I progressi fatti in questi ultimi 30 anni nella lotta contro la mortalità infantile potrebbero essere messi in discussione dalla pandemia del Covid-19, che sta provocando pesanti interruzioni nei servizi sanitari di base. L’allarme è stato lanciato nei giorni scorsi dall’Unicef nel rapporto 2020 “Levels & Trends in Child Mortality”, che evidenzia chiaramente gli effetti del coronavirus sulla salute dei più piccoli.
Fermo restano che anche una sola giovane vita persa per mancanza di cibo e cure mediche è un dramma che va evitato e combattuto in ogni modo, vanno accolti con cauto ottimismo i dati diffusi dall’agenzia per l’infanzia delle Nazioni Unite: il numero di morti sotto i cinque anni a livello globale nel 2019 è sceso al punto più basso mai registrato, fino a 5,2 milioni rispetto ai 12,5 milioni del 1990. In media, nel 2019 sono morti ogni giorno 14.000 bambini prima di compiere 5 anni, rispetto ai 34.000 del 1990 e ai 27.000 del 2000. Nonostante i buoni risultati, il bilancio resta però pesantissimo. Infatti, se si considerano anche gli adolescenti le vittime salgono a 7,4 milioni
L’elemento di novità e preoccupazione che emerge nel nuovo rapporto è quello legato al Covid. Le indagini dell’Unicef e dell’Oms rivelano che la pandemia ha provocato gravi interruzioni dei servizi sanitari che minacciano di vanificare decenni di progressi duramente conquistati. Il documento cita l’esempio del Camerun – dove un neonato su 38 è morto nel 2019 – rispetto al quale l’indagine dell’Unicef ha riportato un tasso stimato del 75% di interruzioni nei servizi per l’assistenza neonatale essenziale, i controlli prenatali, l’assistenza ostetrica e l’assistenza post-parto. Un allarme che viene confermato dalle stime della Johns Hopkins University, secondo cui quasi 6.000 bambini in più potrebbero morire al giorno a causa di interruzioni dovute al COVID-19.
Un’altra indagine dell’UNICEF condotta in questi ultimi mesi in 77 Paesi ha rilevato che quasi il 68% di questi ha segnalato almeno qualche interruzione nei controlli sanitari per i bambini e nei servizi di vaccinazione. Inoltre, il 63% dei Paesi ha riportato problemi nei controlli prenatali e il 59% nelle cure post-parto. Allarmati anche i dati riportati dall’Oms basati sulle risposte di 105 Paesi: il 52% di questi ha riportato interruzioni nei servizi sanitari per i bambini malati e il 51% nei servizi per il trattamento della malnutrizione.
I motivi più comunemente citati per le interruzioni dei servizi sanitari sono stati i genitori che evitano i centri sanitari per paura di contagi; le restrizioni ai trasporti; la sospensione o la chiusura di servizi e strutture; un minor numero di operatori sanitari a causa di ricollocamenti o la paura di contagi dovuta alla mancanza di dispositivi di protezione individuale come mascherine e guanti. La politica delle chiusure di spazi e strutture; della riduzione dei mezzi pubblici e delle complicate regole per accedervi e il ricollocamento si risorse e personale rischiano dunque di fare maggiori danni di quelli direttamente legati alla pandemia.
Tutto questo si manifesta ancora più gravemente tra i Paesi più poveri e le classi sociali meno abbienti. Cambiare stili di vita e trovare soluzioni alternative nella sanità privata non sono soluzioni praticabili per ampie fasce della popolazione mondiale. Urge dunque un ritorno alla normalità in tutti i servizi per l’infanzia, a cominciare anche dalla scuola che è un luogo fondamentale per il benessere psicofisico del bambino. Conciliare prudenza e accesso a servizi è un obbligo da cui non può sottrarsi alcun’istituzione degna di questo nome.
Marco Guerra
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