In uno scritto che risale alla meta’ degli anni ’90 – nel cuore di Tangentopoli, quando Martinazzoli impone quella transizione dalla Democrazia Cristiana al nuovo PPI che non lo convince – Luigi Granelli riprende questa frase di Don Sturzo: “Gli errori sono degli uomini, i meriti dell’idea”.
Granelli si riferisce espressamente a quel momento drammatico. Condanna, senza sconti e senza mezzi termini, la corruzione, ma non rinuncia a rivendicare il valore ed il merito di migliaia e migliaia di politici, amministratori, semplici militanti che pur sempre costituiscono il corpo e l’anima del suo partito. Si potrebbe dire che, fin d’allora, rilancia. Fin da allora intravede o almeno auspica un nuovo tempo in cui quell’ “idea” che, al di là dell’errore di molti, continua ad ispirare la generosità dei più, possa ribadire, alla luce del sole, in un nuovo contesto storico, in forme nuove, la sua autenticità. In qualche modo, fin da allora, scommette sulla continuità di un’idea, di una cultura, di un progetto o meglio sull’autonomia e sull’originalità intangibile delle sue radici, per quanto l’albero debba essere radicalmente potato e rinnovato.
Nella discontinuità di fasi temporali che, da Sturzo a De Gasperi e a Moro, segnano l’esperienza politica dei cattolici democratici, nelle pieghe di una vicenda complessa, a tratti gravata da limiti severi, ma esaltante nei suoi momenti migliori, soprattutto laddove si sono poste le basi della democrazia e della libertà degli italiani, persiste un nucleo valoriale che fonda ed esige la continuità di un’esperienza, straordinariamente ricca nella sua dimensione popolare.
Granelli non è un giacobino, ma un “intransigente” che non accetta compromessi sul piano morale. L’ ammonimento che, attraverso Luigi Granelli, ci giunse da Don Sturzo, come tratto importante della sua eredità politica, vale tuttora.
Afferma, infatti, che l’ “idea” ha in sé una vitalità inesausta, una forza intrinseca che persiste al di là del momento. Tanto più  se risponde a quel determinato contesto storico, ne esprime e ne sostiene una domanda impellente. Con il linguaggio di oggi, si potrebbe dire che l’ “idea”, cioè una “visione”, un’interpretazione del mondo che orienti e indirizzi i progetti e le azioni della politica è “generativa”, cioè, capace, in virtù della coerenza interna tra i vari profili che concorrono alla sua fisionomia, di offrire risorse morali, intellettuali, politiche insospettate e via via più avanzate.
Come afferma Victor Hugo: “Non c’è nulla di più forte di un’idea, il cui momento sia giunto”. Succede che gli errori degli uomini, anche quelli involontari, possano mettersi di traverso. Eppure, in quelle stringate parole di Don Sturzo si coglie il respiro di una mente aperta e di un cuore che invita alla speranza, intesa non come il sentimento vago di un’attesa generica, ma piuttosto come fiducia fondata.
L’ idea è l’ “ideale”, cioè un’ aspirazione carica di valori, un orizzonte che va oltre l’istante; è ciò che giustifica, motiva, sostiene un impegno non accidentale, ma che concerne il senso della vita per chi vi aderisce e lo assume in prima persona. Nel contempo, l’ “idea” rappresenta pure l’apparato logico e concettuale che rende l’ “ideale” concreto e lo definisce storicamente.
L’ idea non può ridursi ad un’astrazione disincarnata; ha senso in tanto ed in quanto si misura con il divenire quotidiano, cioè con quel dato di realtà in cui si condensano attese e sofferenze, speranze e limiti, successi e sconfitte che segnano la vita delle persone, di ciascuno e della comunità cui si appartiene. La dimensione trascendente dell’idea o dell’ideale giunge fino a noi e ci permette di costruire una nuova fase dell’impegno politico dei cattolici democratici. O meglio una fase “nuova”, cioè non tale solo in quanto temporalmente successiva alla precedente, bensì in quanto concettualmente diversa, nella stagione differente che le tocca vivere.
Senonché, dobbiamo, anzitutto, chiederci cosa siano quelli che Don Sturzo chiama i “meriti dell’idea”, cioè di una concezione dell’uomo, della vita, della storia, se non, prima di ogni altra cosa, il vanto di sottrarre la politica alle grinfie del relativismo per assicurarle un fondamento stabile e sicuro, un “baricentro”, come lo chiama, in un suo recente articolo, Giancarlo Infante ( CLICCA QUI ). Con una invenzione lessicale felice sia politicamente che sul piano dell’immagine e della comunicazione, in quanto aiuta a chiarire come il “centro” non sia quel luogo geometrico mediano esposto alle oscillazioni delle estreme, condannato ad una perenne e defatigante rincorsa al compromesso, ma piuttosto quel pilastro stabile, sicuro e ben fondato che conferisce al sistema politico complessivo una struttura  in grado di esprimere quella dialettica che oggi è sopraffatta da un contenzioso politico pregiudiziale.
Infatti, cos’è il “baricentro” se non il punto su cui un oggetto – o un sistema di oggetti – scarica la sua massa, cosicché se ricade entro la sua base d’appoggio è il suo stesso peso a conferirgli, in proprio, grande stabilita’?
Domenico Galbiati

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