Conservo il ricordo di Bambi, il cerbiatto protagonista di un delizioso cartone animato della Walt Disney, come uno dei più coinvolgenti della mia infanzia. A quel cerbiatto è anche legato il suono della voce di mia madre che instancabilmente me ne leggeva la storia anche più di una volta quando tornava, stanchissima, dal lavoro.

Il cerbiatto è stato poi retrocesso al secondo posto quando, salito per la prima volta sopra un pony (ma forse era un somarello), mi sono immaginato di cavalcare un puledro e ne ho reclamato invano l’acquisto a mio padre. Più tardi, la giraffa mi ha colpito per l’eleganza dei suoi movimenti. Poca simpatia invece verso i leoni a dispetto del mio cognome che comprende la traccia latina del loro nome. Due pappagallini, un canarino (Vassìa il nome assegnatogli da mia madre) e una tartaruga hanno infine completato la mia iniziazione infantile al mondo animale.

Crescendo ho apprezzato l’utilità di alcuni animali: compagnia per le persone sole, difesa di quelle a rischio di aggressione, aiuto alle forze dell’ordine per indagini altrimenti difficili da risolvere, soccorso alle persone rimaste vittime di slavine o terremoti. Insomma, la mia è stata una giovinezza in pace con le bestie. Visto che è stato coniato il termine di zoofobo (triste assonanza con altra “fobia”), ci tengo a precisare che non ho alcuna paura degli animali, che li ho sempre rispettati e che ad alcuni di essi ho davvero voluto bene con cuore innocente di bambino. Dopo l’infanzia il mio rapporto con le bestie si è diradato: non ne ho più avute, non mi è più interessato avvicinarmi ad esse (pur apprezzando molto gli splendidi documentari che le vedono protagoniste), non mi è più piaciuto essere toccato o leccato da qualcuna di loro.

Il primo capitolo della Genesi, nella riflessione del popolo ebraico, ci fa comprendere che Dio ha voluto che esistessero gli animali: la loro presenza sulla Terra “era cosa buona” ed essi rappresentano un dono prezioso per gli uomini.

Però, come attestato dallo studio delle antiche civiltà, e come tuttora presente in alcune religioni, gli animali sono stati spesso “divinizzati”, considerati sacri ed inviolabili, pressoché equiparati agli esseri umani visto che si attribuivano loro pregi e difetti degli uomini e delle donne.

Questa tendenza si è molto attutita, almeno in Europa, anche grazie ai principi della civiltà giudaico-cristiana che ha esaltato la dignità, unica e inarrivabile, che Dio ha riservato al genere umano. La prova definitiva ed inconfutabile ne è, per i credenti cristiani, l’Incarnazione della seconda persona della SS. Trinità: Dio si è fatto uomo (e solo uomo, non anche animale) per salvare (solo) il genere umano. Tutta la Creazione, comprese le bestie, è stata affidata alla cura degli umani che devono goderne con rispetto, attenzione e lungimiranza.

La famosa enciclica di Papa Francesco Laudato sì è il più forte ammonimento che un Pontefice abbia rivolto alle persone di buona volontà per la salvezza del Creato e quindi anche per il doveroso rispetto degli animali.

Grazie all’impegno di tante persone sensibili e coraggiose la filiera dell’allevamento di animali da macello è sorvegliata affinché siano evitate inutili sofferenze, quando non addirittura torture gratuite. L’incarceramento negli zoo, i crudeli addestramenti funzionali alle esibizioni nei circhi, le corride, le battaglie legate alle scommesse clandestine, i supplizi inflitti per il divertimento di spettatori depravati sono violenze di cui – lentamente e contro molte resistenze – gli umani si stanno almeno in parte emendando.

Negli ultimi anni, il mercato capitalistico ha trovato nel culto quasi idolatrico degli animali un nuovo filone aureo di guadagni: cibi, accessori, coaching, pet-sitteraggio, assistenza veterinaria, fiere di bellezza e molto altro. Per creare ed espandere l’esigenza di acquistare animali (domestici e no) si è velocemente sviluppato un fronte “animalista” che dalla lodevole intenzione di difendere le bestie da sofferenze gratuite è tracimato verso discutibili, a volte sconvolgenti assiomi. Si affermerebbe che almeno certi animali “capiscono tutto”, sono “esseri senzienti” capaci di “sentimenti” come le persone, hanno un linguaggio evoluto quanto quello umano, si aggregano in colonie (bastano due-tre esemplari) che non devono essere disperse – anche se creano fastidi di non poco conto – pena multe severe etc. Ma, specialmente, sono migliori degli uomini e delle donne perché “sono sinceri e buoni, non tradiscono mai come invece fanno le persone, i politici, gli zoofobi, i preti …”. Si danno loro nomi riservati finora alle persone, nelle passeggiate si parla con loro come con un amico, si rivolgono ad essi dolci rimproveri dando poi voce alle loro supposte risposte, soprattutto (questa sembra essere la soddisfazione maggiore) dopo un variabile periodo di addestramento si esige di essere obbediti sempre, senza opposizione. Come se una certa incapacità relazionale con altre persone ovvero una latente violenza impositiva del proprio carattere possano essere agite (forse elaborate) nella sottomissione assoluta della bestia che si è acquistata.

Va detto che quanto sopra sommariamente descritto rappresenta quello che a mio avviso è una estremizzazione, una devianza – purtroppo però in rapida crescita – che certamente non coinvolge tutti i padroni di animali e non elimina il tanto di buono che alcune bestie offrono agli umani.

Peraltro, la compagnia di un animale è quello che la cultura attuale offre come rimedio ad una pandemia rimossa e negata che uccide l’anima: la solitudine e l’insoddisfazione esistenziali. Invece che interrogarsi sulle cause di queste, sulle ideologie che le generano, sulle leggi che le innescano si offre su un piatto d’argento un’effimera, apparente soluzione.

Sembra che le ristrettezze economiche siano uno dei principali motivi che sostengono la spaventosa denatalità in Italia: le coppie, tuttavia, appaiono disposte a spendere non poco se – invece che da un figlio, con le responsabilità ad esso connesse – la compagnia è assicurata da un animale. Nel contesto delle convivenze, in cui non ci si sente di assumere alcuna responsabilità ed impegno (“dura finché dura”), una bestia piuttosto che un figlio evita molte grane potenziali.

Sembra ormai affermata un’ideologia che ha contagiato politici (e politiche …) assieme a magistrati: ne sono risultate leggi e sentenze che a volte lasciano basiti ed amareggiati. Se l’intensità dell’attenzione animalista venisse riservata anche alle persone quando ancora nel grembo delle loro mamme … se i bambini nati dall’abominevole pratica dell’utero in affitto potessero vivere con le donne che li hanno fatti nascere almeno il tempo considerato irrinunciabile per gli animali …

La moda di comperare (almeno) un cane si è diffusa a dismisura ed è diventata uno status symbol: il numero di tali animali sembra si stia avvicinando in Italia a quello dei cellulari. Di conseguenza, gli angoli delle strade, i marciapiedi, i giardini pubblici, gli spazi verdi condominiali portano le tracce inequivocabili dell’aumento massiccio della presenza delle bestie nelle città (e della maleducazione, arrogante ed aggressiva, di non pochi loro padroni). Il pensiero unico attuale ha dunque anche una sua declinazione animalista, nell’accezione più bellicosa, che ben si inquadra nel disprezzo pagano della dignità dell’essere umano.

Adesso che scrivo mi torna in mente quante volte, da piccolo, mi spazientivo per quelle che chiamavo “le cerimonie”. A causa del lavoro dei miei genitori non potevo passeggiare con loro quanto avrei voluto: la domenica non mi bastava perché troppo mi attiravano le storie che mi raccontavano, le spiegazioni, gli stimoli che ne ricevevo.

Ma era inevitabile che quando riuscivamo ad uscire insieme venissimo fermati da altre coppie con bambini, o da anziane signore, per un profluvio di domande, di complimenti, di sorrisi, di carezze a me rivolti. Erano tempi, quelli, in cui si fermavano le mamme per strada e nel colorito gergo popolare ci si lanciava a indovinare i nomi, l’età, le somiglianze dei loro figli. Le più attempate non riuscivano a trattenersi dall’accarezzare i bimbi e dall’augurarne di ulteriori alle mamme.

I miei genitori non erano da meno verso altri bambini. Così il tempo passava mentre io avrei di gran lunga preferito ascoltare mio padre piuttosto che essere coinvolto nelle “cerimonie”, per me noiose.

Mi fa molto pensare il fatto di incontrare di questi tempi mamme un po’ attempate che vanno a spasso spingendo un passeggino con un bimbo (ma potrebbe essere una bimba) e che – sempre più spesso – hanno anche un cane al guinzaglio. Ovviamente, non posso escludere che il piccolo abbia già altri fratelli o sorelle e che in futuro altri se ne aggiungeranno: lo spero e lo auguro, certo, ma vista la tendenza persistente di un figlio a coppia … molti dubbi in proposito mi vengono. Quel cane, allora, potrebbe essere un messaggio subliminale al bimbo che crescerà: “Caro … ti farà lui da … fratello”.

Anche in questi incontri accadono “le cerimonie”. Osservo le anziane signore di adesso rivolgere tutte le loro attenzioni al cane: “Che bello! che razza è? come si chiama? quanti anni ha? è buono, obbediente? che mangia? lo posso accarezzare?”. Continuano poi rivolgendosi direttamente all’animale: “Amore, che ti dà la mamma tua? Sono biologiche le crocchette? Dimmi: come stai? Vai a passeggio eh … ti piace farti ammirare, vero? Bello, bello che sei!!!!”.

Molte premure alla bestia. Al bambino neanche uno sguardo.

Roberto Leonardi

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