Con il probabile avvento di Olaf Scholz alla carica sinora detenuta da Angela Merkel, le prospettive della Germania appaiono – per quel che riguarda la situazione politica interna – quelle di restare nei prossimi anni un paese prospero e ben amministrato. E ciò nonostante un quadro politico piuttosto frammentato, ed una molteplicità di possibili alleanze governative, che potrebbero far temere una certa instabilità. Anche perché l’etichetta socialista del partito uscito dalle elezioni con il maggior numero di consensi non può certamente far prevedere, o temere, nessuna avventurosa riforma nel quadro dei rapporti tra i ceti sociali.

Specie se si pensa al fatto che è stato proprio l’ultimo cancelliere socialista Gerhard Schröder prima della lunga stagione di Mutti Angela,  a varare una riforma – nota come Hartz-Konzept – del sistema occupazionale e previdenziale che fa sì che oggi, nella Repubblica federale di Germania, vi siano persone la cui ora lavorativa viene retribuita con un solo euro. E che nessuno contesta veramente un sistema educativo che stabilisce definitivamente il destino professionale e la collocazione dei giovani nella società, già quando questi hanno appena attorno agli undici anni. Con buona pace della giustizia sociale e dell’eguaglianza dei punti di partenza.

La cattiva performance sia della estrema destra che della sinistra di die Linkeviene sta a completare questo quadro di sostanziale stabilità. Il partito della sinistra radicale ha infatti registrato il peggior risultato in molti anni, mentre Alternative fur Deutschlandha ha preso meno voti che nel 2017.

Minimizzare il cambiamento

Ma difficilmente ciò può essere considerate una sorpresa. E’ normale che in un quadro politico che offre molteplici scelte tra partiti con possibilità di successo, le posizioni estremiste, o semplicemente di bandiera, perdano capacità attrattiva e consistenza elettorale, e che il loro voto converga verso il “voto utile”, cioè verso il centro. Quel che ne è conseguito è una situazione che – come ha riconosciuto lo stesso Spiegel– “lascia prevedere parecchie settimane di laboriosi negoziati nel corso dei quali una varietà di diverse coalizioni verranno prese in considerazione.” E poi una nuova fase di politica interna che non sarà più caratterizzata dalle “forti e stabili coalizioni a due partiti”. La maggior parte delle future coalizioni di governo dovranno probabilmente includere tre partiti. Rendendo così la ricerca di un compromesso molto più difficile di quanto esso non sia mai stato in passato.

Contrariamente a quanto affermato da Olaf Scholz  (“I cittadini di questo paese desiderano il cambiamento”), nel momento in cui rivendicava per se stesso la carica di Cancelliere,  quel che è apparso evidente nell’elettorato tedesco è una forte voglia di continuità, e  di minimizzare il cambiamento imposto dal ritiro della Cancelliera. Così come anche evidente è una buona dose di rimpianto da parte degli elettori per il fatto che la prima donna che abbia mai governato il loro paese sia stata costretta, per ragioni di salute, ad abbandonare un ruolo politico in cui avrebbe potuto essere assai utile al proprio paese, nel quadro del cambiamento che si profila, o meglio che già pienamente in atto, negli schieramenti e negli equilibri internazionali, e di conseguenza in quelli europei.

In questo ultimo ambito è infatti facile – ed anche piuttosto allarmante – notare la chiara divergenza che appare, come conseguenza degli ultimi eventi nelle relazioni tra paesi occidentali, tra la Germania e la Francia Che sono poi i due più importanti membri dell’Unione Europea. Anzi, i poli di un “asse” che ha sempre preteso di tracciare la rotta del Vecchio Continente.

Divergenze europee

Dal lato tedesco, oggi, la prematura chiusura della carriera politica della Cancelliera, ha coinciso con uno sforzo – controcorrente rispetto all’evoluzione del sistema mondiale delle alleanze – per preservare i rapporti commerciali con la Cina, che negli ultimi anni sono diventati più intensi e importanti che mai. Basta pensare al fatto che nel 2005 solo una piccola frazione delle esportazioni tedesche era relativa alla Cina; l’anno scorso, però, questa ha superato gli Stati Uniti come principale partner commerciale della Germania. Come ha notato il più importante quotidiano d’oltre oceano, “la Cina è di gran lunga il principale mercato per le aziende del settore automobilistico, Volkswagen,  Mercedes Benz e BMW. Le aziende tedesche hanno fatto affari d’oro attrezzando le fabbriche cinesi con macchine utensili e altre”.

Assai diverso, a dir poco, appare invece la situazione della Repubblica francese, il cui presidente, dopo aver detto che la Nato, un’Alleanza che continua a reclutare in Europa nuovi membri tra i paesi dell’ex-blocco sovietico, era “brain dead”, “en état de “mort célébrale”, si è spinto sino a richiamare il proprio ambasciatore presso gli USA, quasi dimentico del fatto che questi sono il principale membro dell’alleanza cui l’Europa occidentale ha per mezzo secolo affidato la propria sicurezza militare. E nella prassi consolidata, il richiamo dell’Ambasciatore è un passo dopo il quale c’è soltanto la rottura delle relazioni diplomatiche.

Certo! Al gesto di rabbia impotente del presidente di una di una media potenza che –  come disse de Gaulle – “non ha i mezzi delle proprie ambizioni” ha fatto seguito una conversazione telefonica “di pacificazione” col collega americano Biden; ma questa si è conclusa con un comunicato dalla cui cautela si evince chiaramente il carattere duraturo dell’attuale ondata di gelo tra i due paesi. Ed è un fatto che la “furia francese” non è tanto e non è solo una reazione alla perdita di un contratto miliardario, ma il fatto di essere stata esclusa da un nuovo patto militare cui Parigi vorrebbe partecipare ad ogni costo. Ma che ha come obiettivo quello di soffocare l’economia della Cina, cioè proprio il paese con cui l’altro partner del cosiddetto Asse franco-tedesco vuol continuare a fare i suoi lucrosi affari. Un pasticcio politico diplomatico che offre una visione estrema delle divergenze politiche in Europa.

Basterebbero questi due esempi per convincersi che l’Europa è ormai in preda a tendenze centrifughe che separano sempre più i membri di quello che dovrebbe essere l’asse portante dell’Unione. E che la Germania abbia in realtà dato, in l’ambiguo risultato di questa consultazione elettorale, il segno di essere smarrita tra desiderio di continuità e necessità di cambiamento. A condizione però di non tener conto del fatto evidente che la posizione della Germania è – nei fatti – di gran lunga più solida e realistica di quella francese. E che la propensione per la tendenza all’apertura verso la Cina (anziché all’ostilità), così come la propensione a favore degli affari (anziché della guerra), rispondono fortemente ad esigenze che sono presenti anche negli altri paesi membri dell’Unione europea

E indubbio infatti che in un continente privo di materie prime, tecnologicamente e culturalmente assai sofisticato e con una pluricentenaria tradizione di apertura sul resto del mondo, non solo la Germania, ma neanche l’Italia, né la stessa Francia possono pensare ad una chiusura delle proprie frontiere, o a politiche sistematiche di sanzioni come quelle già oggi applicate contro la Russia, dannosissime per l’Italia. E men che mai avrebbero interesse a partecipare alla guerra commerciale già in atto contro quello che è il principale mercato mondiale: la Cina.

 Giuseppe Sacco

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