile, cioè che il Coronavirus non è quello che è. Morale della favola: il Brasile, dove continuano le manifestazioni contro la sua insipienza, ha superato l’Italia in numero di morti e dilatato enormemente il bacino dei contagiati. La situazione del grande paese latino americano è talmente grave, i numeri negativi galoppano talmente tanto che Bolsonaro è giunto a prendere una decisione clamorosa: d’ora in avanti non saranno diffusi i dati ufficiali sui contagiati e i deceduti a causa del Covid-19. Uno struzzo non sarebbe riuscito a fare meglio, mentre aumenta l’ostilità popolare.
E’ evidente che questi tre uomini politici sono accomunati da una stessa visione della vita, delle dinamiche sociali, del rispetto e della qualità dell’ambiente e del tipo di sviluppo da scegliere per il proprio paese. Nessuno di loro è alfiere di una politica popolare; demagogica sì, ma popolare no. Forse, il solo Boris Johnson, per le caratteristiche che connotano il sentire collettivo della maggioranza della popolazione britannica, indulge meno verso esplicite posizioni di destra estrema. A lui, in fondo, è bastato agitare la questione della Brexit per vincere le elezioni, senza che nessuno potesse accusarlo di sciovinismo ed esterofobia. Si sa che il vecchio ritornello del britannico isolano attenua e diluisce molto quelle posizioni che, nel resto d’Europa e del mondo, fanno diventare troppo spesso, invece, il nazionalismo molto contiguo al fascismo.
Tutti e tre sono del tutto indifferenti alle sorti di quegli “ultimi” di cui siamo costretti a parlare sempre più spesso. Anche perché questa categoria si sta ampliando, al punto di lambire sempre più quelle fasce sociali che costituiscono la parte più debole del ceto medio. A Trump, Johnson e Bolsonaro, in realtà, interessano i ceti ricchi o quelli che aspirano ad essere tali e, semmai, l’altra parte del ceto medio: quella dei colletti bianchi che continuano a guardare verso l’alto della scala sociale e, come ci raccontano tanti film statunitensi e britannici, non hanno il tempo per avvertire alcuna solidarietà sociale nei confronti delle fasce più neglette e in difficoltà. Un’applicazione in campo sociale di una particolare visione protestante fa il resto, crea alibi, tranquillizza la coscienza. Del resto, la Dottrina sociale è prerogativa esclusiva della Chiesa cattolica.
Non si tratta di esprimere alcun giudizio morale su questi tre alfieri del nazionalismo conservatore o su quella sorta di “ internazionale di destra” che, ancorché non organizzata come furono invece quella opposta messa in piedi da Stalin, o quella dei regimi militari del Sud America degli anni ‘70 e ’80, è comunque realizzata nei fatti. Evidenti il muoversi di conserva contro lo spirito del multilateralismo e, nel caso dell’accoppiata Trump Johnson, la comune intenzione di menare fendenti nei confronti del percorso d’integrazione europea.
Alcune altre cose li hanno accomunati nella stagione del Coronavirus. In particolare, il timore che la difesa dal contagio finisse per andare a scapito dell’economia e della finanza. Il loro “negazionismo”, dunque, non aveva niente di scientifico, bensì è stato solo frutto del loro concepire una visione quasi esclusivamente economicistica che tiene in poca considerazione il rispetto della Vita, soprattutto se questa finisce ad essere valutata in alternativa agli interessi del mondo finanziario ed economico.
Un altro elemento in comune dei tre è una sostanziale indifferenza nei confronti dei problemi ambientali e della necessità che si proceda ad una modifica dei sistemi produzione, al cambio di alcuni stili di vita basati solamente su di un consumismo sfrenato senza porsi il problema della qualità dei consumi e delle conseguenze che questi hanno sull’equilibrio naturale e sulle condizione in cui la Terra verrà consegnata alle nuove generazioni.
La loro è stata un’inutile resistenza culturale, politica e decisionale. Rivelatrice persino dell’assenza di una virile consapevolezza di dover esaminare i fenomeni per quelli che sono e, quindi, di accettare l’idea di quanto e di come sia necessario intervenire non solo per quello che ci piacerebbe fossero le cose.
In fondo, la differenza tra un vero statista e un abile sfruttatore degli umori popolari e un altrettanto abile manipolatore del voto degli elettori sta tutta qua. La conferma che in tutto il mondo mancano leader moderati o di destra capaci di mantenere ferma la loro visione ideologica, ma accettando la responsabilità di farsi carico di un’intera società. Eppure, nel passato alcuni personaggi del loro mondo ci sono stati. Da essi, la destra potrebbe trarre una sostanziale ispirazione. Su tutti vale la pena di citarne almeno quattro: Churchill, il generale De Gaulle, Ronald Reagan e la signora Thatcher. Probabilmente, queste figure del conservatorismo, davvero passate alla storia, non avrebbero arretrato di un centimetro da una visione di destra, ma avrebbero fatto di tutto per non far morire persone in condizione di essere salvate o far ammalare inutilmente centinaia di migliaia di donne, uomini, anziani e bambini.
Orban fa parte dello stesso filone di pensiero. Ha però pensato che, per tanti motivi, compresa la necessità di mettersi in scia con gli altri paesi dell’Unione europea meglio sarebbe stato approfittare dell’occasione per mettere il proprio particolare sigillo personale. Ecco così che non solo non nega, ma approfitta del virus per sospendere di fatto la vita democratica e istituzionale nel proprio paese e continuare a giustificare a maggior ragione quella sua idea, molto simile a quella di Trump, d’innalzare muri un po’ dappertutto.
A questo punto sarebbe facile lasciarsi andare a parlare persino di una questione antropologica che sembrerebbe rendere gli esponenti del nazionalismo sovranista tanto simili l’uno all’altro. Questa teoria, ammesso che qualcuno abbia elementi scientifici per formularla nella nostra cara Europa è, però, smentita da comportamenti analoghi tenuti dai governi non certamente di destra, come è stato il caso della Svezia e dell’Olanda o del Belgio dove proprio il Coronavirus ha sollecitato ad una convergenza d’emergenza tra sinistra e destra più moderata. Altri casi in cui le stravaganti idee sull’immunizzazione di gregge hanno trionfato e provocato una scia di contagiati e di morti.
Giancarlo Infante