Ora si tratta di procedere ed allargare progressivamente il concorso alla nostra impresa di coloro che condividono contestualmente, dato che le due cose si tengono l’un l’altra, la visione cristiana che orienta la nostra azione politica ed il criterio dell’ autonomia che le conferisce la credibilità necessaria.
Non servono mirabolanti apparati organizzativi, né immaginifiche strategie comunicative. Non vendiamo un detersivo che più bianco non si può, bensì evochiamo una responsabilità. Serve la capacità di cogliere il respiro del proprio territorio, l’affanno di cui soffre, i germogli di rinascita che appena manifesta, quasi invocassero di essere riconosciuti ed incoraggiati. Come per le persone, anche per le comunità, i momenti della malattia hanno sempre in sé, sia pure occultata nelle pieghe della sofferenza, una potenziale metanoia e noi dovremmo candidarci ad essere, a cominciare dalle nostre rispettive realtà locali, gli iniziatori di una nuova speranza.
La collegialità del nostro impegno trova, anzitutto qui, la sua piena espressione. C’è lavoro per tutti e per ciascuno.
Ci vuole tempo, pazienza, credibilità personale per tessere una tela che sia robusta al punto di diventare non solo un vincolo tra coloro che nel partito militano, ma pure un tralcio di tessuto connettivo che concorre a tenere insieme la collettività come tale. Un partito non si regge su una convenzione sociale fredda ed asettica, ma su un rapporto fiduciario tra persone reciprocamente affidabili, che vicendevolmente si stimano.
E’ un’espressione alta di quell’amicizia sociale, che accompagna la fratellanza, cui Papa Francesco ha dedicato la sua terza enciclica. Non è stato facile, a cominciare dal punto di vista organizzativo, gestionale e logistico – dopo la presentazione del Manifesto ( CLICCA QUI ), lo scorso 30 novembre – arrivare, in meno di un anno, all’Assemblea fondativa del nuovo partito, considerando il tempo di perdurante distanziamento in cui abbiamo vissuto anche la nostra “due giorni” ed i lunghi mesi di lock-down, che pure non hanno mai interrotto il nostro lavoro programmatico, che,nei tredici gruppi tematici, hanno visto all’opera almeno trecento amici da ogni Regione del Paese.
Chi temeva un arroccamento solitario di Politica Insieme è stato largamente smentito e lo dimostra l’aggregazione di decine di gruppi e movimenti locali, nonché di esponenti impegnati in rilevanti espressioni del vasto mondo sociale e del volontariato di area cattolica.
Liberare l’impegno politico dei credenti dalla subordinazione, ora alla destra, ora alla sinistra, che ne ha soffocato il respiro negli ultimi tre decenni o quasi, è necessario per l’equilibrio del Paese, oltre a rappresentare per noi un dovere ed anche una forma di rispetto nei confronti di noi stessi e della secolare storia del movimento cattolico.
Sappiamo di aver accettato una sfida per niente scontata e di andare incontro ad una scommessa difficile, che ha bisogno del concorso di tanti amici. Anche perché, pur consapevoli dei nostri limiti, abbiamo collocato in alto l’asticella della nostra ambizione. Lo spartiacque del secolo, l’ingresso addirittura nel terzo millennio dell’era cristiana, in fondo, danno l’idea che si apra una fase storica davvero nuova, come se la stessa pandemia rappresentasse un crinale, al di là del quale si aprono spazi nuovi e prospettive inedite. Se questo è lo spirito del tempo, la cosa riguarda anche noi.
A noi tocca fare fedelmente la nostra parte, sapendo che non tutto, anzi forse ben poco, è nelle nostre mani.
Consegnate alla storia le esperienze del PPI di Sturzo e della DC di De Gasperi e Moro, l’ una e l’altra grandi testimonianze del loro tempo proprio e straordinari momenti del concorso che i cattolici hanno dato alla conquista della libertà, alla costruzione di un sicuro ordinamento democratico, allo sviluppo dei fondamentali diritti sociali, ci si incammina ora in un terreno inesplorato, che ci accompagna dentro la terza fase nella vita del cattolicesimo politico, democratico e popolare.
Detta così, ci rendiamo conto che si tratta di un’impresa titanica e sarebbe una grave supponenza pensare di potercela fare da soli. Senonché, a noi spetta seminare, avviare un processo, favorirne e custodirne una progressione che non dipende solo da noi e se l’impresa avrà successo, altri ne mieteranno i frutti.
Ciò che più conta è preservare i capisaldi della nostra iniziativa:
*chiara ed esplicita fedeltà all’anima cristiana del nostro progetto politico, entro un partito aconfessionale, che accoglie pienamente la lezione sturziana di laicità e si apre, anzi incontra i non credenti, in quelle “periferie” che anche la politica contempla ed in cui insistono molti laici che guardano con interesse al mondo della fede, in cui scorgono un deposito di valori e la possibile conquista di un senso compiuto della vita, smarrito altrove. Si tratta, infatti, di esprimere i valori che , come credenti, abbiamo gratuitamente ricevuto in uno con la fede, secondo un linguaggio che ne dispieghi e ne offra la ricchezza umana e civile che è ad essi connaturata ed intrinseca, così da renderli attraenti ed accessibili anche per chi non li può assumere in un’ottica religiosa che gli appartiene;
*”autonomia”, non solo di schieramento, ma, anzitutto, di pensiero politico e di elaborazione programmatica. Peraltro, sapendo che autonomia non significa né separatezza, né indifferenza al confronto con le altre forze in campo;
*competenza, che, di questi tempi, si commenta da sola;
*no al “riciclo” di soggetti o pezzi di una classe dirigente che ha già fatto la sua parte nelle sedi istituzionali, bensì formazione e sostegno ad una classe politica di giovani e nuovi esponenti;
*no ad una concezione “leaderistica” del partito, ma cura attenta e premurosa di una collegialità che sia garanzia di democrazia di democrazia interna e tramite di partecipazione anche per ambienti culturali e sociali vicini alla nostra impresa, se pur non militanti.
Pensare ad un partito nuovo significa, in ogni caso, ricercarne e riconoscerne quella dimensione autenticamente “popolare” che è tutt’uno con la sua stessa ragion d’essere e si ritrova nel suo radicamento territoriale che può essere arricchito, ma in nessun caso sostituito, dalle modalità di comunicazione da remoto, in ogni caso di grande utilità.
Coltivando, infine, quella dimensione etica dell’impegno a servizio del “bene comune” che esige un sentimento disincantato di gratuità, di disinteresse personale, di aperta generosità, in carenza del quale anche la lucida razionalità dell’analisi e del giudizio politico rischia di appannarsi.
Domenico Galbiati

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