Ci avviamo a superare un anno di misure restrittive all’economia e alla socialità per il contenimento della diffusione del coronavirus. Un anno difficilissimo per tutti, soprattutto per chi ha patito la perdita di persone care, ma per qualcuno anche per le conseguenze devastanti sul proprio lavoro o la propria attività.

Le chiusure delle attività commerciali sono figlie dell’emergenza creatasi all’improvviso nel febbraio 2020. Oggi è chiaro che non potremo ripristinare a breve una situazione di normalità, per cui si impone trovare misure di solidarietà differenti, che possano essere sostenibili per un tempo potenzialmente lungo, senza compromettere il futuro dei più giovani. Infatti, le misure di risposta adottate ad oggi, con i ristori e la cassa integrazione, sono fondate sul ricorso al debito pubblico, che ricade sulla parte più giovane della nostra società, coloro che hanno rinunciato alla scuola, allo sport, ad una vita che tutti ricordiamo intensa nella nostra adolescenza.

Non possiamo dunque chiedere ancora a prestito risorse alla prossima generazione. Per questa ragione è indispensabile attivare una solidarietà orizzontale, tra chi oggi ha conservato il proprio reddito e chi lo ha perduto, senza compromettere ulteriormente la futura capacità di creare valore.

Per questo credo giusto proporre un meccanismo, su base volontaria, con cui chi ha la fortuna di avere uno stipendio assicurato, cede per un certo tempo una quota, che ritiene possibile, per alimentare un fondo a sostegno di coloro che hanno perso il lavoro o che hanno l’attività bloccata dalle restrizioni imposte dalla gestione della pandemia. Per alimentare i ristori senza ricorrere al debito. È significativo infatti che nel 2020 sia cresciuto moltissimo il debito pubblico (+159 miliardi, fonte Banca d’Italia) e al tempo stesso i risparmi privati (+174 miliardi , fonte ABI).

La pandemia ha colpito tutti indistintamente sul piano sanitario, ma selettivamente sul piano economico. È indispensabile attivare dei meccanismi di redistribuzione e per quanto possibile gestire la situazione esistente senza lasciare l’onere ad altri.

In questa prospettiva Inps può certo attivare rapidamente un meccanismo per effettuare contestualmente le trattenute a chi acconsente di cedere parte del proprio stipendio e i versamenti a chi ha il reddito azzerato non per sua colpa o volontà, ma per le misure anti pandemia, sulla base delle disponibilità e delle richieste ricevute. Con la regolazione in automatico delle partite fiscali relative per tutti i soggetti coinvolti.

Se riusciamo ad attivare un meccanismo di solidarietà nazionale, che porta benefici a tutti, perchè ciò che non dessero ora i dipendenti pubblici, lo pagherebbero domani per gli interessi sul debito, risposta può essere positiva ed estesa. I dipendenti della pubblica amministrazione erano 3,2 milioni nel 2018, con un costo complessivo per lo stato di 165,9 miliardi (con un peso del 14% circa sul totale degli occupati, inferiore rispetto alla maggioranza dei Paesi europei, lontano rispetto al 29% della Svezia, al 28% della Danimarca e risulta inferiore anche al 22% della Francia).

Con un 10% del proprio stipendio da parte di un gran numero di dipendenti pubblici e, perché no, dei settori privati che non hanno subito contrazioni, è possibile disporre di importi significativi per i ristori e il sostegno al reddito. Senza chiedere aiuto ai nostri figli.

Tutti dobbiamo farci carico della situazione critica che stiamo affrontando e della tutela della salute, per cui è necessario trovare strumenti nuovi, adeguati alla situazione di contrazione del reddito che viviamo.

Solo una società solidale può uscire da una situazione che da emergenza si sta trasformando in un lungo periodo di sofferenza per tutti.

Arturo Lorenzoni

 

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