Ha fatto scalpore l’ennesima notizia degli arresti eccellenti di ieri. Quelli davvero clamorosi, perché  in procinto di travolgere la Giunta regionale della Liguria, e gli altri passati più sotto silenzio che hanno coinvolto esponenti di Fratelli d’Italia e di altri di destra nel napoletano. I primi, caratterizzati da un insano rapporto tra politica ed affari; i secondi, per il solito presunto voto di scambio. Ma tutti con l’aggravante dell’ombra inquietante della criminalità organizzata.

C’è da sperare che soprattutto Giovanni Toti, Presidente della Liguria, e volto familiare per i telespettatori, dimostri che quanto gli è stato addebitato della Procura sia stato male interpretato. Noi non godiamo nel veder finire nei guai alcuno e siamo garantisti per davvero. Ma non come, ci pare, lo siano quasi tutti i politici nostrani. Cioè a corrente alternata. A secondo di chi sia il malcapitato, o il malfattore, impigliatosi negli elettrizzanti meandri dei facili guadagni assicurati da un certo tipo di fare politica.

Distinguiamo tra la persona e il personaggio pubblico cui sono state affidate responsabilità di gestione della cosa pubblica. Non pensiamo che per gli uomini della politica, e per i pubblici amministratori, basti accalorarsi a sostenere di ritenerli innocenti fino al terzo grado di giudizio. Non perché questo non valga sul piano strettamente giudiziario, ci mancherebbe altro! E’ altrettanto certo, infatti, che chi assume un ruolo pubblico sia chiamato ad esprimere un senso di responsabilità in più e a far proprio il detto che la moglie di Cesare, non solo debba essere innocente, ma persino apparire al di sopra di ogni sospetto.  E questo non dovrebbe valere solo per i coinvolti direttamente nelle più che spiacevoli vicende raccontate dalla cronaca quotidiana, con una frequenza oramai troppo incalzante in questa cosiddetta Seconda repubblica. Dovrebbero essere i compagni e gli elettori di un partito, qualunque esso sia, a pretendere la “castità”, di sostanza e nell’apparenza, alla Calpurnia.

Ascoltare Matteo Salvini mentre parla per l’ennesima volta della presunta innocenza  fino alla sentenza definitiva non è sufficiente. Nel caso suo, visto che la Storia tutti incalza, non possiamo certo dimenticare che trent’anni fa la Lega esibì in Parlamento un cappio chiedendo giustizia sommaria. Già allora c’erano tre gradi di giudizio…

E non va bene neppure che il Ministro Lollobrigida ritorni sulla “giustizia ad orologeria”. A Bari, pochi giorni fa, andava bene che la sinistra fosse coinvolta nei suoi scandali in prossimità del voto municipale del capoluogo pugliese. In più, per quanto giovane, l’autorevole esponente di Fratelli d’Italia dovrebbe ricordare la pioggia di monetine lanciate  dai “camerati” laziali contro Bettino Craxi all’uscita dell’Hotel Raphael, la residenza romana del leader del Psi. Accadde poco più di trent’anni fa, era il 30 aprile 1993, sotto la guida di “Er Batman di Anagni”. Quel Franco Fiorito risorto alle cronache nazionali due decenni dopo per il suo arresto per corruzione. Era il capogruppo del Popolo delle libertà (quota Alleanza Nazionale) nel Consiglio regionale del Lazio. Accusato di aver preso circa un milione e 400 mila euro dai fondi del partito. Si vede che il passaggio dalle monetine alle banconote di grosso taglio non gli era riuscito impunemente. Condannato a tre anni e quattro mesi di reclusione e a cinque d’interdizione dai pubblici uffici.

Che la giustizia sia forzatamente sempre “ad orologeria” in Italia è un fatto scontato. Giacché quasi ogni settimana si vota da qualche parte. Così com’è scontato assistere a politici sempre pronti a fare i garantisti con gli amici e i giustizialisti con gli avversari. Salvo poi aggiungere di avere piena fiducia nella Magistratura. Quella stessa Magistratura che, allo stesso tempo, si tenta di delegittimare e di condizionare. Forse perché c’è la paura del ritorno dei tempi dell’esposizione di un “cappio” e del lancio delle “monetine” … a causa di un cattivo scherzo della Nemesi.

Il problema, infatti, è che passati oltre la cosiddetta Prima repubblica, non c’è stato alcun impegno per ridare alla politica quella “disciplina e onore” richiamati dalla nostra Costituzione. E spiace dirlo: non si salva nessuno di questa classe politica che preferisce passare da un tintinnio di manette, da un grido alla “giustizia ad orologeria”, ad una spruzzata di garantismo invece che porre davvero mano ad una condivisa opera di moralizzazione che non sarebbe, poi, tanto complicato avviare.

E così, ha quasi del comico, mischiato al macabro, sentir parlare della creazione di un organismo pubblico destinato a vigilare sui bilanci delle società di calcio e, invece, vedere evitata con cura l’idea della introduzione di più stringenti controlli dei conti e dei patrimoni dei nostri politici e di quanti svolgono una funzione pubblica, così come accade in paesi davvero civili.

Purtroppo, noi italiani, lo abbiamo scritto più volte, abbiamo costruito un paese fatto di pochi dediti alla “cittadinanza attiva” e tantissimi autolesionisti tifosi e contradaioli cui piace tanto agitare un cappio e lanciare monetine per diventare, se conveniente, garantisti. In attesa del terzo grado di giudizio che, speriamo, non debba coincidere con quello … Universale.

Una mancata risposta a Mani pulite di trent’anni fa, ci fa ritrovare con un’Italia impoverita e smarrita. La colpa è sicuramente dei nostri capo partito, ma anche di noi cittadini: non siamo da meno, visto che non sappiamo in modo organizzato dare vita ad un moto di dignità e di reazione.

Giancarlo Infante

 

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