Nel mondo molte oggi sono le nazioni in cui ‘insieme’ le persone lottano contro regimi autoritari e le derive neoliberiste. Si pensi all’Iraq, al Libano, all’Egitto, all’Algeria, a Hong Kong, al Cile e non solo.
La ribellione è indirizzata quindi sia contro l’oppressione negatrice dei diritti, laddove ci sono regimi militari o statalisti, sia contro l’accumulo di ingenti ricchezze in pochi mani. Quest’ultima ormai è poi regola universale che accumuna dittature e democrazie.
Si pensi non solo al Cile, ove nella dittatura di Pinochet trovarono albergo gli esperimenti della scuola di Chicago, capitanata da Milton Friedman , insignito addirittura del premio Nobel, ma anche alle democrazie del nord America e dell’Europa.
Un altro premio Nobel, Joseph Stiglitz, ritiene che si sia in presenza della probabile fine del neoliberismo. Per l’economista americano è stato ed è proprio il neoliberismo a minare la democrazia. Infatti, al dio pagano rappresentato dal mercato senza regole si sono sacrificate le tutele sociali, gli stipendi (ora decrescenti), le tasse progressive, le regolazioni finanziare eque e limitatrici delle diseguaglianze, i servizi statali e il welfare. Tutte conquiste rese possibili dalla precedente capacità di governo delle persone che nelle democrazie potevano tutelare gli interessi generali. Ma poi nel nome del mercato e dello spauracchio della perdita dei posti di lavoro, a causa della competitività globale da cui si aspettava prosperità per tutti, le conquiste citate sono state ridotte o eliminate a vantaggio di pochi accumulatori di smisurate ricchezze.
Tutto questo è ben chiaro a Papa Francesco che si conferma il concreto leader di chi vuole cambiare i modelli neoliberisti a favore di “una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda”
Questi temi sono per noi di “Politica Insieme” uno stimolo a sviluppare analisi e proposte valide per l’Italia e l’Europa. Un recente, concreto, specifico, stimolante esempio di Francesco è il seguente: “La prima cosa che dovrebbero chiedersi i giuristi oggi è che cosa poter fare con il proprio sapere per contrastare” il fenomeno “dell’idolatria del mercato[…]che mette a rischio le istituzioni democratiche e lo stesso sviluppo dell’umanità”. Lo ha detto, lo scorso 15 novembre, il Papa ai partecipanti al XX Congresso Mondiale dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, sul tema “Criminal Justice and Corporate Business”.
“In concreto – ha spiegato Francesco entrando nel dettaglio – la sfida presente per ogni penalista è di contenere l’irrazionalità punitiva, che si manifesta, tra l’altro, in reclusioni di massa, affollamento e torture nelle prigioni, arbitrio e abusi delle forze di sicurezza, espansione dell’ambito della penalità, la criminalizzazione della protesta sociale, l’abuso della reclusione preventiva e il ripudio delle più elementari garanzie penali e processuali[…]La persona fragile, vulnerabile, si trova indifesa davanti agli interessi del mercato divinizzato, diventati regola assoluta”. Per il Papa “oggi alcuni settori economici esercitano più potere che gli stessi Stati: una realtà che risulta ancora più evidente in tempi di globalizzazione del capitale speculativo[…]Il principio di massimizzazione del profitto, isolato da ogni altra considerazione, conduce a un modello di esclusione che infierisce con violenza su coloro che patiscono nel presente i suoi costi sociali ed economici, mentre si condannano le generazioni future a pagarne i costi ambientali”.
Francesco ha poi rilevato che “Una delle frequenti omissioni del diritto penale, conseguenza della selettività sanzionatoria, è la scarsa o nulla attenzione che ricevono i delitti dei più potenti, in particolare la macrodelinquenza delle corporazioni[…]Il capitale finanziario globale è all’origine di gravi delitti non solo contro la proprietà ma anche contro le persone e l’ambiente”, ha fatto notare Francesco anche a proposito della “criminalità organizzata responsabile, tra l’altro, del sovra-indebitamento degli Stati e del saccheggio delle risorse naturali del nostro pianeta[…]Il diritto penale non può rimanere estraneo a condotte in cui, approfittando di situazioni asimmetriche, si sfrutta una posizione dominante a scapito del benessere collettivo[…]Questo succede, per esempio, quando si provoca la diminuzione artificiale dei prezzi dei titoli di debito pubblico, tramite la speculazione, senza preoccuparsi che ciò influenzi o aggravi la situazione economica di intere nazioni[…]Si tratta di delitti che hanno la gravità di crimini contro l’umanità – la denuncia del Papa – quando conducono alla fame, alla miseria, alla migrazione forzata e alla morte per malattie evitabili, al disastro ambientale e all’etnocidio dei popoli indigeni”.
Il Santo Padre ha poi rilevato che “In diversi Paesi sono state attuate riforme dell’istituto della legittima difesa e si è preteso di giustificare crimini commessi da agenti delle forze di sicurezza come forme legittime del compimento del dovere[…]È importante che la comunità giuridica difenda i criteri tradizionali per evitare che la demagogia punitiva degeneri in incentivo alla violenza o in sproporzionato uso della forza. Sono condotte inammissibili in uno Stato di diritto e, in genere, accompagnano i pregiudizi razzisti e il disprezzo verso le fasce sociali di emarginazione”. Altra pratica vista “con preoccupazione” da Francesco è “l’uso arbitrario della carcerazione preventiva[…]Purtroppo la situazione si è aggravata in diverse nazioni e regioni, dove il numero di detenuti senza condanna già supera ampiamente il cinquanta per cento della popolazione carceraria”. Questo fenomeno, per il Papa, “contribuisce al deteriorarsi delle condizioni di detenzione ed è causa di un uso illecito delle forze di polizia e militari per questi fini[…]La reclusione preventiva, quando è imposta senza che si verifichino le circostanze eccezionali o per un periodo eccessivo – la tesi di Francesco – lede il principio per cui ogni imputato dev’essere trattato come innocente fino a che una condanna definitiva stabilisca la sua colpevolezza”.
Il Papa ha proposto di considerare un nuovo reato, di cui si è parlato durante il recente Sinodo per l’Amazzonia: l’ecocidio.“Un elementare senso della giustizia imporrebbe che alcune condotte, di cui solitamente si rendono responsabili le corporazioni, non rimangano impunite”, ha spiegato infatti Francesco, citando in particolare “tutte quelle che possono essere considerate come ‘ecocidio’: la contaminazione massiva dell’aria, delle risorse della terra e dell’acqua, la distruzione su larga scala di flora e fauna, e qualunque azione capace di produrre un disastro ecologico o distruggere un ecosistema[…]In questo senso, recentemente, i Padri del Sinodo per la Regione Panamazzonica – ha ricordato il Papa – hanno proposto di definire il peccato ecologico come azione oppure omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l’ambiente. È un peccato contro le future generazioni e si manifesta negli atti e nelle abitudini di inquinamento e distruzione dell’armonia dell’ambiente, nelle trasgressioni contro i principi di interdipendenza e nella rottura delle reti di solidarietà tra le creature e contro la virtù della giustizia”. Per “ecocidio”, ha proseguito il Papa, “si deve intendere la perdita, il danno o la distruzione di ecosistemi di un territorio determinato, in modo che il suo godimento per parte degli abitanti sia stato o possa vedersi severamente pregiudicato. Si tratta di una quinta categoria di crimini contro la pace, che dovrebbe essere riconosciuta tale dalla comunità internazionale”. Di qui l’appello ai giuristi e “a tutti i leader e referenti nel settore perché contribuiscono con i loro sforzi ad assicurare un’adeguata tutela giuridica della nostra casa comune”. “Stiamo pensando di introdurre nel Catechismo della Chiesa cattolica il peccato contro l’ecologia, il peccato ecologico, contro la casa comune, perché è un dovere”, ha aggiunto il Papa a braccio.
Francesco ha poi denunciato “La cultura dello scarto, combinata con altri fenomeni psico-sociali diffusi nelle società del benessere, sta manifestando la grave tendenza a degenerare in cultura dell’odio” e ha fatto notare che oggi “si riscontrano episodi purtroppo non isolati, certamente bisognosi di un’analisi complessa, nei quali trovano sfogo i disagi sociali sia dei giovani sia degli adulti[…]Confesso che quando sento qualche discorso, qualche responsabile dell’ordine o del governo, mi vengono in mente i discorsi di Hitler nel ’34 o nel ’36”, ha detto a braccio. “Non è un caso – la tesi di Francesco – che a volte ricompaiano emblemi e azioni tipiche del nazismo, che, con le sue persecuzioni contro gli ebrei, gli zingari, le persone di orientamento omosessuale, rappresenta il modello negativo per eccellenza di cultura dello scarto e dell’odio”. “Occorre vigilare, sia nell’ambito civile sia in quello ecclesiale, per evitare ogni possibile compromesso – che si presuppone involontario – con queste degenerazioni”, il monito. No anche al “lawfare”, che consiste nel “ricorso a imputazioni false contro dirigenti politici, avanzate di concerto da mezzi di comunicazione, avversari e organi giudiziari colonizzati”. In questo modo, ha osservato il Papa, “si strumentalizza la lotta, sempre necessaria, contro la corruzione col fine di combattere governi non graditi, ridurre i diritti sociali e promuovere un sentimento di antipolitica del quale beneficiano coloro che aspirano a esercitare un potere autoritario”. Secondo il Papa, infine, “è curioso che il ricorso ai paradisi fiscali, espediente che serve a nascondere ogni sorta di delitti, non sia percepita come un fatto di corruzione e di criminalità organizzata”. Analogamente, “fenomeni massicci di appropriazione di fondi pubblici passano inosservati o sono minimizzati come se fossero meri conflitti di interesse”.
Inoltre il Papa ha anche proposto, sempre a braccio, di “Ripensare sul serio l’ergastolo . Le carceri devono avere sempre finestre, cioè orizzonti. Dobbiamo guardare ad un reinserimento, pensare profondamente al modo di gestione delle carceri, cercando di seminare speranze di reinserimento e pensando se siamo capaci di accompagnare queste persone”.
Carlo Parenti