Marco Cappato ancora una volta si è autodenunciato, dopo aver accompagnato in Svizzera una signora, che, affetta da una patologia irreversibile, per quanto non avesse bisogno di ricorrere ad apparecchiature medicali di supporto vitale, ha voluto porre fine ai suoi giorni.

Anzitutto, situazioni umanamente così cariche di sofferenza – si condivida o meno la determinazione assunta – meritano rispetto ed anche comprensione. C’è una differenza fondamentale tra dolore e sofferenza. Il primo può essere controllato farmacologicamente, la seconda no. Il primo non può essere condiviso, la seconda sì.

La sofferenza spalanca una porta, al di là della quale la persona si rivela a sé stessa. Ma, ad un tempo, quella porta si chiude irrimediabilmente se nessuno si accosta alla persona che soffre ed entra con lei, accompagnandola sia pure con una presenza silenziosa, in quel luogo di desolazione, di solitudine e di domande ultimative che è la coscienza interiore di chi sa di trovarsi di fronte alla morte.

Ogni situazione è unica, singolare ed irripetibile e l’unica legge sovrana da invocare in queste situazioni-limite è la legge dell’ empatia, la capacità di condividere, fino a sentirla dentro di sé, così da sopportarla insieme, la sofferenza di chi patisce il limite della deprivazione più dura. C’è qualcosa che stride, un che di disumano, un sapore di strumentalità nell’atteggiamento di chi assume un singolo e particolare caso, un momento irriducibile di sofferenza personale per trarne motivo di una battaglia ideologica.

Ad ogni modo, il caso in esame è andato oltre i criteri che la Corte Costituzionale ha posto come condizione e limite da osservare perché sia ammissibile il ricorso a pratiche di suicidio assistito: piena consapevolezza del soggetto, sofferenza giudicata insopportabile, patologia irreversibile ed, infine, necessità di procedure di supporto vitale indispensabili a garantire la sopravvivenza. La Corte ha sostanzialmente anticipato il Parlamento e si è spinta avanti quel tanto che ha offerto, a diverse forze parlamentari, il destro per assumere il suo pronunciamento come piattaforma da cui muovere per giungere a quella legge eutanasica, che pur non trova affatto un presupposto nella sentenza della Corte.

La discussione parlamentare sul tema ha risentito di questa spinta ad andare oltre le indicazioni della Corte e, anziché, normarle compiutamente, adottarle come occasione per spingersi più avanti, nel senso suddetto e finalmente coronare il sogno radicale di introdurre l’ eutanasia nel nostro ordinamento giudiziario.

La “biopolitica”, i temi della vita e della morte, le questioni cosiddette “eticamente sensibili” rappresenteranno un terreno di prova e di confronto anche nella prossima legislatura. Andranno affrontati nella consapevolezza della loro rilevanza non settoriale, bensì relativa al tenore complessivo della nostra convivenza civile, alla “cifra” etica, al profilo antropologico del mondo che pensiamo di costruire nel tempo nuovo che siamo sfidati a vivere. Ne va della concezione di sé, della vita e della storia con cui l’umanità del XXI secolo immagina di inoltrarsi nel terzo millennio dell’ era cristiana.

Due osservazioni è bene porre in chiaro fin d’ora, una di merito, l’altra di metodo. Dopo la dura esperienza di morte della pandemia, nel pieno di una guerra che perdura e semina distruzione, disprezzo della vita e morte nel cuore dell’Europa, a fronte della minaccia che alla vita reca anche la crisi ambientale, è il caso che la politica, complessivamente intesa, l’insieme delle forze che vi concorrono, qualunque sia il loro originario retroterra culturale, ricerchino quella che più volte, su queste pagine, è stata chiamata “rifondazione antropologica” della politica.

Occorre cambiare verso ed anziché ricercare soluzioni sempre declinate sul versante della morte, ricercare condizioni di sostegno, di valorizzazione e di promozione della vita. In ogni campo. Ed anche chi è impegnato sul fronte progressista e sociale deve riflettere: il rispetto della vita, la dignità della persona sono presupposti inderogabili per politiche ispirate a valori di democrazia, di libertà, di giustizia sociale. In secondo luogo, argomenti di tale delicatezza vano riservati al libero confronto parlamentare, senza essere pregiudicati nel quadro di alleanze o patti programmatici che, facendone oggetto di compromesso politico, rischierebbero di snaturarne il rilievo.

Domenico Galbiati

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