Fra trent’anni chi scriverà la storia dirà che l’emergenza in Italia dagli anni duemila è stata la crisi demografica. E la storia la scriveranno degli anziani, perché i giovani non ci saranno. Questa drammatica realtà è semplicemente oscurata nelle menti dei nostri governanti. Uno Stato che non guarda al futuro, è uno Stato già morto. Uno Stato che non vede i figli come realizzazione di un bene comune è uno Stato bendato, sordo, silente.

I figli sono il bene comune del nostro futuro; il beneficio sociale dei figli non può essere circoscritto alla sola sfera privata, pur essendo la decisione di procrearli quella più intima e familiare: quindi la questione della natalità e dei figli investe la continuità e il futuro di una comunità sociale. Ma il loro costo è in gran parte responsabilità privata delle famiglie, anziché essere una condivisione sociale: di conseguenza il costo sostenuto dalle famiglie è troppo elevato.

Il tema dell’equità fiscale verso la famiglia riguarda il fatto che essa sostiene i costi della riproduzione della popolazione, ossia del ricambio fra le generazioni e dovrebbe quindi essere riconosciuta in questo suo fondamentale ruolo sociale, di cellula primaria della società. Lo Stato italiano, invece, non solo non riconosce nei fatti questo ruolo alla famiglia ma anzi penalizza la famiglia che ha figli e la penalizza quanti più figli ha. Tutta la nostra fiscalità è agita contro la famiglia unita in matrimonio. Si spiega così che le famiglie con figli in Italia siano diventate meno del 50% delle famiglie e che il desiderio di figli sarebbe oltre 2,5 per coppia ma ci si ferma a poco più di uno. Perché l’Italia spende per la funzione famiglia e bambini solo l’1,3 percento del Prodotto interno lordo (Pil), rispetto per esempio al 2,5 della Francia: poiché un punto di Pil italiano vale circa 17 miliardi di euro, colmare il divario almeno rispetto alla Francia comporta una riallocazione di spesa pari a 20 miliardi di euro, che rappresenta una cifra impegnativa ma abbordabile, soprattutto se si considera il suo elevato rendimento sociale. La Cancelliera Merkel, per fare un esempio, non soddisfatta di spendere circa 4,5 punti di Pil per politiche familiari (per raggiungere la Germania, in Italia dovremmo aumentare la spesa pro famiglia di 55 miliardi di euro l’anno!), ha appena assegnato per 12 mesi alle neomamme fino ai due terzi del loro stipendio per crescere il proprio bambino nel primo anno di vita. Da noi invece si pensa sempre a mettere dei pannicelli caldi per pochi intimi con ISEE assistenziale. E sull’ISEE in Italia, peraltro, non ci siamo per nulla. Già nel 2002 Ermanno Gorrieri (cfr. “Parti uguali fra disuguali” ed. Mulino – Bologna) scriveva che, sulle scale di equivalenza nella normativa, con una decisione molto discutibile, era stata adottata una scala molto meno generosa nei confronti delle famiglie con figli, nel senso che le scale riconoscevano un minor aumento dei costi al crescere dell’ampiezza della famiglia. Un assurdo. La riforma dell’ISEE del 2015 ha lasciato le scale praticamente invariate e quindi siamo ancora lì: più figli hai, più vieni penalizzato per averli avuti.

Tuttavia in Italia un certo ottimismo per tornare ad essere un Paese straordinario e non un Paese di morti, potremmo ancora averlo. Infatti, rispetto a molti altri Paesi, noi abbiamo ancora molti semi da piantare e tanta acqua per irrigare il giardino della vita. Sì, perché mentre altri Paesi, come si diceva più sopra, hanno investito in politiche familiari e in natalità, noi, semplicemente, siamo ancora all’anno zero. Quindi, se per ventura riuscissimo ad avere un governo capace potremmo ancora farcela. Sollevando le famiglie che si sono già aperte alla vita affinché non siano più solo una testimonianza di coraggio, fede, speranza; e stimolando le giovani coppie ad aprirsi alla vita perché sostenute, protette, incentivate da uno Stato che, finalmente, non è nemico della famiglia e non la punisce per aver messo al mondo il futuro. Realizzando concretamente il dettato costituzionale più vilipeso nella storia italiana, l’articolo 31, che impone alla Repubblica un’attenzione particolare, un particolare riguardo per le famiglie numerose.

Tra questi semi, alcuni sono solo da togliere dal congelatore: basti pensare, per esempio, alla Carta Famiglia che è già approvata da qualche anno e, come in Francia e altri Paesi, potrebbe agevolare chi ha figli nell’utilizzo dei mezzi pubblici, nell’utilizzo di Convenzioni commerciali, nella frequentazione di Musei ecc. E’ a costo zero per il Bilancio dello Stato, è positiva per il Prodotto Interno Lordo (se pago due biglietti vado al Museo, se ne pago sette, quindi come ora anche per i miei cinque figli, non ci vado; perciò il Museo, il treno, il Parco, perdono due biglietti ogni volta). Basta solo toglierla dal congelatore del Ministero, finalmente.

Come basta togliere da sotto il materasso quel furto organizzato, non mi viene altro termine, di un miliardo di euro che ogni anno viene scippato alle famiglie dall’INPS per chissà quale strana alchimia. Si raccolgono infatti 6 miliardi di euro dalle buste paga dei lavoratori dipendenti a beneficio di quel Fondo di solidarietà che è chiamato Assegni familiari ma ne vengono distribuiti a chi ha figli solo 5 miliardi. Da anni. Il 20% dunque, pur essendo soldi incassati ogni anno dallo Stato, non vengono dati a chi ne ha diritto. E’ come se fai una raccolta fondi per la fame nel mondo e poi ti trattieni il 20% per comprarti le tue caramelle. Una vergogna. Non serve un’altra Finanziaria per farlo, basta alzare il materasso e tirar fuori il denaro nascosto alle famiglie. Tra l’altro non servirebbe nemmeno l’Assegno Unico che, per come è stato progettato attualmente, salvo ripensamenti o cambiamenti, risulterà dannoso proprio, ancora una volta, per le famiglie più povere e più numerose. Pareva di saperlo.

Perché, al di là delle indagini sociologiche, psicologiche, antropologiche o pseudo-logiche che ci vengono illustrate ogni giorno sulla questione denatalità, quel che è certo è che le molteplici criticità che le famiglie si trovano ad affrontare oggi, sono direttamente collegate al costo dei figli, che più ne hai e più costano e ai limiti di un sistema fiscale non adeguatamente commisurato alle esigenze delle famiglie con figli. Fintanto che non sapremo guardare a quante bocche vengono sfamate da un determinato reddito, né la giustizia né l’equità troveranno casa tra le norme fiscali e tributarie italiane.

Mario Sberna

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