È notizia di ieri: il Presidente americano Donald Trump ha deciso di imporre dazi del 30% su tutti i prodotti e macchinari esportati negli Stati Uniti dall’Unione Europea.
Un provvedimento duro, annunciato da tempo, ma che ora prende la forma concreta di una mannaia commerciale che rischia di tagliare le gambe all’intero comparto industriale europeo e, in particolare, a quello italiano. Una decisione tanto grave quanto rivelatrice: l’America di Trump non fa sconti a nessuno, neppure ai suoi “alleati”, neppure a quei politici italiani che si professano amici del tycoon, neppure a chi – con cieca devozione – ha sperato in una “sovranità ritrovata” all’ombra del paese a stelle e strisce.
Industria, manifattura, agroalimentare: il cuore produttivo italiano sotto attacco
I dazi decisi da Washington colpiranno in modo trasversale i settori trainanti dell’economia italiana. Le nostre esportazioni verso gli Stati Uniti ammontano a oltre 60 miliardi di euro all’anno: vi rientrano macchinari di precisione, prodotti chimico-farmaceutici, componentistica per l’industria automobilistica, tessile di alta qualità, ma anche agroalimentare d’eccellenza, vini, formaggi, conserve e olio d’oliva. Imporre un balzello del 30% significa rendere improvvisamente meno competitivi questi prodotti su uno dei mercati più strategici del mondo.
Un disastro annunciato, che penalizza in modo particolare la nostra manifattura, fatta di piccole e medie imprese che esportano all’estero con grande fatica e con margini di guadagno sempre più ridotti. E se al Nord si temono ripercussioni sull’industria meccanica e sulla componentistica, nel Mezzogiorno – dove il tessuto produttivo è più fragile e meno attrezzato – questi dazi rischiano di provocare una vera e propria emorragia occupazionale. Le aziende meridionali che avevano trovato sbocco sui mercati americani grazie alla qualità dei loro prodotti si troveranno ora a competere in condizioni di palese svantaggio. E questo, in una regione già colpita da disoccupazione, spopolamento e scarsi investimenti pubblici, è un colpo gravissimo.
Il costo sociale ricadrà sui ceti medi e popolari, non sui privilegiati
Al di là delle conseguenze economiche immediate, c’è un altro aspetto che va messo in luce con forza: questi dazi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non graveranno sulle spalle delle élite economiche, ma si abbatteranno come una scure sulle classi medie e sui ceti popolari. Saranno loro a pagare il conto: i lavoratori delle imprese esportatrici, gli artigiani, i coltivatori diretti, i dipendenti della filiera agroalimentare, i piccoli imprenditori del Made in Italy. In nome di una presunta tutela dell’industria americana, Trump lancia un attacco frontale a un’economia che, pur tra mille difficoltà, tiene ancora insieme il tessuto sociale italiano.
Eppure, nonostante l’evidenza, i sovranisti nostrani continuano a osannare il leader statunitense come un faro da seguire. Salvini, Meloni e Tajani – pur con sfumature diverse – hanno guardato a Trump con ammirazione, quasi che bastasse gridare “prima gli italiani” per essere rispettati nel mondo. La realtà, purtroppo per loro (e per noi), dice altro: in uno scenario globale dominato da nazionalismi aggressivi e guerre economiche, i sovranismi deboli vengono travolti dai sovranismi forti.
Il boomerang del “prima noi” si abbatte sull’Italia
Il paradosso è tutto qui: mentre i populisti italiani predicano la chiusura delle frontiere, il ritorno alla lira e l’uscita da Bruxelles, dall’altra parte dell’Atlantico il vero sovranismo – quello americano – non esita a sacrificare gli “alleati” sull’altare dell’interesse nazionale.
È la dimostrazione più lampante che certe teorie, una volta esportate e applicate, diventano pericolose non solo per gli altri, ma anche per chi le ha propagate. I dazi di Trump smascherano una volta per tutte l’illusione sovranista: l’idea che basti alzare muri per proteggersi, che basti urlare slogan per difendere l’interesse nazionale.
In un mondo interconnesso e globalizzato, l’unica vera sovranità possibile è quella condivisa. È l’Europa, non l’America di Trump, la casa naturale dell’Italia. È l’Unione, non i nazionalismi, lo spazio dove possiamo costruire alleanze, regole comuni, protezioni equilibrate e diritti condivisi.
I dazi sono solo l’inizio di un possibile effetto domino, e ci ricordano quanto sia fragile la nostra economia e quanto pericoloso sia affidarsi a scorciatoie ideologiche. Il Mezzogiorno, ancora una volta, rischia di essere il primo a pagare. Ma a pagare saranno tutti quegli italiani che si erano illusi che l’amico americano potesse essere il garante dei nostri interessi.
Alla prova dei fatti, i “patrioti” di casa nostra incassano solo calci e sberle. E a farne le spese sarà, come sempre, chi ha meno forza e voce per protestare.
Michele Rutigliano