L’assunto fondamentale è che non tutti i gruppi sociali sono uguali di fronte alla malattia. Per esempio, gli anziani con pregresse patologie, le donne, i lavoratori precari e in nero hanno vissuto rischi maggiori durante l’emergenza Covid-19e si sono ulteriormente impoveriti.

I motivi sono diversi, ma nel suo complesso il coronavirus appare come uno specchio che riflette la nostra incapacità di rispettare tutti gli esseri viventi e la perdita non solo del senso mistico, ma pure della prudente tutela dell’infinita bellezza del pianeta.

Ancora più preoccupante è il rischio che si discuta di tutto, meno di come evitare una nuova grande epidemia. Eppure, il salto di specie che ha causato la pandemia da Covid-19 non è stato il primo evento del genere e non sarà l’ultimo. Per questo sarebbe importante prevedere dove e come potrebbe avvenire il prossimo.

Dovremmo smettere di considerare la natura che ci circonda, tutto il pianeta come un immenso mercato da usare ed usurare fino a trasformarlo in una discarica globale. Se consideriamo persone, animali e foreste solo come materie prime per la nostra sopravvivenza, ci esponiamo a quel salto di per cui il SARS-CoV-2 si è spostato con gli animali dalle foreste per passare all’uomo.

Quali gruppi sono più vulnerabili?

Partiamo dai dati. L’85% dei decessi Covid è avvenuto tra gli ultra settantenni, mentre tra i più giovani il personale sanitario e tutti coloro che sono coinvolti in prima persona ad affrontare la pandemia sono stati duramente colpiti. Inoltre, più una persona è socialmente ed economicamente svantaggiata, più è probabile che soffrirà di malattie infettive, tutte in gran parte prevenibili. Il tema delle disuguaglianze di salute in “tempo di pace” è quindi di grande rilevanza.

Chi sta peggio è l’anziano solo, che non ha più il supporto delle reti famigliari e di volontariato o la possibilità di frequentare luoghi di culto e aggregazione.

Le persone con problemi di salute mentale rappresentano un altro grande gruppo vulnerabile, tanto più che accanto all’epidemia di COVID-19 è sorta un’epidemia parallela di paura, ansia e depressione.

Inoltre, dei 258 milioni di lavoratori migranti internazionali in tutto il mondo, il 95% risiede nelle cinque regioni dell’OMS più colpite. Questa categoria di lavoratori ed in particolare colf e badanti incontrano più barriere nell’accesso ai servizi sanitari nei paesi ospitanti rispetto ad altri migranti internazionali (ad esempio, studenti).

Le carceri sono poi epicentri di malattie infettive a causa della presenza di più fattori di rischio per l’infezione: la possibilità di rispettare il distanziamento sociale si scontra con il gravissimo ed atavico problema del sovraffollamento, in strutture spesso scarsamente ventilate e con condizioni igieniche non ottimali e un accesso più difficoltoso ai servizi sanitari.

Sono infine vulnerabili i bambini. Con la chiusura delle scuole, il mancato apprendimento ha conseguenze più gravi sui minori più svantaggiati. Anche la dotazione e le competenze informatiche per le lezioni a distanza sono ineguali (vuoi per scarsa copertura della rete, vuoi per carenze di strumenti, vuoi per carenze nella didattica), così come l’accesso alla mensa e ai programmi di vaccinazione. I genitori che lavorano devono lasciare i figli incustoditi o astenersi dal lavoro per stare a casa con loro.

I sistemi socio-sanitari del futuro

Sappiamo che le persone in condizioni socioeconomiche svantaggiate possono essere più esposte alle infezioni. Solitamente vivono in luoghi che favoriscono situazioni di vicinanza con altre persone e hanno maggiori probabilità di vivere in ambienti sovraffollate.

Quando le prime ondate della crisi passeranno, dovremo essere pronti con strategie globali a lungo termine e relativi investimenti in tutti i settori tra cui l’istruzione, la casa, il cibo, l’ambiente, il lavoro e le relazioni affettive.

Queste strategie dovrebbero rafforzare la promozione della salute, che non va intesa solo come assenza di malattia; ma come un sistema complesso fatto di cultura, di stili di vita, di rispetto dell’ambiente, di prevenzione, di protagonismo e cooperazione comunitaria e territoriale.

Numerosi potrebbero essere gli aspetti da migliorare per il prossimo futuro, tra i quali una concreta politica della prevenzione primaria e secondaria, un finanziamento congruo e strutturale al SSN, una sua rapida informatizzazione e digitalizzazione, e rendere i nostri sistemi sanitari territoriali sostenibili.

In questo contesto d’emergenza il nostro SSN è arrivato alla pandemia già significativamente compromesso: il nostro Paese aveva dimezzato i posti letto per i casi acuti e la terapia intensiva, passati da 575 ogni 100 mila abitanti ai 275 attuali.

Eppure, il nostro servizio sanitario pubblico resta, per qualità ed efficacia delle prestazioni sanitarie, tra i migliori al mondo, anche se gli indicatori qualitativi e quantitativi dei servizi sanitari regionali disegnano un sistema con molte disuguaglianze e inefficienze.

In Italia la tutela della salute è un diritto inalienabile del cittadino, garantito dall’Articolo 32 della Costituzione. Con la Legge 833 del 23 dicembre 1978, la cura dell’individuo (non solo del cittadino!) viene garantita tramite il Servizio Sanitario Nazionale.

Ma non basta la normativa: proteggere la salute dei cittadini è una responsabilità di tutti. La buona salute inizia nella comunità. In prospettiva dobbiamo, quindi, ripensare alla organizzazione dei nostri sistemi sanitari, alla loro sostenibilità e alla loro capacità di proteggere tutti in tempi di crisi.

Purtroppo in passato lo sforzo di razionalizzazione della sanità per partecipare al risanamento del bilancio pubblico ha seguito il principio di ricalibrare l’offerta sul solo fabbisogno ordinario. Questo è diventato il punto debole del SSN: gravi limiti di resilienza del sistema agli shock di domanda,

L’efficientamento del SSN deve sì continuare, ma deve essere pronto ad affrontare shock di domanda importanti: la pressione sugli ospedali è legata soprattutto al fatto che non c’è in questo Paese un’idea di salute di comunità e la prova più evidente è data dalla insufficiente organizzazione, più o meno marcata tra i diversi territori regionali, dell’assistenza territoriale e domiciliare.

Papa Francesco ha ben presente che la risposta alla pandemia è duplice:

“Se il virus dovesse nuovamente intensificarsi in un mondo ingiusto per i poveri e i più vulnerabili, dobbiamo cambiare questo mondo. Dobbiamo agire ora, per guarire le epidemie provocate da piccoli virus invisibili e per guarire quelle provocate dalle grandi e visibili ingiustizie sociali.”

Papa Francesco, citando san Giovanni Paolo II, non manca poi di indicare un criterio-chiave di autenticità cristiana:

 “I seguaci di Gesù si riconoscono dalla loro vicinanza ai poveri, ai piccoli, ai malati e ai carcerati, agli esclusi e ai dimenticati, a chi è privo del cibo e dei vestiti… Alcuni pensano, erroneamente, che questo amore preferenziale per i poveri sia un compito per pochi, ma in realtà è la missione di tutta la Chiesa”.

Aldo Morrone

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