Come tutte le elezioni, anche quelle europee smuovono e sollecitano a darsi da fare. Talvolta in maniera alquanto disordinata, come se l’ottimismo della volontà prevalesse sul pessimismo della ragione. E questa pulsione, naturalmente, prende soprattutto gli appassionati del cosiddetto “centro” costretti a mordere il freno da trent’anni di bipolarismo che ha contribuito non poco ad indebolire i processi democratici e di partecipazione. Oltre che spazzare via un intero patrimonio di cultura politica, quella che ha fatto risorgere l’Italia e portarla a divenire la quarta potenza industriale del mondo.

In questi oltre trent’anni, sono stati numerosi in tentativi d’indicare un’alternativa E anche tra i cattolici non sono mancate voci, anche importanti al riguardo, ma costrette a scontrarsi con il loro mondo ufficiale completamente in “ritirata”. Ritirata che si potrebbe definire un vero e proprio riflusso paragonabile a quella corrente artistica definita dell’ “intimismo”.

La situazione del Paese ha accresciuto, almeno in via teorica, la possibilità che aumenti il numero di chi vuole creare una terza via, del resto resa sempre più necessaria dall’evidente stato in cui giace, e con esso giace l’intera Italia, la politica del nostro Paese. Le difficoltà non mancano, come ci ricordava ieri la nostra zebretta che, con molto realismo, e ascoltando le cronache quotidiane, non ha potuto non fare un paragone con Penelope (CLICCA QUI): si disfa di notte quel che si riesce a tessere di giorno. E il riferimento non riguarda solamente il duo Renzi Calenda.

Tra le varie ipotesi in circolazione vi è quella, come dicevamo all’inizio, sollecitata dal prossimo appuntamento delle europee. Certamente fondamentale nel pieno della demagogica corsa della destra ad indebolire, se non ad affossare, il percorso e, persino, la fisionomia dell’Unione. Potrà sembrare eccessivo dirlo, ma noi italiani sappiamo molto bene cosa significhi trovarsi nella condizione di essere vicini a fare un vero e proprio salto nel buio. E, quindi, intanto, ricordiamoci tutti che sarà comunque necessario mobilitarsi e partecipare, indipendentemente dal fatto che potrebbero non esserci forze politiche in grado di suscitare una grande passione. Saranno necessari tutti i voti per fermare l’ondata masochistica dei populisti.

La sollecitazione di cui sopra viene da una larga area di “centristi”, in gran parte cattolici. E non vale la pena oggi di ricordare come, a lungo, taluni di loro abbiano usato questo termine in maniera davvero dispregiativa. Ma si sa, di necessità bisogna prima o poi fare virtù, soprattutto in politica. E anche noi ci poniamo in questo atteggiamento, esaminando l’idea di partire da una lista elettorale, prima, per poi pensare alla costituzione di un nuovo soggetto politico, che noi preferiremmo chiamare “centrale”, ricordando la coniazione che facemmo, tanto tempo fa su queste pagine, del termine “baricentro”.

In effetti può essere un’idea per superare tutte quelle difficoltà sperimentate nel corso di più di un trentennio. Durante il quale personalismi, opportunismi, incapacità e mancata volontà di cogliere le tante occasioni avute, hanno impedito, spesso, la presentazione di liste persino in piccoli comuni. Ma l’esperienza ci dice che la proposta di “partire da una lista” presenta pure dei gravi rischi che non possono non essere sottovalutati.

Intanto, quello che tutto nasca e muoia così, subito il giorno dopo. Inoltre, il non riuscire ad apparire, non solo a non rappresentare, i rappresentanti di un progetto nuovo. La recente esperienza, amaramente vissuta, della nascita e del declino del Terzo Polo non può essere archiviata come se niente fosse. E poi, bisognerà chiedere un voto su qualcosa che parli di sostanza, oppure ci si limiterà ad agitare la bandiera del “centro” e, per questo, vivere la fugace illusione di avere una pozione magica a disposizione.

La pozione magica , comunque, c’è ed è quella di una proposta d’impronta popolare e solidale. Ma questo richiede coerenza e responsabilità. E non si potrà quindi pensare di ideare con un marchio etichetta che dovesse parlare in maniera generica di popolarismo, liberismo, moderatismo e tanti di quei termini roboanti fino ad ora rivelatisi del tutto inutili a smuovere un elettorato del tutto diffidente. Tanto sono stati usurati da quei politici che non hanno pensato di meglio che definirsi “centro del centrosinistra” e “centro del centrodestra”. Vuote etichette che, non per caso, non sono mai state premiate da un corpo di votanti, sì stanchi, ma non per questo del tutto rincitrulliti.

E se si è popolari non si va, almeno nel momento delle elezioni, con altre sigle che del popolarismo non hanno proprio niente. Democratiche, sì, per carità, ma frutto di altre culture politiche. La distinzione tra le quali, alla fine, si rivelerà dirimente e, soprattutto, l’unica in grado di portare chiarezza a livello nazionale ed europeo.

 

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