“Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l’ha catturato per sempre” (Gabriel Garcia Marquez)

Auguri papà. Per san Giuseppe ci ricordiamo di questa figura familiare che, in molti casi, si finisce per meglio capire e apprezzare quando si raggiungono i quarant’anni. Le zeppole o i bignè pieni di crema aiutano tanti papà “dimenticati” ad aspettare i quarant’anni di figlie e figli.

Purtroppo, però, ci sono tanti di loro che non possono, forse mai hanno potuto, e forse mai potranno, commuoversi per l’arrivo delle zeppole e dei bignè in occasione della festa che ricorda il papà per eccellenza. Quel san Giuseppe mite, schivo che si trova ad essere travolto da un accadimento enormemente più grande di lui.

Così, una zeppola o un bignè ideale dovremmo provare a mandarlo oggi a un pò di papà vittime anch’esse di accadimenti più grandi di loro.

Mi riferisco ai milioni di papà che in questo momento vivono nei campi profughi che, in Turchia, Giordania e Libano, sono stati allestiti per le conseguenze della guerra organizzata in Siria da tanti altri papà in armi che con quel paese non avrebbero dover avuto niente a che fare. Ai tanti papà che sono emigrati, o hanno provato ad emigrare, per provare a costruire una vita migliore ai propri figli. Il papà emigrante è lo stesso in ogni parte del mondo. Ha spesso gli stessi occhi spenti e incerti, molto spesso abbassati. Il cuore pulsa allo stesso modo per paura, malinconia, rassegnazione, qualche volta per speranza. Il cuore del migrante pulsa allo stesso modo qualunque siano il colore della pelle, la religione e la cultura.

Poi, bisogna inviare zeppole o bignè ai padri che hanno visto partire i loro figli. Cresciuti o piccoli. Tanti bambini o ragazzini che nel linguaggio burocratico, quello che così definendoli non deve misurarsi con occhi innocenti, capelli scarmigliati, lacrime o sorrisi disarmanti, vengono chiamati minori non accompagnati.

Bisogna ricordarsi dei papà delle vittime dell’usura e di quegli imprenditori giunti fino a togliersi la vita dopo aver bussato a mille porte e perché magari non ce la facevano a dire agli altri papà che avevano o stavano per licenziare in che condizioni era finito il suo e il loro lavoro.

Zeppole e bignè per i papà di chi sta rischiando ogni giorno contro il Coronavirus. I primi tempi lasciati in balia degli eventi, ne più ne meno come i papà eroi di Chernobyl, trentacinque anni fa mandati allo sbaraglio da una classe politica incosciente.

Zeppole e bignè ai nostri papa in divisa lontano e dentro i confini della Patria. Un abbraccio per risarcirli anche di tante gratuite ostilità e incomprensioni.

Insomma. sono tanti i san Giuseppe che dovremmo provare a vedere nei papà, vecchi e giovani, che incontriamo oggi. Senza dimenticare che sono 356 i giorni l’anno in cui tanti di loro non sanno come poter riuscire ad essere pienamente padri.

Giancarlo Infante

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