Ho letto con interesse il manifesto di Politica Insieme e mi ha colpito soprattutto la citazione di Montesquieu: “La corruzione dei governi comincia sempre dalla corruzione dei princìpi”. Questa massima può avere molti significati, ma io ne vorrei cogliere la sfumatura più profonda: quando si degradano le fondamenta del discorso pubblico, l’edificio non può che crollare.

In tema finanziario, soprattutto in questi ultimi anni, ci troviamo di fronte ad enormi sfide, che in comune hanno un elemento essenziale. Mettono in discussione le definizioni, le pietre angolari del sistema. E se non vengono correttamente inserite nel sistema di valori che ci appartiene, rischiano di disgregare il sistema.

Nell’articolo di giovedì scorso a tema Bitcoin, ho colto un vero e profondo interesse per questa forma di valuta. Ed è un approccio interessante, perché costituisce una positiva scossa a tutto quello che credevamo di sapere sulla moneta. Come diceva Chesterton: “Le verità si trasformano in dogmi nel momento in cui vengono messe in discussione.”. Una provocazione, certo, ma non sterile.

Credevamo, ad esempio, che le monete ormai fossero ineludibilmente monopolio delle Banche Centrali e incanalate in un sistema i cui guardiani erano gli istituti di credito. Questo implicava che il suo valore, al sua circolazione ed i costi ad esso legati fossero tolti dalle mani del libero mercato, condizionati piuttosto da complessi sistemi pubblici.

Poi nel 2009 un anonimo, sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, ha creato uno strumento digitale. E l’ha definito moneta. Ha avuto successo, perché da allora questo sistema di numeri primi è stato, effettivamente, usato come strumento di scambio. Ma cosa gli ha dato la notorietà per riuscirci? In estrema sintesi, i punti fondamentali sono:

  1. La grande difficoltà di contraffazione, data da un sistema di controlli incrociati chiamata blockchain: un database distribuito tra vari nodi della rete che consente di asserire la veridicità della singola moneta.
  2. La sottrazione ad un controllo centralizzato del valore della moneta, evitandone manipolazioni da parte del creatore.
  3. Il valore determinato dal mercato, non da un ente regolatore.

Dopo questa rottura, quindi, abbiamo un oggetto digitale che viene utilizzato per scambiare beni e servizi. Questa è una moneta? Vediamo che caratteristiche dovrebbe posseder per esserlo. Come riporta anche Il Sole 24 Ore ( CLICCA QUI ) una moneta deve essere:

  1. Unità di conto
  2. Mezzo di scambio
  3. Mezzo di pagamento
  4. Riserva di valore

Le critiche dell’articolo sono molto dure, centrano però un punto: il bitcoin è estremamente volatile. Questo è il punto: una moneta, come il metro, deve essere stabile. La stabilità della moneta è vitale per evitare di distorcere le scelte degli operatori. Sulla cui razionalità molto si potrebbe dire, ma che di certo non vengono aiutate da unità di misura che fluttuano impazzite di ora in ora. Questa riflessione ci aiuta ad ampliare il soggetto.

Se il Bitcoin non è una moneta, ma un mezzo di scambio in quanto volatile a causa della deflazione, cosa dovremmo dire delle proposte che sentiamo, ciclicamente, sulla svalutazione competitiva? Le ali estreme dello schieramento politico, quando vogliono giustificare la sostenibilità delle proprie politiche economiche, hanno l’abitudine di ricorrere a questo argomento: se mancheranno denari per pagare, li stamperemo. Ovvero prenderemo il metro, lo allungheremo, ma ci aspetteremo che tutti credano che siano 100 centimetri.

Arrivando ad una situazione opposta, ma con identico risultato, a quella del Bitcoin: la moneta cessa di essere una unità di conto, comincia a divenire solo mezzo di scambio. Senza ricorrere subito alle immagini del Venezuela (dove sono finiti persino i soldi per stampare i soldi), il principio è chiaro: se trattiamo la moneta come qualcosa che non è, il sistema ne risente. Inoltre, ultima nota, nel caso di valuta sottoposta a svalutazione salta anche il quarto punto, ovvero l’essere riserva di valore.

Il punto, che ci insegna l’avventura digitale del bitcoin, quindi, è che non si può fare ideologia sui mezzi di misura.

La moneta digitale era nata come strumento di lotta alle Banche Centrali come enti politici. Ovvero come mezzo ideologico di lotta. L’accusa, molto dura, era di manipolare il mercato. Accusa ingenerosa, ma non del tutto falsa. La soluzione ci ha mostrato, però, che il mercato, pur se libero, non è immune dallo stesso problema. Gli scandali sulla gestione di alcuni siti di scambio (Mt.Gox in Giappone, ad esempio), con interi depositi “spariti” nell’etere, fanno propendere per questa conclusione. Anche perché esiste il fondato sospetto che i singoli bitcoin “spariti” tornino, talvolta, in circolazione.

Allora come garantire l’integrità e, mi si consenta un salto in avanti, la moralità della moneta? Facendo fare alla Banca Centrale ciò che nessun altro può, ad oggi fare: garantire che in un metro ci siano esattamente 100 centimetri. Ovviamente il discorso è più complesso e si è complicato quando l’economia ha superato la capacità dell’oro di descriverne accuratamente la misura.

Però ha alcuni punti fermi: bisogna evitare la creazione, ex nihilo. Per ogni uscita, deve esserci qualcuno che si assume un debito. Secondo, va usata la massima cautela nelle manovre politico-monetarie. La moneta, come si diceva, è uno strumento di conto. Non di giustizia sociale. Essere bassi per qualcuno è un problema. Truccando il metro il problema non si risolve. Terzo, ed ultimo punto:si deve prendere atto che il mercato ha fame di mezzi di scambio veloci, non gravati dai pesi del sistema bancario e slegati dai sistemi di cambio. Ovviamente è un ragionamento prospettico, ma l’abbattimento delle barriere di cambio e l’intervento sulle commissioni non sono più argomenti teorici ed astratti. Sono il futuro della moneta. Intesa in senso sano e responsabile.

In conclusione, il Bitcoin è stata una salutare scossa ad un ambiente ingessato. Speriamo che ci aiuti a cogliere le criticità e ci porti ad una nuova consapevolezza. Aiutandoci ad evitare le trappole del populismo monetario, una delle più grandi calamità degli ultimi tre secoli.

Luca Rampazzo

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