Il Paese è appeso nel limbo del pensiero imperscrutabile di personaggi che, inconsapevoli o perfino sprezzanti delle mille difficoltà che lo attraversano, giocano sulla pelle degli italiani. Siamo ad un punto tale per cui, crisi o non crisi di governo, la vicenda di queste ore non è materia astratta per esercitazioni politologiche o baruffe propagandistiche.
Al contrario, tocca non solo tematiche genericamente collettive, bensi è tale da mordere il vissuto quotidiano e l’equilibrio delle singole famiglie; in sostanza, entra davvero nella casa di ognuno.
Ad ogni modo, si fatica ad inquadrare questa condizione anomala e paradossale se anziché leggerla nella dimensione del battibecco giornaliero, non la si comprende come portato di una crisi profonda e datata del nostro sistema politico che giunge ora al suo approdo forse conclusivo.
Il bipolarismo forzoso che è stato imposto al Paese ha propalato ovunque semi di contrapposizione obbligata, di ostilità pregiudiziali, assunte a modello ordinario del confronto politico, cosicché, ad un certo punto, assumono la radicalità di atteggiamenti che non è più esagerato ascrivere a forme di odio, per quanto sia probabile che nessuno avrebbe scientemente voluto spingersi fino a quel punto.
Tutto questo è successo perché l’Italia è fortunatamente un Paese troppo articolato, variegato e plurale. In buona sostanza, anche se spesso non ci piaciamo, siamo troppo ricchi di storia, di culture e patrimoni locali, di indirizzi di pensiero, di sensibilità estetiche, di culture politiche, di tradizioni perche’ si possa comprimere l’Italia nella gabbia di una contrapposizione cosi’ stringente da dover necessariamente esplodere tale è la contraddizione tra la realtà viva del Paese e la polarizzazione che si è voluto addossarle.
Al punto che le linee di frattura e di scomposizione del sistema politico, oltre a compromettere la reciproca legittimazione delle due parti, hanno infranto anche i rapporti interni alle due alleanza di centro-destra e di centro-sinistra; nel caso poi del PD – e non c’è da stupirsi – addirittura lo stesso partito che ha subito due scissioni, prima a destra, poi a sinistra. Insomma, uno schianto da scontro frontale.
Ora ci stiamo avvicinando – questo almeno è certo – alle consultazioni regionali di maggio che, per quanto rilevanti, sono probabilmente l’ultimo atto di un sistema politico strutturalmente, intrinsecamente malato. Ed è sconfortante che anche autorevoli esponenti della sinistra la mettano così: “….o di qua o di là….” , cercando – pro domo propria – di rabberciare il bipolarismo, senza riflettere che questa strategia – se è lecito chiamarla così – finisce per essere la miglior ciambella di salvataggio per uno che oggi naufraga nei marosi dei propri errori e potrebbe, invece, mostrarsi come il cavaliere senza macchia e senza paura che federa un nuovo centro-destra e conquista, anzi salva, il Paese di cui ha già eroicamente difeso i confini.
Ma, in definitiva, è possibile invertire questa tendenza ad un progressivo, cattivo e rancoroso declino della democrazia che al popolo italiano e’ costata anche il sacrificio di una guerra civile di riscatto e di liberazione, dopo vent’anni di regime fascista e la sofferenza cruda della guerra?
Per quanto ci riguarda, non siamo interessati a conquistare una strapuntino in un sistema politico decotto, ma se mai ad offrire, nella consapevolezza dei nostri limiti, un concorso che sia utile a delineare possibilmente un paradigma di relazioni politiche effettivamente nuovo. E’ necessario che qualcuno assuma per sé, piuttosto che aspirare ad un ruolo di potere da conquistare nella “pugna” quotidiana, un compito di verità e concorra a riportare il confronto politico nell’alveo della realtà dei processi in corso e secondo comportamenti di reciproca onestà intellettuale.
Lo possono fare, ad esempio, le formazioni, pur di varia natura, che popolano quel sentimento di ripresa di un impegno politico dei cattolici, tra cui riteniamo possa avere un ruolo non secondario la presenza attiva di “Politica Insieme” e delle altre realtà associative che si riconoscono nel Manifesto dello scorso 30 novembre?
In primo luogo dobbiamo ammettere che – in un paese che voglia tutelare, promuovere, sviluppare secondo la cifra del momento storico, il proprio ordinamento democratico – la governabilità è una funzione della piena, effettiva rappresentanza democratica che trova nella centralita’ del Parlamento la sua legittima espressione ed il suo presidio.
Non è vero il contrario e, cioè, che sia una governabilità comunque acquisita a garantire la rappresentanza.
Questo significa due cose. Restituire l’Italia agli italiani, non certo nel senso in cui lo possa intendere Salvini, bensì nella pienezza del significato costituzionale e democratico della questione. Ridare, cioe’, vigore e smalto alla sovranità del popolo, così come la Costituzione la proclama e la esige. Investire, dunque, sull’intelligenza politica e sulla responsabilità degli italiani, attraverso una legge elettorale proporzionale che sia giusta ed inclusiva di ogni indirizzo civile, culturale e politico che concorra ad arricchire il pluralismo del Paese. In secondo luogo, significa riproporre con forza – al di fuori delle forme di omologazione reciproca e di fusione tra culture politiche differenti – la logica della “coalizione” come la concepì De Gasperi, quale strumento che, anzichè uniformare forze diverse, di fatto sacrificando la specificità di ciascuna, ne promuove un impegno ed un’azione unitaria, possibile solo a condizione che le differenze non siano occultate per mere ragioni di opportunismo tattico, bensì assunte consapevolmente.
Questo significa investire sulla maturità delle forze politiche che non e’ un dono di natura, ma un guadagno storico che ognuna acquisisce o meno in itinere, sapendo che anche qui finira’ per valere una legge di selezione darwiniana che, tutt’ al più in un paio di tornate, porrebbe ai margini del sistema forze che fossero incapaci o inadatte a percorsi di costruttiva mediazione politica.
In terzo luogo, è di fondamentale importanza considerare come, nella società globale, orientata al discorso pubblico ed alla reciproca legittimazione tra le parti, la politica debba essere considerata non più appannaggio esclusivo del cosidetto “palazzo”, ma piuttosto una funzione diffusa.
Faccia politica chiunque la sappia fare, cioè chi conosce e rispetta le regole del “pensare politicamente”, assumendo la società civile – soprattutto nelle forme del “civismo” organizzato – un ruolo attivo e diretto di lavoro e produzione politica, anziché porsi come prodromica o addirittura come riserva di caccia dei partiti tradizionali.
“Funzione diffusa della politica”’significa che è ovviamente fondamentale essere presenti, a cominciare dal Parlamento, nelle istituzioni. Eppure è la qualita’ della proposta e dei contenuti in cui si articola a far premio, sia pure agendo nel più vasto contesto civile.
Vuol dire che è importante la militanza nel senso classico del termine, ma nessuno e’ immune dalla responsabilità di concorre, per la propria parte, a quel vasto processo di maturazione politica e civile, senza la quale le moderne società sviluppate caracollano perennemente sull’alea della ingovernabilità.
Infine, è necessario superare la visione leaderistica che tuttora imperversa ovunque, recando gravi danni al Paese, a favore di quella della collegialità dell’ impegno di tanti che Politica Insieme cerca intanto di praticare al suo interno.
Domenico Galbiati
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