Carlo Calenda c’è arrivato: i sostenitori del liberismo hanno sparato ” cazzate” per decenni nonostante apparisse evidente cosa stesse accadendo.
E’ vero che diminuivano i poveri assoluti, ma altrettanto vero il fatto che aumentasse la forbice tra i troppo ricchi e quelli che dovevano, e devono, battagliare con le unghie e con i denti per arrivare a fine mese. Una buona parte del ceto medio non è più sicuro di esserlo, basta poco per entrare nella precarietà esistenziale.
Che il capitalismo fosse in crisi lo si capiva da un pezzo. Se persino il foglio ufficiale di quel mondo, The Economist, scopre che il vecchio apparato economico, e il connesso e sottostante pensiero liberista, sono in crisi vuol proprio dire che un intero sistema dev’essere ripensato. Si tratta di vedere come e le idee al riguardo restano ancora molto confuse. Soprattutto, la gente comune, il consumatore vede come il mercato funzioni in senso unidirezionale, a favore del più forte.
Se in forma aulica il settimanale economico londinese constata che“ il liberalismo ha fatto il mondo moderno, ma il mondo moderno si sta rivoltando contro di esso”, in maniera più ruspante, ma altrettanto efficace, Calenda parla delle “ cazzate” sostenute da egli stesso per tre decenni.
Non è cosa da poco per una persona che, oggi, pensa addirittura di dare vita ad una propria formazione politica, dopo la rottura con il Pd di Zingaretti. Dovrebbe andare oltre e dirci quale possa essere il rimedio.
Il ripensamento dell’ex ministro, ora anche ex piddino, non è dovuto a una caduta da cavallo sulla via di Damasco. Bensì dall’incontro con operai in carne ossa che, evidentemente, egli ha immaginato in una famiglia, con mogli e figli preoccupati, ne ha misurato le loro angosce, ne ha incrociati gli sguardi persi verso un orizzonte incupito dalla possibile perdita del lavoro, con tutto ciò che a questo segue. Questo gli fa onore.
La dichiarazione dell’ex ministro allo Sviluppo economico ha anche un qualcosa di paradossale. E’ fresco fresco dalla fuoriuscita non da un partito liberale di malagodiana memoria, ma da quel Pd composto da ex comunisti e ex democristiani di sinistra che dovrebbero essere davvero restii a sparare le “ cazzate” d’impronta liberista di cui parla Calenda.
C’è insomma qualcosa che non funziona nel centro sinistra che mette un liberista alla guida di un ministero vitale per le politiche dell’impresa e del lavoro. Altrettanto strano è che uno, che si definisce liberale, finisca per candidarsi, ed essere eletto, al Parlamento europeo nelle liste di una forza che dovrebbe essere orientata ben diversamente.
Senza forse volerlo, insomma, Carlo Calenda denuncia tutti i limiti della politica italiana i cui partecipanti fanno esattamente il contrario di quello che dovrebbe mettere in atto alla luce dei propri convincimenti.
Come, però, non apprezzare di Calenda un tale spontaneo e esplicito riconoscimento di aver inseguito una visione politica ed economica oggi da rinnegare?
Quello che colpisce, però, non sono tanto le vivaci espressioni da lui utilizzate, bensì il fatto che le ” cavolate” cui si riferisce rischiano di assumere solo una forma di “ liberazione” personale, mentre è l’analisi politica che dovrebbe essere conseguente. Cosa vuole fare Carlo Calenda? In parte, resta un mistero. Cosa ha fatto Saulo di Tarso, invece, lo sappiamo…
Va riproposta una domanda sulla riflessione avviata dal The Economist sul liberalismo( CLICCA QUI ): “ Il pericolo è quello che tutta questa analisi sia destinata a tradursi in una operatività politica limitata”.
Ora, Carlo Calenda si è imbarcato in un’impresa complessa, qual è quella di mettersi in proprio. Un’impresa non del tutto precisata nelle sue delineazioni programmatiche e per quanto riguarda le strade che si intende seguire. Essa rischia di apparire, o di essere presentata, come mera collocazione astratta nel solito centro, a parole proclamato, ma molto poco sostanziato.
Prendiamo alcune delle sintetiche frasi a lui attribuite dai giornali: “bisogna ricentrarsi su un liberalismo di metodo. La democrazia liberale deve recuperare il pragmatismo. E se la società va meno veloce del progresso, la società salta per aria”.
Cosa vuole dire ricentrarsi su un liberalismo di metodo? Ardua davvero la risposta. Siamo tutti andreottianamente alla riscoperta del sano pragmatismo, ma qual è il suo rapporto con la democrazia liberale e, soprattutto, in quale direzione deve essere indirizzato? Abbiamo bisogno di un Virgilio per addentrarci in questi meandri intellettuali.
Calenda parla di “ liberalismo sociale” che, però, rischia di avere lo stesso sapore di quel “ conservatorismo compassionevole” di bushiana memoria finito per consegnare gli Usa nelle mani di chi crede nello slogan “ America first”.
La vera risposta sta non tanto nel rinverdire un liberismo che ci lascia di positivo solo l’accumularsi di quel pensiero cuturale e politico che ha valorizzato l’individuo, perdendo spesso per strada la dimensione della Persona, e consolidato i processi democratici, ma al tempo stesso ha smarrito la dimensione “ comunitaria” della risposta che i fenomeni economici e sociali dovrebbero recupare.
Noi abbiamo un’altra visione e riteniamo che il riformismo di maniera, cui evidentemente si riferisce con un piglio molto tecnocratico Carlo Calenda, non è più assolutamente sufficiente.
Il Paese ha bisogno di un processo “ rivoluzionario” di autentica trasformazione e di trovare la via per ridefinire le regole del mercato, ridisegnare la politica economica, restituire al mondo del lavoro, alle forze sociali, alle rappresentanze delle categorie, alle comunità locali e ai cittadini la possibilità di una partecipazione autentica in grado di avviare un’altrettanto autentica rigenerazione personale e collettiva.
Giancarlo Infante