Cosa succede ai nostri cugini d’oltralpe? C’è ancora la “Douce France” che Charles Trenet cantava fin dai tragici anni dell’occupazione nazista?
Dopo i “gilets jaunes”, cui hanno reso omaggio due statisti del calibro di Di Maio e Di Battista, i francesi, i ceti popolari, il ceto medio, tornano in piazza, non solo a Parigi, e cedono alla tentazione della violenza. Si tratta dell’ esplosione di una protesta del tutto incentrata sulla riforma del sistema pensionistico proposto da Macron. Oppure, viene alla luce un malessere più profondo che, sia pure tenuto fin qui sotto traccia, tradisce il turbamento più grave, via via maturato nel tempo, di un Paese che si vantava d’essere figlio prediletto della Chiesa? Talmente orgoglioso di sé, della sua storia da rischiare, talvolta, forme di sciovinismo. Il Paese della “grandeur” e della “force de frappe”.
Perché questa veemente protesta i francesi, anziché farla esplodere nelle piazze, non l’ hanno sostanzialmente “parlamentarizzata”, come, in certa misura, è successo da noi con la Lega prima e poi con lo stesso Movimento 5 Stelle?
Ci ha preservata la sostanziale fiducia, pur con tutte le criticità che l’accompagnano, che il popolo italiano ha sviluppata nei confronti della rappresentanza democratica e del Parlamento? Non c’è, per quanto oggi minacciato da un vasto astensionismo, un sentimento democratico maturato nel nostro Paese, contro ogni apparente evidenza, e più che altrove?
Se ne puè trarre qualche insegnamento anche per coloro che decantano l’ordinamento istituzionale francese, l’elezione diretta del Capo dello Stato, il semipresidenzialismo, la legge elettorale a doppio turno? Non pagano, forse, i francesi lo sfizio, di sapere la sera stessa del voto chi ha vinto e chi ha perso per i cinque anni a seguire, con un tale coinvolgimento del Presidente, di fatto titolare della funzione esecutiva, nella contesa politica, da farne inevitabilmente una figura di parte? Non manca loro quella suprema magistratura dello Stato che, espressione di una larga maggioranza parlamentare, garantisce una terzietà ed una autorevolezza, ad un tempo, politica e morale che tiene insieme il Paese anche nei momenti più critici?
Quella “Quinta Repubblica” orgogliosamente incarnata nel ‘58 da De Gaulle, nel momento più dirompente della crisi di Algeria e dell’ OAS, è davvero un modello da imitare o, piuttosto, si avvia al suo capolinea, in quanto ordinamento incentrato su una forte personalizzazione e centralizzazione del potere che oggi poco o nulla ha a che vedere con le mille articolazioni della società complessa?