Segue la prima parte pubblicata ieri (CLICCA QUI)

Dubbi di costituzionalità della norma

Anche alla luce dei provvedimenti innanzi richiamati, non a caso la Dottrina prevalente denuncia la incostituzionalità dell’art.129 Bis C.P.P. e sulla quale si attende una decisione della Corte Costituzionale ovvero una modifica da parte del Legislatore.

Sta di fatto che la norma contestata attribuisce una sorta di “potere” di iniziativa all’A.G. per spingere l’indagato/imputato e la Vittima ad intraprendere un percorso ripartivo ma, nel contempo, un potere di veto che mal si concilia con la volontà del Legislatore di intro- durre una composizione amichevole del procedimento penale che giovi alle ragioni morali ed economiche delle Vittime del reato, sulla base di una volontà unanime manifestata senza alcuna costrizione di sorta.

Si teme, inoltre, che così procedendo, l’A.G. ,sia stata dotata di un improprio “strumento di pressione” sulle legittime opzioni di strategia difensiva spettanti all’imputato e la convinzione che risultino violate la presunzione di innocenza, la parità tra le parti e il diritto di difesa, costituzionalmente tutelati, oltre alle ragioni delle Vittime coinvolte senza alcun potere di impugnativa del provvedimento di ammissione allorché appaia lesivo delle ragioni delle stese, per le ragioni innanzi esposte. . .

Ne costituisce riprova il fatto che compete solo al Giudice (o al Pubblico Ministero) “valutare, in positivo, se il programma di Giustizia Riparativa , prospettato dall’imputato,  possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto di reato ed escludere, in negativo, che l’invio possa comportare pericolo concreto per gli interessati o frustrare l’acquisizione della prova in funzione dell’accertamento dei fatti” (v. Ufficio del Massimario della Cassazione, pag. 321) fermo restando che, stante il principio di tassatività delle impugnazioni, non è possibile proporre alcun rimedio avverso un siffatto provvedi mento, atteso che il precetto normativo in esame non ne prevede alcuno(!!).

Va pure ricordato che la norma regolatrice non prevede neppure alcun diritto di opposi zione della Vittima,neppure in presenza della gravità del reato commesso dall’imputato,il che rende possibile fruire del procedimento “inaudita altera parte”con grave violazione dei diritti alla stessa spettanti e, come tali, riconosciuti dalla stessa Riforma e dalle Direttive Europee.

Inoltre, altri commentatori mettono in dubbio, in base ai principi costituzionali del c.d. Giusto Processo, la legittimità della scelta legislativa di rendere operante la normativa già nella fase della cognizione, vale a dire prima che la responsabilità  per il reato contestato sia stata accertata in via definitiva e, comunque, non in base ad un ravvedimento effettivo dell’ imputato, prima o dopo la condanna e la espiazione di parte della pena nei casi più gravi che suscitano allarme sociale, e comunque  mancando nella norma un apposito richiamo in tal senso.

Una tale opinione può, invero, ritenersi fondata anche sulla base della previsione, contenuta nell’129-bis C.P.P, laddove la norma consente all’Autorità Giudiziaria procedente (Pubblico Ministero e Giudice) di favorire ovvero negare l’accesso alla Giustizia ripartiva a giudizio insindacabile degli stessi, come diremo oltre.

Si sarebbe, comunque, in presenza di una disparità di trattamento ex art 3 della Cost. tra l’imputato ed i familiari della vittima, che lascia alquanto perplessi sulla legittimità costituzionale della decisione, ed in spregio al principio di parità fra le parti ex art.111 comma 2 della Costituzione, che disciplina il c.d. Giusto Processo(!!).

Per contro, va sottolineato, in proposito, che la Direttiva UE 2022/29 riconosce alla Vittima numerosi diritti in tutto l’arco processuale, inclusa l’esecuzione penitenziaria, dal diritto ad ottenere dettagliate, comprensibili informazioni sul proprio caso al diritto di accesso ai servizi di assistenza, dai numerosi e significativi diritti di partecipazione al procedimento penale e al diritto ad una variegata protezione.

In particolare, la Direttiva riconosce alla vittima anche «il diritto a garanzie nel contesto dei servizi di giustizia riparativa» tra cui andrebbe certamente ricompreso il diritto ad impugnare un provvedimento di ammissione allorquando esso leda gli interessi della Vittima atteso che presupposto fondamentale per l’accesso al procedimento di giustizia ripartiva è quello del libero consenso manifestato dalle parti.

In tale prospettiva, la Direttiva riconosce espressamente che «i servizi di Giustizia Riparativa  possono essere di grande beneficio per le vittime» ed estende sia la definizione di «vittima di reato che alla tipologia di detti servizi ma impone agli Stati membri di adottare misure tali da garantire che «la vittima» che «scelga di partecipare a procedimenti di Giustizia Riparativa» sia «protetta» dalla «vittimizzazione secondaria o ripetuta».

In tal senso molti dubbi sulla legittimità della normativa sono stati manifestati dal Tribunale di Genova con Ordinanza del 21/11/2023 in relazione alla condizione della Vittima nel procedimento.

In proposito per il Giudice Genovese non mancano rilievi di incostituzionalità della normativa con la Carta Costituzionale, con le norme di fonte sovranazionale, con le stesse indicazioni provenienti dalla legge delega 17 ottobre 2022, n. 134.

Infatti,l’art.129-bis C.P.P.stabilisce che la decisione in ordine all’invio ad un Centro di Giustizia Riparativa debba essere preceduto dall’ascolto delle parti e dei difensori nominati mentre la vittima, per tale dovendosi intendere quella definita dall’art. 42 d. lgs. n. 150, è sentita solo se necessario (!!)benché la procedura sia fondata sul consenso delle stesse.

Tale impostazione, appare al Tribunale ligure come una palese violazione della direttiva 2012/29/UE laddove, all’art. 12, è chiaramente specificato che «si ricorre ai servizi di Giustizia Riparativa  soltanto se sono nell’interesse della vittima, in base ad eventuali considerazioni di sicurezza, e se sono basati sul suo consenso libero e informato, che può essere revocato in qualunque momento».

Sicché, ad avviso dei Giudici genovesi, la decisione del Legislatore italiano di poter rinunciare al parere della vittima, tranne sei costituita parte civile, violerebbe la normativa europea (!!).

Al tempo stesso, per lo stesso Giudice, ad essere violata sarebbe pure la Costituzione, dal momento che la legge n. 134 del 2022 aveva espressamente richiamato tale Direttiva tra le fonti di cui tener conto nella costruzione della disciplina organica della restorative justice, con un eccesso di delega per inosservanza degli art. 76 e 77 Cost.

Il Tribunale sottolinea che il fatto che l’A.G. possa decidere senza acquisire il parere della vittima, quando quest’ultima abbia scelto di non presenziare come parte al procedimento penale, non è per definizione una sottovalutazione del suo ruolo e dei suoi diritti.

Si potrebbe ritenere che, alla base dell’opzione normativa, vi sia la volontà di lasciare al Giudice la valutazione dell’opportunità di ascoltare chi abbia preferito rimanere fuori dal processo, per esempio quando dovesse sembrare che tra lo stress legato alla partecipazione ad un’udienza penale e l’interesse a comunicare la disponibilità ad un percorso di riconciliazione con l’imputato, prevarrebbe il primo.

In generale, il consenso delle parti allo svolgimento del programma viene raccolto alla prima riunione indetta dal mediatore (art. 54 d. lgs. n. 150),tuttavia, data l’informalità della procedura, si può ritenere che, una volta ricevuta la convocazione, la vittima possa semplicemente decidere di non presentarsi con ciò manifestano il suo dissenso r non già un consenso implicito(!!).

Ciò non di meno, si potrebbe anche pensare di modificare l’art. 129-bis C.P.P. prevedendo che la vittima (che non sia parte civile)vada obbligatoriamente convocata per essere sentita, fermo restando che potrebbe scegliere di non presentarsi e in nessun caso potrebbe essere obbligata a comparire e a rispondere, a meno che non fosse indicata e ammessa come testimone, dunque solo in questa veste.

Occorrerebbe prevedere, comunque, che l’Autorità Giudiziaria debba provare a sentirla è una soluzione tutto sommato equilibrata che, valorizzando l’ascolto, potrebbe anche indurre a ripensare il controverso impiego della vittima surrogata.

Se, infatti, de iure condendo, si dovesse prevedere come necessario il parere della vittima al momento della decisione dell’invio dell’imputato ad un Centro, a fronte di una indisponibilità dichiarata o implicita (dedotta cioè dalla mancata comparizione all’udienza), l’A.G., potrebbe valutare più consapevolmente se disporre comunque l’invio per svolgere un programma con una vittima aspecifica ovvero rinviarlo in attesa di un momento più propizio per il dialogo.

In definitiva, la negazione del diritto ad opporsi al provvedimento del Giudice costituirebbe, di per sé, un caso di vittimizzazione secondaria.

Va sottolineato, comunque, contrariamente a quanto affermato in senso contrario dalla Suprema Corte, che, nel diritto ad impugnare la decisione, occorre sempre distinguere tra presupposti di ricevibilità e procedibilità, da una parte, e presupposti di ammissibilità, dall’altra, con il presupposto della competenza del Giudice adito.

La categoria dei presupposti di ammissibilità, o condizioni dell’azione, comprende le “condizioni la cui mancanza impedisce al giudice (…) di esaminare la fondatezza della domanda proposta dalla parte (…).

Il disconoscimento dell’esistenza delle condizioni dell’azione dà luogo ad una pronuncia di inammissibilità che, a differenza di quanto accade nell’ipotesi di accertamento dell’assenza di un presupposto processuale, ”preclude ulteriori possibilità di ottenere una decisione sul merito della domanda, almeno finché tale esistenza non si verifichi”.

Tra questi, vanno annoverati la legittimazione ad ottenere la decisione, l’interesse alla decisione, la mancanza di una rinuncia alla proposizione del ricorso( o di una acquiescenza all’atto impugnato).

Pertanto, il diritto a impugnare un provvedimento in tema di ammissione alla Giustizia Riparativa  andrebbe sancito nella norma istitutiva non solo per l’imputato ma anche per la vittima, come si evince dalla Direttiva innanzi citata.

Per tali ragioni è opinione comune, in Dottrina, che il vulnus arrecato ai principi costituzionali sia così grave da risultare non rimediabile se non rimuovendo in toto la impostazione legislativa (!!.)

Infine, come è stato affermato da alcuni Autori(v. ex multis M. Bouchard e F.Fiorentin, Sulla Giustizia Riparativa, in Sistema Penale) la Legge Delega della Riforma Cartabia (art 18 lett. c) esclude che possano esserci limitazioni nell’accesso ai programmi di giustizia riparativa in relazione alla fase o allo stato del procedimento penale, e indica al Legislatore delegato la possibilità di offrirli anche durante l’esecuzione della pena.

L’accesso ai programmi di Giustizia Riparativa  è, tuttavia, sempre subordinato all’iniziati va dell’Autorità Giudiziaria competente ma anche al consenso delle parti che, in taluni casi gravi, potrebbe mancare, come abbiamo innanzi ricordato.

Ed è questo il vero punto dolente della Riforma in atto(!!).

Conclusioni

In  materia di Giustizia Riparativa, l’accesso ai programmi non è automatico ma richiede una valutazione discrezionale del Giudice che, tenendo conto dell’utilità del percorso e dell’assenza di pericoli per i partecipanti, decida se avviare o meno un programma di Giustizia Riparativa.

Tuttavia, non è un diritto automatico dell’imputato o della vittima, ma una possibilità che il giudice può concedere poiché è una decisione discrezionale del giudice, che valuta caso per caso.

Al Giudice incombe l’onere di valutare se il percorso di Giustizia Riparativa possa portare a benefici per le parti coinvolte e se non ci siano rischi per la loro sicurezza o integrità.

L’accesso ai programmi di Giustizia Riparativa richiede, inoltre, il consenso unanime libero e informato sia dell’autore del reato che della vittima che non può essere raccolto dal Mediatore nominato  sebbene svolga un ruolo chiave nel facilitare la comunicazione e la risoluzione del conflitto, senza alcun potere decisionale.

La Giustizia Riparativa si inserisce, ub tal modo, nel sistema penale, ma non lo sostituisce e può avere un impatto sul processo penale, ad esempio, sulla determinazione della pena ovvero ai fini del ristoro dei cambi subiti dalla vittima o dai suoi familiari.

In definitiva, il Giudice ha un ruolo centrale nel decidere se avviare un programma di Giustizia Riparativa, bilanciando l’opportunità del percorso con le esigenze del caso specifico anche se, a volte, le sentenze non rispecchiano l’Opinione Pubblica, come è stato affermato in questi giorni.

Gli assassini di Giulia Tramontano e Giulia Cecchettin sono stati entrambi condannati all’ergastolo: se nel verdetto sono state escluse alcune aggravanti è per precise ragioni giuridiche, non certo per ridurre il «peso» del delitto e della pena comminata dai Giudici.

Appare scandaloso se la sentenza non è di condanna o se è di condanna, ma non è al massimo della pena; e se non lo è, allora, scandaloso è se la stessa escluda una circostanza di particolare rilievo tra quelle previste dal Codice di Rito.

Le polemiche divampano perché in uno dei verdetti sull’uccisione di Carol Maltesi non viene riconosciuta l’aggravante dei motivi futili e abietti ed un’altra volta perché la condanna dell’assassino di Giulia Cecchettin non comprende l’aggravante della crudeltà a dispetto delle decine di coltellate, e da ultimo, perché l’ergastolo inflitto all’assassino di Giulia Tramontano non comprende anche l’aggravante della premeditazione.

Ed è questo anche il nocciolo del perché di queste polemiche, del tutto comprensibili se provenienti dalle persone che si sono viste portare via una persona cara, trovino terreno fertile in chi le rilancia e cavalca per motivi ben più prosaici.

Ne scaturisce  una tendenza a voler far decidere il processo al televoto di cittadini illusi di sapere ciò che il processo ha ricostruito e dei parenti delle vittime, tanto più strumentalizzati nel loro dolore quanto meno aiutati a comprendere il significato di una sentenza sull’onda del clamore mediatico che affligge la Giustizia in taluni casi, come, ad es, il caso Garlasco.

Mario Pavone

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