È diventata ormai un ritornello la necessità di costituire un Centro nella politica italiana, obiettivo sicuramente auspicabile. A maggior ragione per chi, come noi, ha sempre combattuto l’innaturale bipolarismo che ha caratterizzato la cosiddetta Seconda Repubblica, nella cui “crisi di tardo impero” siamo tuttora impantanati.

Con un polo di destra a guida Meloni-Salvini – in gara tra loro a chi è più sovranista e duro contro i migranti, le ONG, l’Europa, capaci più di crearsi nemici che di affrontare i problemi – e uno di sinistra che ha nel PD radicaleggiante dell’evanescente Elly Schlein il partito di riferimento, lo spazio per una proposta intermedia sono in teoria enormi, e in tanti si propongono per occuparlo.

Assistiamo così ad una corsa, anche scomposta, per rappresentare “il Centro”.

Alle politiche dello scorso anno si erano proposti come “Terzo polo” della politica italiana Matteo Renzi e Carlo Calenda. Il nostro pensiero, espresso prima delle elezioni che hanno incoronato la Meloni, aveva colto nel segno: “Purtroppo il duo Calenda-Renzi ha costruito un’alleanza tattica di corto respiro. Si è trattato di un ristretto accordo di vertice tra i due leader – dall’ego inversamente proporzionale alla simpatia – che hanno così risolto il problema di superare la soglia di sbarramento e di garantire la capolistatura ai parlamentari uscenti di Italia Viva e ai fuoriusciti di Forza Italia raccolti da Calenda. Nessuna apertura alla società civile, al Terzo settore, all’associazionismo, ai territori (vedi Pizzarotti, prima reclutato poi scaricato). Nessuna apertura alla grande tradizione politica del cattolicesimo democratico – sociale e solidale – ma solo la continua insistenza sulla triade riformisti-liberali-repubblicani, cercando di contendere voti liberal e radicali al PD e +Europa, insistendo sull’efficienza tecnocratica con un’immagine elitaria lontana da una politica popolare”.

Il modesto (soprattutto se rapportato alle aspettative dei due leader) 7,7% ottenuto non è servito a tenere insieme la strana coppia, che è scoppiata con un reciproco e penoso scambio accuse. E nello stesso articolo (CLICCA QUI)  sostenevamo un concetto che ribadiamo ora, forti di quanto è realmente avvenuto: “due personaggi consolidati del teatrino della politica non sono in grado di riconquistare elettori che non vanno più a votare, ma solo di togliere voti ad altri teatranti”.

Ognuno dei due personaggi cerca ora di proporsi con diverse strategie di fronte al problema contingente di presentare liste alle europee del prossimo giugno in grado di superare la soglia di sbarramento del 4%.

Calenda ha raccolto transfughi del PD e l’ex ministra Bonetti in fuga da Renzi, ma non ha certezze di riuscita. Ha così stretto un accordo con +Europa, aggrappata all’icona di Emma Bonino, proponendosi come alfiere del liberalismo repubblicano, novello Macron italico. Prendiamo atto che Carletto e i radicali sono accomunati dall’individualismo e da una sorta di allergia per i popolari di ispirazione cristiana. Ma, a quanto si legge (CLICCA QUI), Riccardo Magi all’Assemblea nazionale di +Europa ha espresso ambigui distinguo per non chiudere i giochi alleandosi con Azione. Vedremo…

Renzi si è autoproclamato inventore e leader della lista “il Centro”, contenitore tutto da costruire, ammesso che oltre al fiorentino ci sia spazio per qualcun altro… Il fatto di essersi già indicato come capolista nella Circoscrizione Nord-Ovest per le europee ha indotto la Moratti a lasciare la compagnia al centro per far ritorno nell’alveo del centrodestra.

Su Donna Letizia dobbiamo spendere qualche parola. Il suo smarcamento da Forza Italia, la candidatura in Lombardia alternativa a Fontana, il pubblico riferimento ideale alla Dottrina sociale cristiana (Intervista a Otto e mezzo su La7), l’incontro promosso in marzo a San Patrignano con associazioni, movimenti e una rete di liste civiche, parevano il percorso per promuovere una proposta di centro alle Europee. Ma i difficili rapporti con gli altri interlocutori, sino allo spintone subito da Renzi, l’hanno indotta a rientrare nei ranghi del centrodestra.

Riuscire a costruire una lista plurale che contenga Renzi (senza che Renzi la fagociti come un buco nero) è perlomeno dubbio. Il fiorentino è il maggior fallito della Seconda Repubblica. Lo dicono i numeri: dal 41% del 2014 come “speranza d’Italia”, per 3 anni consecutivi Presidente del Consiglio, ora ridotto a un partitino del 2% e con credibilità personale ancora più bassa; l’ultimo da cui un italiano comprerebbe un’auto usata, per usare una celebre espressione. Furbo lo sarà senz’altro, come ripetono tanti, ma non impara neppure dagli errori, il più clamoroso la proposta di riforma costituzionale cui aveva legato addirittura la prosecuzione del suo impegno politico (frottola eclatante che si porta ancora appresso): ora ci riprova con il “premierato”. Non il presidenzialismo per distinguersi dalla Meloni, ma sempre una scorciatoia per affossare la Repubblica parlamentare in senso autoritario, riducendo a soprammobile il presidente Mattarella (che il Signore ce lo conservi!). Oltre che già bocciata da illustri costituzionalisti (vedi CLICCA QUI) questa sua insistenza per l’investitura dell’“uomo (o donna) forte” allontana Renzi dai Popolari, alieni da autoritarismi e difensori della rappresentanza parlamentare e del ruolo dei partiti disegnato dalla Costituzione.

Renzi è stato appena mollato da Elena Bonetti ed ora persino dal fedelissimo Rosato, i due più credibili interlocutori di cultura cattolico democratica in Italia Viva. Legare i destini dell’agognato Centro alla presenza dell’ingombrante senatore fiorentino parrebbe un suicidio politico.

Eppure abbiamo ascoltato l’onorevole Fioroni, che dopo la sua uscita dal PD si sta impegnando con Piattaforma popolare-Tempi Nuovi a radunare la dispersa area democristiana, parlare della necessità assoluta di raccogliere in un unico contenitore politico Renzi, Calenda, civici come Cateno De Luca e la galassia popolare. Per convincere i primi due “dirò loro che a livello europeo ci riconosciamo tutti in Ranew Europe, con Macron come riferimento”. Sarà pur vero che la collocazione europea dei partiti nostrani non interessa all’elettore italiano e poco importa anche ai politici: a suo tempo Renzi collocò il PD nel PSE e fu assordante il silenzio dei cattolici democratici nel partito. Ma forse il tema se riconoscersi nel raggruppamento liberale o nel PPE, che pur contiene una Forza Italia in crisi, meriterebbe un minimo di confronto. Ma evidentemente sono considerate quisquiglie rispetto alla necessità di comporre un listone per le europee che raccolga tutto ciò che può avere una qualche attinenza con il Centro, considerato in una accezione puramente geometrica. “Prima la lista, poi il partito” spiega l’amico Giorgio Merlo su “Il Domani d’Italia”(CLICCA QUI)”. E magari in coda si potrebbe arrivare ad abbozzare un progetto politico; e se avanza tempo qualche punto programmatico… Avendo naturalmente l’accortezza di sorvolare su ciò che può provocare distinguo e divisioni, su temi etici, sociali, economici.

Non ci siamo proprio. Sarebbe come costruire una casa partendo dal tetto o come affittare un pullman per andare in vacanza in comitiva, senza però aver deciso la meta, se mare o montagna o città d’arte, senza aver definito dove pernottare, se albergo o campeggio o casa in affitto: il rischio di ritrovarsi in quattro gatti a litigare è una certezza. Prima il progetto e il programma, poi il partito, infine la lista: questa è la sequenza se si vuole costruire un’alternativa seria e non un’armata Brancaleone con il solo scopo di superare il quorum. Se il Centro viene visto solo come una posizione intermedia, ma senza un’anima (CLICCA QUI), è destinato a fallire come già dimostrato dal duo Calenda-Renzi. E non cambierà l’esito con l’apporto di ex DC che si sono barcamenati qua e là nella Seconda Repubblica e che ora, chiusi gli spazi a destra e a sinistra, cercano una strada autonoma: ricordiamoci che alle ultime europee del 2019 “Popolari per l’Italia” ottenne lo 0,3%.

Quindi la strategia di costituire un contenitore di Centro alla “venghino, signori, venghino!”, privo di una propria proposta politica e di un programma, con personaggi di riferimento ormai bruciati presso la pubblica opinione, difficilmente potrà interessare gli elettori, sia coloro che accettano o si adattano al bipolarismo, sia a maggior ragione quelli che lo rifiutano.

Capisco che la strada di un partito autonomo – dall’identità chiara, che chiede il consenso sulla base di un programma serio e coerente – sia tutta in salita. INSIEME, ad esempio, si è costituito esattamente tre anni fa, nel giorno dedicato a san Francesco, e non è ancora riuscito a raggiungere la forza sufficiente a presentare liste, per tutta una serie di motivi che richiederebbero una lunga trattazione.

Ma chi si riconosce in INSIEME ha ben chiaro da anni che il sistema bipolare – tenuto in piedi dal maggioritario, con i partiti del capo, i listini bloccati, i nominati – è destinato a deteriorare sempre più il rapporto istituzioni-cittadino e indirizzare la democrazia rappresentativa verso derive populiste e autoritarie. Da qui parte la consapevolezza che il primo obiettivo politico è il superamento del bipolarismo, da attuare con una legge elettorale proporzionale, per restituire al cittadino elettore il pieno potere nella scelta dei partiti e delle persone. Non si possono cambiare le cose senza cambiare le regole, specie se si parte da una idea di Centro. Il Centro non è contemplato nel sistema bipolare. È esterno. È antisistema. I partiti del teatrino mediatico, tutti, formano ormai un’oligarchia che difende le rendite di posizione (ad esempio nella modalità di presentazione delle liste) per continuare a determinare la politica nazionale anche con consensi minoritari nel Paese. Si riducesse il corpo elettorale al 20%, per loro andrebbe bene lo stesso…

L’oligarchia va combattuta e l’idea di costruire un Centro può servire allo scopo. Bisogna però riconoscere che molti lo invocano a parole, ma lasciano intuire un retropensiero – non solo opportunistico, per carità, anche frutto di realismo, a regole vigenti – di ricollocazione nell’assetto bipolare. Abbiamo visto la Moratti, Renzi sogna di occupare il vuoto lasciato da Berlusconi tra i moderati di centrodestra, Calenda sogna di essere il liberal alla guida dei democratici, Magi (che deve la sua elezione all’accordo con il PD che lo ha collocato nel seggio sicuro di Torino sfrattando il cattolico Lepri) strizza l’occhio in prospettiva alla Schlein e, sospettiamo, anche tanti centristi tornerebbero nei ranghi dei due poli se venisse garantito loro qualche strapuntino.

Non sono giochi tattici, piccoli opportunismi sul teatrino della politica che possono creare le condizioni di una trasformazione del nostro Paese, che impone per prima cosa dal recupero di credibilità della politica, ora ai minimi e in continua discesa, certificata dalla continua salita degli astenuti, arrivati ormai a rappresentare metà dell’elettorato. Impresa titanica, che può passare solo attraverso la restituzione della piena sovranità ai cittadini elettori, liberi di scegliere partiti nuovi e le persone che meglio li rappresentano. Bisogna oggi puntare su coloro che non vanno a votare o non esprimono un voto perché non trovano un’offerta politica credibile.

Per poterla creare deve cambiare il sistema bipolare, quindi ogni energia di chi vuole affermare la “buona politica” deve essere indirizzata – oltre che alla costruzione di un programma che dimostri idee chiare per risolvere i problemi che interessano persone e famiglie – a cambiare le regole del gioco. In Parlamento ci sono pochi interlocutori interessati al cambiamento, e bisogna lavorare sul piano extraparlamentare.

Antisistema, extraparlamentare… Parole che suonano strane in ambito democratico popolare di ispirazione cristiana. Non siamo proprio abituati a “far casino”, più inclini al dialogo conciliante, a ragionare sul merito delle questioni, al rispetto delle regole, alla correttezza istituzionale. Per questo vediamo in Sergio Mattarella un modello attuale, dopo averne avuti tanti nella nostra Storia, e cito solo Guido Bodrato, l’ultimo ad averci lasciati.

Ma per cambiare il sistema dobbiamo anche cambiare qualcosa in noi stessi: ad esempio (e anche questo suonerà strano…) guardare a come sapeva farsi ascoltare e incidere, pur con pochi militanti, un leader del passato come Marco Pannella. Anche dai Radicali, nei metodi, abbiamo qualcosa da imparare.

Alessandro Risso

Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione I Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)

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