Qualche giorno fa abbiamo detto di non doverci impregnare con la logica della guerra (CLICCA QUI). Successivamente, abbiamo riproposto quella parti profetiche e premonitrici della “Fratelli tutti” di Papa Francesco (CLICCA QUI) che implicano una scelta per la cultura della vita piuttosto che quella della morte. Guai a rispondere alla violenza accettando di immergerci anche noi in un sentimento che obnubila, ed anche “sporca”, distorce e snatura la nostra stessa essenza umana più profonda.

L’aggressione all’Ucraina scuote le coscienze ogni giorno di più. Un senso di rabbia s’impadronisce di noi a fronte a tanta violenta determinazione che a noi appare ingiustificata. Ma possiamo reagire chiedendo indietro le opere che i musei si scambiano nel riconoscimento di quanto arte e cultura rappresentano un patrimonio che non conosce confini e odio? Oppure, come ci dicono certe notizie che vengono da varie parti d’Italia, ma forse accade anche negli altri paesi europei, cancellando persino la ricchezza della grande letteratura russa?

Si è giunti ad annullare un evento culturale su Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Eppure egli costituisce uno dei principali esponenti di quella “frontiera” culturale che è sempre stata presente in una Russia dai nove, dieci fusi orari protesi dal confine con l’Europa fino al Mare Pacifico e che giungono a bordeggiare con Cina e Corea del Nord.

La Russia è sempre stata a cavallo tra diverse civiltà. E tra queste si sono sempre sviluppate una dialettica ed una competizione destinate e a convivere, ma senza mai dimenticare che il principale punto di riferimento e di confronto era quello dell’Occidente. Vorrà pur dire qualcosa se le intellighenzie di quello che costituisce la parte più estesa del continente che chiamiamo Euro- Asia, hanno sempre guardato ad Ovest. Sceglievano, eventualmente, come luoghi di riparo, o di esilio, i paesi occidentali, come tante località italiane possono ben testimoniare, a partire dall’Isola di Capri. C’è stato un “grand tour” russo nelle contrade dell’Europa occidentale che è solo meno noto di quello settecentesco dei nobili britannici, francesi e tedeschi. E c’è ovviamente da ricordare, sia pure per sommi capi, le assonanze della musica colta russa dell’800 con quella prodotta più verso l’Atlantico e il Mediterraneo. Così, come dimenticare i pittori russi che hanno fatto parte, anche con una certa loro originalità, a quegli stessi movimenti e generi che da noi si chiamavano “espressionismo”, “futurismo”, “modernismo”? Fu semmai fu dalle parti nostre che li si tardò a comprendere, mentre quegli artisti sposarono appieno le sensibilità occidentali, giungendo, come fece Chagall, che non a caso volle naturalizzarsi come francese, a diventare europei a pieno titolo.

Esiste, e con continuità, una “dualità” nel sentimento dei russi tra due radicamenti destinati a coesistere, magari in una sorta di contraddizione che, però, appare tale solamente a noi. Essa è tutta confermata dall’intera letteratura russa, anche se quella che noi meglio conosciamo risente sicuramente molto di più della cultura occidentale. Del resto, le classi dirigenti di Russia, a partire dal circolo imperiale, tra l’altro imparentato con gran parte delle altre corti europee, per circa tre secoli hanno parlato in francese, chiamato architetti italiani a costruire le loro capitali, ascoltato e praticate la musica italiana e quella tedesca. Contemporaneamente, governavano vaste terre piene di quelle “anime morte” di gogoliana memoria rappresentanti la continuità secolare di un servaggio che agli occhi degli occidentali appariva disgustosa anche se era solo da poco, e nel mezzo di tante resistenze, che era cessato il mercato della schiavitù transatlantica.

Adesso, cancellare Dostoevskij e la cultura russa a causa di Putin significa appiattire l’intera Russia in una dimensione riduttiva e parziale. In ogni caso, sembra farci dimenticare quello che durante il regime sovietico, duro e spietato, espressero, anche al prezzo di enormi sacrifici e imprigionamenti, tanti artisti e scrittori, tra cui Boris Pasternak e Aleksandr Solženicyn, che pure l’Occidente celebrò come rappresentanti di un anelito alla libertà presente nello spirito dei russi.

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