Si è spento da pochi giorni il prof. Emanuele Severino, forse ultimo filosofo ancora nominabile
come “metafisico”.

Il nucleo della sua metafisica è assai noto: un ritorno a Parmenide che prevede lo svelamento dell’illusorietà del divenire. Il divenire, il fatto cioè che le cose ora sono e ora non sono, è un cedimento ad un impossibile nichilismo, impossibile nella misura in cui l’essere è. Il divenire è dunque una follia. Per questa dottrina, implicante tra le altre cose l’impossibilità di una creazione dal nulla, si sa che Severino venne escluso dall’insegnamento dall’Università Cattolica.

Severino però si è anche occupato di temi politici. Tra tutti mi piace ricordare qui l’avvincente riflessione su tecnica e politica argomentata in varie conferenze e testi tra i quali il più recente “Il tramonto della politica” costituisce un riferimento sintetico.

Secondo l’autore, la morte di Dio è morte di ogni eterno, di ogni sicuro riferimento teoretico e
morale. È, ad esempio, un’iniziativa priva di senso il sancire un diritto naturale dopo la morte di
Dio. Postulare l’esistenza di un diritto naturale è postulare l’esistenza di una verità eterna alla quale
adeguarsi. Ma ciò non ha senso essendo morto definitivamente Colui che, Eterno, conferisce
consistenza ad ogni altro eterno.

Dunque, se lo scopo dell’esistenza singola e sociale dell’uomo non può essere l’adeguazione ad un principio assoluto, quale ne è lo scopo? Pare che questo scopo possa rintracciarsi nella tecnica. Perché? Perché la tecnica, per sua natura, non prevede alcun limite, alcun assoluto. La tecnica è ciò di cui la politica e l’economia pensano di servirsi ma, a ben vedere, è la tecnica a servirsi di esse per crescere in modo quasi parassitario.

In che modo avviene questo? Se l’accrescimento del capitale è il fine dell’economia capitalistica e l’incremento del consenso quello della politica democratica, diventano decisivi i mezzi per poter accrescere profitti e consensi. Così
diventa necessario sviluppare i mezzi. Questa è appunto la tecnica. L’accrescimento illimitato del mezzo, della potenza. Tale accrescimento è finalmente libero da ogni assoluto, ed è dunque coerente con l’uomo, l’uomo senza Dio, che ha preso coscienza in modo compiuto della morte di Dio.

L’uomo, dopo la morte di Dio, è uomo tecnico, uomo che dispone mezzi per raggiungere fini. La tecnica prenderà dunque il sopravvento tanto sul capitalismo quanto sulla democrazia.

Al di là delle premesse del pensiero di Severino che qui non si ha intenzione di discutere, è da
valorizzare la sua analisi in quanto invita a riflettere sul fatto che la tecnica appare come uno
strumento di cui servirsi ma in realtà, nella misura in cui si perde l’assoluto, diviene il fine in modo
necessario in quanto l’uomo identifica la sua essenza con essa: incrementatore di potenza, volontà
di potenza.

Pertanto, noi che partiamo da premesse differenti, confrontandoci col pensiero del prof. Severino
avvertiamo tutta l’urgenza di una politica e di una economia capaci di valorizzare i punti fermi che
ci vengono, in ultimo, dal Vangelo, il quale afferma l’impossibilità di essere liberi senza verità,
verità che non è né relativa né assoluta, ma relazione.

Dario Romeo

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